martedì 26 agosto 2014

I cristiani d'Iraq e il ritorno del Califfato

Monsignor Louis Raphael SakoCristiani d'Iraq, una doppia catastrofe
di Louis Raphael Sako*


Pubblichiamo l'«Appello alla coscienza del mondo», scritto dal Patriarca caldeo di Baghdad, monsignor Sako, titolato "Cristiani d'Iraq, una doppia catastrofe".
È ormai evidente che ai cristiani iracheni, insieme ad altre minoranze, è stato inferto un colpo mortale al cuore delle loro vite e della loro esistenza, attraverso la cacciata di centomila cristiani con la forza, o rubando i loro possedimenti, i soldi, i documenti, o occupando le loro case. E questo solo per essere cristiani!
Ho visitato i campi profughi nelle province di Erbil e Dohok e quello che ho visto e ascoltato è oltre ogni immaginazione!
Dal 6 agosto a oggi non si è vista ancora una soluzione concreta immediata per la crisi che abbiamo di fronte. Non solo: continua il flusso di fondi, armi e combattenti per lo Stato Islamico. Malgrado stiamo vivendo una campagna organizzata di eliminazione dall’Iraq, la coscienza del mondo non è ancora pienamente consapevole della gravità della situazione.

Ora è già iniziata la seconda fase del disastro: la migrazione di queste famiglie in diverse parti del mondo: in questo modo si svuota la storia, l’eredità e l’identità di questo popolo.
Sfollamento e migrazione hanno un grande impatto su di noi, sia per i cristiani che per i musulmani. L’Iraq sta perdendo una componente insostituibile della sua società, quella cristiana; quindi comincia la scomparsa di una tradizione autentica!
La comunità internazionale - a cominciare da Stati Uniti e Unione Europea che hanno una responsabilità storica e morale nei confronti dell’Iraq - non può restare indifferente. Pur riconoscendo tutto ciò che si sta facendo per risolvere la crisi, sembra che le decisioni e le azioni intraprese finora, non abbiano provocato alcun reale cambiamento sul corso degli eventi; e il destino delle persone colpite è ancora sospeso, come se queste persone non facessero parte della razza umana!
Lo stesso si deve dire a proposito della comunità musulmana, le cui dichiarazioni sugli atti barbarici contro la vita, la dignità e la libertà dei cristiani, praticati nel nome della loro religione, non sono state all’altezza delle aspettative, tenendo conto che i cristiani hanno contribuito e hanno combattuto per questo paese, vivendo una collaborazione con i loro fratelli musulmani.
Il fondamentalismo religioso sta ancora crescendo in potenza e forza, provocando tragedie, e facendoci chiedere quando gli esperti religiosi islamici e gli intellettuali musulmani inizieranno a esaminare criticamente questo pericoloso fenomeno e a sradicarlo attraverso l’educazione a una vera coscienza religiosa e diffondendo una autentica cultura dell’accettazione dell’altro come fratello e come cittadino con tutti gli stessi diritti.
Quello che è successo è terribile e orrendo, abbiamo bisogno di un urgente ed efficace sostegno internazionale da parte di tutte le persone di buona volontà per salvare dall’estinzione i cristiani e gli yazidi, componenti autentiche della società irachena. Sapendo che il silenzio e la passività incoraggerà i fondamentalisti dell’Isis a commettere ancora più tragedie. La domanda diventa: chi sarà il prossimo?
Molte delle persone sfollate desiderano tornare nelle loro città e nelle loro case nella Piana di Ninive, e sperano di poterlo fare in sicurezza sotto la protezione internazionale. Ma la piena sicurezza di questa zona non può essere raggiunta senza la cooperazione della comunità internazionale insieme a un’azione congiunta del governo centrale e del governo regionale del Kurdistan. Queste persone innocenti meritano di vivere nella pace e nella dignità dopo il terrore inflitto a loro dall’Isis e dopo essere stati derubati dai loro stessi vicini.
La Chiesa: Certamente noi siamo fieri della fede dei nostri figli e figlie, e della loro fermezza e coraggio davanti a questa calamità, per il bene della loro fede. Noi li invitiamo a vivere questa crisi in una reale comunione con tutte le persone intorno a loro senza alcuna distinzione. Ciò di cui abbiamo bisogno non sono estenuanti dichiarazioni ma una reale comunione con gli altri, così come l’abbiamo sperimentata durante le visite della delegazione della Conferenza episcopale francese, dell’inviato personale di papa Francesco e dei Patriarchi.
Questa crisi ci rende capaci di una ricostruzione spirituale, morale e materiale delle nostre comunità. Noi rispettiamo la decisione di quelli che vogliono migrare, ma per quelli che desiderano rimanere, sottolineiamo la nostra lunga storia e il patrimonio profondamente radicato in questa terra.
Dio ha il suo progetto per la nostra presenza in questa terra e ci invita a portare il messaggio di amore, fratellanza, dignità e coesistenza armoniosa.
* Patriarca di Babilonia dei Caldei
   Presidente dell'Assemblea dei vescovi dell'Iraq

