domenica 27 luglio 2014

QUELLO CHE IL MARE RIVELA…


E’ il più grande spettacolo planetario di tutti i tempi. Ogni anno si replica e sempre con milioni e milioni di spettatori incantati. Un aereo che sorvola le coste è in grado di mostrare tutti i giorni molte migliaia di persone sedute davanti a questa meraviglia.
Anzi, in genere non sedute, ma sdraiate. Su migliaia di sdraio ordinate in diverse file, proprio come le poltrone di qualunque cinema.
Solo che in cartellone qua c’è sempre lo stesso capolavoro che si replica di continuo: il mare. E’ uno spettacolo in 3D e il protagonista assoluto – il mare, appunto – ha come “spalla” o co-protagonisti il sole, la sabbia, gli scogli, la brezza, la luna.
Ma la star è sempre e solo lui. Gli spettatori vengono per lui: il mare. Che aleggia anche nell’aria salmastra e che sembra ingoiare il cielo riflettendolo.
Tutta quella gente che sta incollata davanti al mare sembra come ad aspettare qualcosa o qualcuno. Ma cosa precisamente? Un fatto, un arrivo, un fenomeno particolare?

ATTESA

Viene in mente una bellissima pagina di “Madame Bovary” dove Gustave Flaubert coglie questa attesa:
“In fondo all’anima tuttavia ella attendeva un avvenimento. Come i marinai che si sentono perduti essa volgeva di qua e di là degli sguardi disperati, cercando in lontananza qualche vela bianca, tra le nebbie dell’orizzonte. Non sapeva che cosa aspettasse, quale caso; né da qual vento questo sarebbe portato, né a qual riva condurrebbe lei; se fosse scialuppa o bastimento grande, se carico d’angosce o pieno di felicità fino alle murate”.
C’è in effetti un curioso fenomeno. Pur essendo milioni quelli che corrono a godersi lo spettacolo e a immergersi nelle sue onde, sono assai pochi che s’interrogano su quello che vedono.
Pochi si chiedono perché sono tanto attratti o affascinati dal mare.
Bastano l’ombrellone, la granita e le forme rotonde delle ragazze o dei ragazzi in costume. Si liquida in genere l’interrogativo estetico ed esistenziale con le solite risposte pratiche.
Poi però ci sono i poeti e gli scrittori, gente strana, insolita, fastidiosa e fascinosa, e con loro – che spesso fanno compagnia a chi se ne sta distesso sulle sdraio – ci si immerge nelle profondità del mare e nel segreto del suo fascino.

MARE DI LIBRI

La letteratura fa amare il mare vero perché serve a vedere quello di cui altrimenti non ci accorgeremmo. Ed ecco allora l’Hemingway del “Vecchio e il mare”, che fa sentire il sapore del sale sulle labbra, oppure Melville, Stevenson, Conrad.
Dice un suo personaggio che nascere è come cadere in mare ed è una gran metafora, anche se inquietante.
Il grande poeta del mare invece è – per me – Fermando Pessoa. Il suo sguardo, da quello scoglio sull’Oceano, da quel balcone sull’infinito che è il Portogallo, finis terrae, è il più acuto e struggente canto sulla vita umana come abisso, come frontiera, come partenza o come naufragio.
Infine la sua nostalgia racconta pure l’epopea di una nazione:
“O salso mare, quanto del tuo sale
sono lacrime del Portogallo!
Per solcarti, quante madri piansero,
quanti figli pregarono invano!
Quante promesse spose restarono promesse
perché tu fossi nostro, o mare!”.
Invece è incredibile quanto poco mare ci sia nella letteratura italiana. Sebbene il nostro paese sia immerso nel Mediterraneo e la nostra storia – oltreché la nostra geografia – ne sia piena.
E’ curioso come noi ci sentiamo un paese di pianura mentre siamo pieni di montagne e un paese continentale quando siamo invece una lingua di terra nel Mediterraneo.
A parte “I Malavoglia” del Verga – cioè il mare dei pescatori, fatto di fatica, di paura e di dolore – ed il mare immaginario ed esotico di Emilio Salgari, bisogna arrivare al Novecento per sentire la frescura, il mistero, la seduzione e il respiro infinito del “mare nostrum”.

MARE NOSTRUM

Mi pare che il primo vero poeta italico del mare – sia pure il mare particolare delle Cinque terre – sia stato Eugenio Montale (assai più e meglio di D’Annunzio). Ma siamo già al Novecento.
Dal mare dell’Essere, dell’eterno, l’uomo di Montale emerge come un rottame alla deriva, come gli “ossi di seppia”, un relitto sulla spiaggia effimera del tempo.
Ma col fascino nell’anima di quella presenza arcana e maestosa a cui sente di appartenere:
“Tu m’hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e insieme fisso”.
Il romanzo italiano del mare, nel Novecento, è stato invece quello di Stefano D’Arrigo, “Horcynus Horca”, un’opera assai elaborata e tormentata.
Ambientata subito dopo l’8 settembre 1943 (avendo in controluce il confronto letterario addirittura con l’Odissea e l’Ulisse di Joyce) avrebbe potuto essere il capolavoro dell’Italia immersa nella tragedia della seconda guerra mondiale. Ma l’impresa non è riuscita.
Infine all’ “Isola di Arturo” di Elsa Morante preferisco le pagine di “Oceano mare” di Alessandro Baricco. Anche per la narrazione del mare:
“Il mare incanta, il mare uccide, commuove, spaventa, fa anche ridere, alle volte, sparisce, ogni tanto, si traveste da lago, oppure costruisce tempeste, divora navi, regala ricchezze, non dà risposte, è saggio, è dolce, è potente, è imprevedibile. Ma soprattutto: il mare chiama… Non smette mai, ti entra dentro, ce l’hai addosso, è te che vuole. Puoi anche far finta di niente, ma non serve. Continuerà a chiamare… Ci sarà sempre un mare che ti chiamerà”.  
A parte il catalogo letterario, che non volevo fare, voglio concludere questa “navigazione” con due suggestioni, non letterarie, ma umane. Di due grandi.

I MAESTRI

La prima è un pensiero di Pavel Florenskij, teologo, filosofo, geniale scienziato, morto nel Gulag staliniano per la sua fede cristiana e la sua intelligenza:
“Ricordo le mie impressioni di bambino e non mi sbaglio: sulla riva del mare mi sentivo faccia a faccia con l’Eternità amata, solitaria, misteriosa e infinita dalla quale tutto scorre e alla quale tutto ritorna”.
La seconda è tratta da una lettera giovanile di don Luigi Giussani a un amico, un testo appena ripubblicato nel volume che Alberto Savorana ha dedicato alla sua vita:
“…questo mare immenso ed arcano che sempre lo senti dire un suo misterioso pensiero profondo, che capisci, ma non sai ridirtelo a te stesso con parole comprensibili e determinate: questo mare che ora è calmo ed a stento l’odi appena ansare sulla riva e sembra che sogni, e dopo poche ore è tutto tribulato ed ansimante ed appassionato, e non sai il perché… ma calmo o agitato, silenzioso od irato il mare ha ogni giorno ed ogni istante un minimo comun denominatore, un significato base unico e inesorabile, che è la sua grandezza:  il senso travolgente di una immane aspirazione all’infinito, al mistero infinito (…). Così la tua vita, nelle vicissitudini angosciose o serene che s’incalzano apparentemente senza motivo: c’è una voce, una passione, una agonia, che sta alla base di tutto: ed è la voce la passione l’ansia di Lui., Felicità, Bellezza, Bontà Suprema”.

Antonio Socci

Da “Libero”, 27 luglio 2014