giovedì 31 luglio 2014

Passione unica



Dalla realtà rurale all’annuncio nelle grandi città. 

Alla luce dell’Evangelii gaudium. Esce il 2 agosto il nuovo numero del quindicinale «La Civiltà Cattolica». Anticipiamo alcuni stralci dell’articolo dedicato al rapporto tra evangelizzazione, mistica popolare e pastorale ubana alla luce dell’Esortazione apostolica di Papa Francesco Evangelii gaudium.
(Jorge R. Seibold) L’Esortazione apostolica di Papa Francesco dal titolo Evangelii gaudium, pubblicata a Roma il 24 novembre 2013, tratta dell’annuncio del Vangelo nel mondo attuale. Qui intendiamo riflettere su alcuni aspetti particolari che vi sono indicati quando la «nuova evangelizzazione» viene messa in rapporto con la «pietà popolare», la «mistica popolare» e la «pastorale urbana», così come Papa Francesco li presenta in quell’Esortazione.Sono aspetti molto vincolati alla ricca esperienza spirituale latinoamericana, espressa in molti modi, e più in particolare nel Documento di Aparecida del 2007. 
Il primo tema della nostra indagine viene trattato esplicitamente nel terzo capitolo dell’esortazione, intitolato «L’annuncio del Vangelo» (110-175). Papa Francesco apre il n. 122 affermando il ruolo evangelizzatore che hanno i popoli ove il Vangelo è già penetrato nelle culture, con le quali si sentono identificati. Ciò fa sì che ogni popolo trasmetta «la fede in modi sempre nuovi; da qui l’importanza dell’evangelizzazione intesa come inculturazione». Il Papa, ispirato dai testi delle Conferenze generali dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi nei Documenti di Puebla (1979) e di Aparecida (2007), afferma esplicitamente che «il popolo evangelizza continuamente se stesso». È in questo contesto che la «pietà popolare» viene citata per la prima volta nell’esortazione, come «autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del Popolo di Dio. Si tratta di una realtà in permanente sviluppo, dove lo Spirito Santo è il protagonista». Subito dopo Papa Francesco riconosce (n. 123) che la «pietà popolare» è una realtà che è stata rivalutata negli ultimi anni del XX secolo, in particolare a partire dalla Evangelii nuntiandi di Paolo VI nel 1976, e confermata, più di recente, nell’apertura della V Conferenza di Aparecida (2007), quando anche Benedetto XVI ha segnalato che essa è «un prezioso tesoro della Chiesa cattolica» e che in essa «appare l’anima dei popoli latinoamericani».
A parlare, qui, non è soltanto la dottrina del Documento di Aparecida, bensì la stessa esperienza di Papa Francesco, che da giovane prese parte a queste grandi manifestazioni di fede popolare nella sua patria argentina, come ha dimostrato ampiamente nella «Giornata mondiale della gioventù» svoltasi a Rio de Janeiro nel luglio 2013, in cui si è prodigato totalmente. 
Questo capitolo dedicato alla «pietà popolare», intesa come espressione fiduciale e apostolica, si conclude nel n. 126, in cui la «pietà popolare» è collocata come «luogo teologico» al quale occorre fare ricorso quando s’intende pensare la nuova evangelizzazione. Quanto detto fin qui ci prepara meglio ad addentrarci di più nel «senso mistico» della «pietà popolare».
Sia il testo di Aparecida sia l’esortazione legano intimamente tra loro la «pietà popolare» e la «mistica popolare». In verità queste hanno una propria fisionomia, che le distingue una dall’altra, ma al tempo stesso possiedono molti lineamenti comuni che le legano strettamente tra loro. Tante volte esse sono state ritenute molto diverse, quando la «pietà popolare» è stata considerata qualcosa di «meramente esteriore» che caratterizza il comportamento del popolo fedele di Dio, mentre la «mistica» sarebbe qualcosa di «meramente interiore» e prodotta nel soggetto dall’agire di Dio attraverso segni e portenti tali da riservare una simile grazia a una cerchia ristretta di eletti. Sicché la «pietà popolare» si ridurrebbe ad alcune pratiche del nostro popolo devoto, in massima parte umile e semplice, che recita il Rosario alla Madonna nelle sue svariate invocazioni, venera le immagini dei santi, partecipa a vari pellegrinaggi nei suoi santuari preferiti, esterna molti gesti fisici di chiaro significato spirituale, come inginocchiarsi davanti a un’immagine, segnarsi con l’acqua benedetta, portare sempre con sé immaginette, medaglie e scapolari, con i quali ci si raccomanda a Dio, alla Madonna e ai santi per i quali si ha devozione. 
La verità è più complessa e si sottrae a una simile dicotomia. La «pietà popolare» possiede una profondità «mistica» che raggiunge l’intimo dei suoi fedeli, grazie all’azione primaria dello Spirito Santo, da cui dipende; e a sua volta la «mistica» non soltanto si radica con Dio nel cuore dell’uomo, ma conduce anche l’uomo, insieme a molti altri, a trasformare il mondo in cui è inserito. 
Nel capitolo quarto dell’esortazione, intitolato «La dimensione sociale dell’evangelizzazione» (176-258), il Papa torna a riferirsi alla «mistica popolare», allo scopo di darle un senso sociale e trasformante, che la sottrae al rischio di rinchiudersi entro mistiche «disincarnate», che affondano soltanto nelle profondità dell’io umano, o si perdono e sbiadiscono in una trascendenza vuota, che è «niente», dimenticando con ciò che il mistero divino è intimamente connesso con il mistero umano e con il suo contesto sociale. 