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Il sito Dabq del Califfato dell'Isis
Perché il Califfato è una minaccia per i musulmani
di Massimo Introvigne
L'aggressione delle milizie dell'Isis (Stato Islamico dell'Iraq e della Grande Siria), guidate dal sedicente califfo Abu Bakr al-Baghdadi contro la minoranza turcomanna di religione sciita, la terza a essere esposta a un rischio di genocidio, dopo i cristiani e gli yezidi, rappresenta sia una svolta nel conflitto in Iraq, sia un'occasione per comprendere meglio l'ideologia dell'Isis ed evitare errori di prospettiva. Una svolta, perché per la prima volta il Califfato sunnita massacra altri musulmani, sciiti, e massacra una popolazione di origine e lingua turca, provocando inevitabili reazioni sia in Turchia sia in Germania, il Paese europeo che ospita la maggiore comunità turca e il cui governo ha immediatamente reagito iniziando a inviare armi alle milizie curde che combattono l'Isis.
I turcomanni iracheni sono oltre mezzo milione, e di questi duecentomila sono sciiti. Mantengono importanti legami tribali, religiosi e culturali con la Turchia, che non può restare indifferente quando sono massacrati dalle sanguinarie bande del Califfo. Insieme, l'attacco ai turcomanni è occasione per capire bene la strategia e l'ideologia dell'Isis, su cui spesso in Occidente circolano imprecisioni. È possibile sapere esattamente che cosa vuole il sedicente Califfo perché da luglio pubblica una rivista in numerose lingue tra cui l'inglese, Dabiq, una pubblicazione raffinata e riccamente illustrata che fa seguito al precedente più semplice bollettino Islamic State Report. Il suo sito appare e scompare da Internet, ma i numeri della rivista restano archiviati e facilmente scaricabili altrove, posto che nulla può essere veramente eliminato dalla Rete.Dabiq, disponibile in cinque lingue, è una rivista di propaganda: ma si tratta di propaganda per musulmani. La sua cronaca trionfalistica delle vittorie dell'Isis può certamente essere messa in dubbio. Ma rimane un documento prezioso per capire l'ideologia di al-Baghdadi.
Il mercato ideologico dell'ultra-fondamentalismo islamico è molto affollato. Per affermarsi su questo mercato l'Isis deve distinguersi nettamente da altri gruppi ed attaccarli come eretici. I nemici dell'Isis sono sostanzialmente due: la galassia che fa capo ai Fratelli Musulmani, la casa madre del fondamentalismo islamico, e al-Qa'ida. Leggendo Dabiq si scopre l'importanza per l'Isis di un vero e proprio evento di fondazione: la morte nel 2006 in Iraq del terrorista internazionale giordano Abu Musa al-Zarqawi. Zarqawi, che aveva sempre mantenuto buoni rapporti con il regime di Saddam Hussein, dopo la caduta di questo e l'invasione americana era stato nominato da Osama bin Laden "emiro" di al-Qa'ida in Iraq. In seguito, tuttavia, tra bin Laden e Zarqawi emersero crescenti dissensi. Zarqawi aveva metodi da tagliagole, culminati nella decapitazione dell'ostaggio americano Nicholas Berg, eccessivi e propagandisticamente controproducenti perfino per al-Qa'ida. Ma soprattutto Zarqawi teorizzava il massacro di tutti i non sunniti: cristiani, seguaci di altre religioni e anche “eretici” sciiti. Le sue milizie distruggevano in Iraq interi villaggi sciiti, uccidendo tutti gli abitanti. 
All'epoca, al-Qa'ida non aveva fra le sue priorità l'attacco ai cristiani (dopo, le cose sono cambiate), e soprattutto nella complessa strategia geopolitica di bin Laden un'occasionale retorica contro gli sciiti coesisteva con rapporti, mai interrotti e necessari, con l'Iran sciita. Lo si dice di rado apertamente, ma in Medio Oriente molti sono tuttora convinti che le indicazioni per trovare e uccidere Zarqawi nel 2006 siano state fatte arrivare agli americani dallo stesso vertice di al-Qa'ida. Per l'Isis, in questa controversia, Zarqawi è stato l'eroe e bin Laden il cattivo. Per l'Isis, infatti, la creazione di zone integralmente sunnite, risultato di una “pulizia etnica” che elimini cristiani, seguaci di altre religioni come gli yezidi e anche musulmani sciiti, è essenziale all'idea stessa del Califfato. Inoltre «Dabiq» spiega che la restaurazione del Califfato è l'aspetto essenziale della lotta islamica nel XXI secolo. Tutto il resto è secondario, e al-Qa'ida ha dedicato troppo energie agli attentati terroristici in Occidente. 
