martedì 29 luglio 2014

Il martirio nell’indifferenza



Davanti alla persecuzione dei cristiani. 

(Manuel Nin) Per la mia ordinazione sacerdotale un amico monaco eremita mi regalò una Bibbia di Mosul, che riprendeva e completava alcune edizioni della Scrittura secondo l’antichissima versione siriaca detta Peshitta. Edita dal metropolita siro-cattolico di Damasco, Mor Clemens Joseph David, e con una prefazione del metropolita caldeo di Amid (Diyarbakir), Jirjis Abdisho Khayyat, è un testo importante che include libri che non si trovano nella Bibbia ebraica.Oggi che la vita dei cristiani a Mosul e in tutta quella regione della Mesopotamia viene calpestata, perseguitata, violentata, quell’edizione biblica acquista un valore di testimonianza di fronte al martirio di quelle donne e di quegli uomini che da quasi duemila anni confessano l’unico Dio, Padre, Figlio e Spirito santo, e lo fanno nella lingua che fu quella del Verbo di Dio incarnato. Mosul, città custode della Parola di Dio, oggi è diventata custode del sangue dei martiri: bruciate le case, bruciate le biblioteche, bruciata e distrutta una tradizione cristiana di quasi due millenni.
In tutto il Vicino e Medio oriente vi sono zone cristiane popolate da monaci e monache, da fedeli di tante confessioni cattoliche e ortodosse: siro-orientali, siro-occidentali, armeni, latini, fratelli nostri che in venti secoli hanno imparato a vivere insieme e a condividere una vita cristiana semplice, povera, non facile, ma sempre segnata dalla tolleranza, dalla riconciliazione, dalla fraternità. E oggi la voce dei pastori delle Chiese non soltanto lancia l’allarme ma ci dice che i cristiani a Mosul e nelle vicinanze non ci sono più.
Il patriarca siro-cattolico Ignace Youssif III Younan ha denunciato con forza ciò che accade: «È terribile! Questa è una vergogna per la comunità internazionale». Inoltre il patriarca caldeo Louis Raphaël I Sako e tutti i vescovi caldei, siro-cattolici, siro-ortodossi e armeni del nord dell’Iraq radunati ad Ankawa, alla periferia di Erbil, chiedono la tutela necessaria dei cristiani e delle altre minoranze perseguitate, per evitare la distruzione di chiese, monasteri, manoscritti, reliquie e di tutta l’eredità cristiana, patrimonio dell’Iraq e dell’umanità intera.
Ma biblioteche, chiese, icone sono ormai distrutte, e con esse tanti libri scritti sulla pergamena, la pelle di pecora asciugata, stesa, lavorata, dove gli antichi monaci trascrivevano la Parola di Dio, i testi dei Padri, i canti di lode delle Chiese cristiane. Quelle pelli benedette che contenevano la lode del popolo di Dio sono ormai perse, distrutte, bruciate; viene da dire che rimane soltanto la pelle dei cristiani, lavata, unta e alimentata dal battesimo, dall’unzione con il crisma e dalla santa eucaristia, pelle pronta perché vi si scriva non più con l’inchiostro ma con il sangue.
Maaloula e Saydnaia in Siria alcuni mesi fa hanno perso chiese, monasteri, biblioteche, icone, e soprattutto tante delle vere icone del Signore che sono i cristiani. Oggi a Mosul, e in tanti altri luoghi in Iraq, le popolazioni vengono derubate, schernite, lasciate nel bel mezzo del deserto: quello fisico, arido e senz’acqua, quasi a echeggiare il salmo, e soprattutto quello spirituale, creato attorno a loro dal silenzio, dall’indifferenza di tanti, anche cristiani, che tacciono, che non possono, non osano o non vogliono far sentire la propria voce.
La voce delle Chiese cristiane e dei loro pastori si alza invece nella preghiera, nella richiesta di non cadere nell’oblio e nell’omissione, nella denuncia di una sofferenza e di una persecuzione che sono davanti agli occhi di tutti gli uomini. Voce dolente e angosciata di chi vede i propri figli scappare, soffrire e morire per il solo fatto di portare il nome di Cristo e di vivere come cristiani.
Nei primi secoli del cristianesimo uomini e donne andavano nel deserto per trovarvi la vita vera nell’incontro con l’Unigenito, in solitudine e in comunione con i fratelli. Oggi tanti cristiani — uomini, donne, anziani e bambini — vengono gettati a morire nel deserto, un deserto dove nella fedeltà trovano il vero testimone, colui che dalla croce perdonò i suoi persecutori. Di nuovo, dopo le miriadi di martiri del Novecento, nel Vicino e nel Medio oriente, ma anche in tanti altri luoghi, la fede cristiana viene messa alla prova.
«È una vergogna» ha ammonito il patriarca siro-cattolico, e ha aggiunto: «Chiediamo alla comunità internazionale di essere fedele ai principi dei diritti umani, della libertà religiosa, della libertà di coscienza. Noi siamo in Iraq, in Siria e in Libano: noi cristiani non siamo stati importati, siamo qui da millenni e quindi abbiamo il diritto di essere trattati come esseri umani e cittadini di questi Paesi». Facciamo nostra questa voce che sale dal dolore.