Notiamo che qui il Papa sceglie l’espressione «mistica popolare» per riferirsi a tutta una serie di realtà che egli enumera, come la «preghiera», la «fraternità», la «giustizia», la «lotta» e la «festa». 
Da qui l’importanza del fatto che i fedeli siano inseriti nel «popolo», perché così potranno vivere davvero una «pietà» e una «mistica» effettivamente «popolari». È per questa ragione che un poco più avanti, nel capitolo quinto dell’esortazione, il Papa ci parla di una mistica che non deve mantenersi a «una prudente distanza dalle piaghe del Signore».
Questa è l’esperienza basilare e umana dell’essere «noi», che è fondamentale per sentirsi popolo.
Qui appare di nuovo, e adesso legata alla nuova evangelizzazione, «la mistica di avvicinarci agli altri». Una mistica che, pur avendo un fondamento naturale nella capacità innata che noi uomini abbiamo di avvicinarci agli altri per formare famiglie e popoli, adesso, con l’incentivo dell’«azione dello Spirito», origine e frutto dell’evangelizzazione, non soltanto si arricchisce, ma ci spinge pure a evangelizzare affinché anche molti altri possano godere insieme a noi di tali «più bei regali del Signore». Questa ultima constatazione ci invita a entrare negli ambiti propri e più urgenti della nuova evangelizzazione. Uno di essi è la «pastorale urbana». 
Sarebbe conveniente fare ricorso a un testo precedente di Francesco, che risale più precisamente a quando, prima di essere eletto Papa, egli era il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo della città di Buenos Aires. Nel 2011 partecipò al primo Congresso di pastorale urbana, svolto dalla Regione metropolitana di Buenos Aires. Le parole iniziali di quel Congresso vennero pronunciate da Bergoglio, che scelse come tema Dio vive nella città, espressione che si trova anche nel Documento di Aparecida (cfr. 514) e che il Congresso aveva scelto come propria cifra espressiva. Ecco le sue parole iniziali: «Nella città ci sono moltissimi “non cittadini”, “cittadini a metà” e “avanzi urbani”: o perché non godono di pieni diritti — gli esclusi, gli stranieri, le persone senza documenti, i bambini non scolarizzati, gli anziani e i malati privi di copertura sociale — o perché non adempiono i loro doveri. In questo senso, lo sguardo trascendente della fede, che porta al rispetto e all’amore del prossimo, aiuta a “scegliere” di essere cittadino di una società concreta e a mettere in pratica atteggiamenti e comportamenti che creano cittadinanza. Lo sguardo che voglio condividere con voi è quello di un pastore che desidera approfondire la propria esperienza di credente, di uomo che crede che “Dio vive nella città”».
In maniera analoga adesso, nella sua esortazione, Papa Francesco propone dal n. 71 la problematica pastorale che oggi affrontano le nostre grandi città. E lo fa in una prospettiva «contemplativa», con uno sguardo illuminato dalla fede, che, ispirandosi ad Apocalisse 21, 2-4, lo porta ad affermare: «È interessante che la rivelazione ci dica che la pienezza dell’umanità e della storia si realizza in una città. Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze». E poco più avanti dice: «Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia». 
Questa analisi e altre più dettagliate che Papa Francesco espone in questi punti lo inducono a concludere con parole riprese dal Sinodo: «Il Sinodo ha constatato che oggi le trasformazioni di queste grandi aree e la cultura che esprimono sono un luogo privilegiato della nuova evangelizzazione (cfr. Propositio 25). Ciò richiede di immaginare spazi di preghiera e di comunione con caratteristiche innovative, più attraenti e significative per le popolazioni urbane. Gli ambienti rurali, a causa dell’influsso dei mezzi di comunicazione di massa, non sono estranei a queste trasformazioni culturali, che operano anche mutamenti significativi nei loro modi di vivere» (73). 
Papa Francesco si preoccupa inoltre di descrivere in maniera fenomenologica ciò che «appare» nella cronaca di tutti i giorni, e che lo spinge a esclamare: «Non possiamo ignorare che nelle città facilmente si incrementano il traffico di droga e di persone, l’abuso e lo sfruttamento di minori, l’abbandono di anziani e malati, varie forme di corruzione e di criminalità». (75).
Davanti a questa cruda realtà, il Papa non cede allo sconforto, e conclude il testo invitando a «vivere» approfonditamente il Vangelo, e al tempo stesso consiglia di evitare uno stile uniforme e rigido nella pastorale urbana, affinché essa possa adattarsi a tutte queste problematiche con la pienezza del suo messaggio. 
Più avanti, nel capitolo quarto dell’Esortazione, il Papa tornerà a insistere sulla «dimensione sociale dell’evangelizzazione» (176-258), perché, se questo avvertimento venisse trascurato, tanto l’«evangelizzazione» quanto la «devozione popolare» e addirittura la «mistica popolare» ne potrebbero essere snaturate. 
Nel quinto e ultimo capitolo della Evangelii gaudium ci viene detto che la nuova evangelizzazione ha bisogno di «evangelizzatori con Spirito», che «vuol dire evangelizzatori che si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo» (259).
Qui si vede con tutta evidenza che la nuova evangelizzazione, in qualsiasi contesto avvenga, rurale o urbano, ha sempre bisogno di un forte radicamento tanto in Gesù quanto nel popolo. Per questo Papa Francesco dirà poi: «La missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo» (268).
L'Osservatore Romano