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Rapporto del Dipartimento di Stato americano sulla situazione mondiale. Il diritto negato della libertà religiosa

«La libertà religiosa è un diritto universale, un diritto di nascita di ogni essere umano». È quanto ha dichiarato il segretario di Stato americano, John Kerry, presentando lunedì i dati del rapporto International Religious Freedom 2013, il dossier sulla libertà di religione nel mondo preparato ogni anno dal Dipartimento di Stato. Eppure «abbiamo un lungo viaggio da fare», ha detto Kerry, «visto che il 75 per cento della popolazione del mondo continua a vivere in Paesi che non rispettano la libertà di religione».
Il 2013 è stato uno degli anni peggiori per le varie comunità religiose nel mondo. Abusi, discriminazioni, persecuzioni, soprusi e violenze per motivi di fede sono in aumento praticamente in ogni angolo del pianeta: dalla repressione indiscriminata in alcuni Paesi dell’Asia, alle violenze in Medio oriente, dove la presenza dei cristiani è fortemente messa in discussione, agli attacchi in Egitto e Iran contro i dissidenti. Ma anche l’impennata di sentimenti anti-semiti e anti-islam nelle nazioni dell’Unione europea. 
«In tutto il mondo milioni di persone sono soggette a discriminazioni e violenze semplicemente per la loro identificazione con una specifica religione o con nessuna fede» dice il rapporto, citando non solo situazioni estreme, nei Paesi dove vige l’assoluto divieto di dare vita a organizzazioni religiose, ma anche il preoccupante aumento di sentimenti anti-semiti in Occidente. Una decina di Paesi, per lo più concentrati in Asia e Medio Oriente che fanno parte di una “lista nera”, sono considerati di “particolare preoccupazione” per le violazioni e le discriminazioni tollerate o addirittura condotte dalle stesse autorità. In molti casi non si indaga nemmeno sui crimini perpetrati contro membri di comunità religiose di minoranza. «L’impennata di queste tendenze in Europa — sottolinea il Dipartimento di Stato americano — dimostra che l’intolleranza non è limitata ad aree di conflitto». Una recente indagine condotta proprio in Europa ha rivelato che il 48 per cento degli ebrei residenti in Italia, Belgio, Francia, Germania, Ungheria, Svizzera e Gran Bretagna prendono in considerazione l’ipotesi di emigrare perché avvertono una sensazione di antisemitismo». 
Nel rapporto dell’International Religious Freedom 2013 viene ribadito l’impegno degli Stati Uniti nel «creare un mondo più libero e tollerante. Un lavoro che non è solo riservato al Governo e alle istituzioni, ma è una necessità globale per tutta l’umanità». Dall’indagine emerge, inoltre, che la presenza dei cristiani in Siria e in Medio oriente sta diventando «l’ombra di sé stessa». «Dopo tre anni di guerra civile in Siria, centinaia di migliaia di persone sono fuggite dal Paese nel disperato tentativo di sottrarsi alle violenze. Solo a Homs, la popolazione è scesa da centosessantamila prima della guerra a poco più di mille». Inoltre, nel 2013, milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case a causa del loro credo religioso. In particolare, nelle zone di conflitto, gli sfollamenti di massa sono diventati una pericolosa norma. 
Il rapporto evidenzia poi che sono stati più di un milione gli sfollati nella Repubblica Centroafricana, sempre nel 2013, a causa della recrudescenza della violenza tra cristiani e musulmani. Infine, il Dipartimento di Stato americano cita qualche esempio per far conoscere meglio la situazione nel mondo: in qualche caso si usano leggi concepite per bandire “l’estremismo” al fine di restringere invece le libertà religiose. Anche i Paesi che vengono considerati più dialoganti con l’Occidente, se non utili alleati nelle dinamiche politiche, pongono “grandi restrizioni” ai gruppi che non si attengono alla religione di Stato. Poi ci sono casi, come il Pakistan, dove si continuano ad applicare le leggi contro la blasfemia per ridurre la libertà di parola nelle fedi diverse dall’islam.
Il rapporto presentato lunedì dal Segretario di Stato Kerry segue di qualche mese quello pubblicato lo scorso febbraio da un gruppo di lavoro del Parlamento europeo. Si tratta di un gruppo creato sulla scorta della decisione, del 2013, dell’Unione europea, di varare delle linee guida per la tutela del diritto alla libertà di religione nel mondo. Secondo questo rapporto, sono venticinque i Paesi di «particolare preoccupazione», quindici dei quali sono segnalati addirittura come «gravi violatori» della libertà di religione e fede. Per i cristiani, in particolare, «la Corea del Nord rimane il Paese più difficile al mondo»: tra cinquantamila e settantamila cristiani sono detenuti in «spaventosi campi di prigionia». Anche in Eritrea, che pure riconosce cattolicesimo e ortodossia come fedi ufficiali, risultano detenuti tra i duemila e i tremila cristiani. Altro Paese che vive una situazione a dir poco drammatica è la Nigeria, dove tra il novembre 2011 e l’ottobre 2012 si sono avuti ben 791 dei 1.201 assassinii di cristiani registrati in tutto il mondo. Accanto alla prigionia, si sono registrate nel mondo altre gravi forme di violenze per motivi religiosi, come ad esempio il divieto di cambiare religione, tuttora in vigore in 39 Paesi.
L'Osservatore Romano