Combattenti islamici dell'Is
Oggi, secondo Dabiq, al-Qa'ida sbaglia a consigliare agli ultra-fondamentalisti che vivono in Europa e negli Stati Uniti di costituire cellule là dove si trovano e preparare attentati. All contrario, è un dovere religioso emigrare nelle zone della Siria e dell'Iraq e arruolarsi nelle truppe del Califfato. Quest'ultimo, insiste al-Baghdadi, dev'essere unico e la strategia attuale di al-Qa'ida di costituire “emirati” su territori non contigui fra loro in Siria, Somalia, Nigeria, Pakistan è sbagliata. Non già che l'Isis non voglia uno scontro con l'Occidente. Al contrario, questo è militarmente e anche teologicamente essenziale alla vittoria finale del Califfato. Lo mostra la stessa scelta del titolo della rivista, Dabiq, che è il nome di una cittadina in Siria dove, secondo un ben noto “hadith”, cioè un detto attribuito a Muhammad, avverrà nei tempi ultimi lo scontro finale fra i musulmani e i cristiani, quello che aprirà all'islam la via verso Roma. Questa ideologa apocalittica spiega perché l'Isis non solo non tema, ma auspichi un intervento contro il suo territorio di americani ed europei e anche della Russia, per cui in Siria moltiplica le provocazioni anti-russe. «
Dabiq ci spiega che fa tutto parte del piano di Allah per i tempi ultimi: i “cristiani” (europei, americani, russi) devono essere attirati a combattere nella terra dell'islam, e lì sconfitti, dopo che un'invasione “cristiana” avrà mostrato al mondo islamico che al-Baghdadi è il vero Califfo e fatto accorrere musulmani di tutto il mondo ad arruolarsi sotto le sue bandiere. Leggendo Dabiq emerge anche - ed è confermato da tante altre fonti - come lo scontro fra Isis e al-Qa'ida non sia puramente teorico. Al-Qa'ida ha una sua organizzazione che combatte contro il regime di Assad in Siria, Jabhat al-Nusra, e fra l'Isis e Jabhat al-Nusra è in corso uno scontro non solo politico, ma militare, con centinaia di morti. Va anche capito perché i Fratelli Musulmani (compresa la direzione di Hamas in Palestina e i leader dei Fratelli attualmente in carcere in Egitto) nella retorica dell'Isis non siano alleati ma nemici. Sono considerati anche peggiori di al-Qa'ida, perché non solo mantengono rapporti con gli sciiti (nel caso di Hamas, sia con il regime di Assad, che è un alauita, cioè un fedele di uno scisma sciita, sia con l'Iran), ma non rifuggono, almeno in Palestina, dalla collaborazione con cristiani, purché di sentimenti anti-israeliani, cui promettono in un futuro Stato islamico, e già ora concedono a Gaza, una situazione non proprio uguale a quella dei musulmani, ma certo diversa dal regime di terrore in cui al-Baghdadi fa vivere le minoranze nel suo territorio. 
Il massimo dell'esecrazione è riservato all'islam politico turco del presidente Erdogan, che ha promesso all'Unione Europea piena libertà e uguaglianza per le minoranze religiose, cristiani compresi (che poi questa non sempre si realizzi in pratica, per l'Isis è secondario): il che spiega la furia di queste settimane di al-Baghdadi contro i turcomanni dell'Iraq, accusati di essere una «longa manus» della Turchia. L'ideologia del Califfato di al-Baghdadi va dunque studiata e capita bene. La Santa Sede ha fattualmente ragione quando afferma che i musulmani non sono tutti uguali, anche se, come abbiamo messo più volte in luce su queste pagine, vi sono problemi irrisolti quanto al rapporto fra fede e ragione e fede e violenza che attraversano tutto l'islam. 
Neppure i fondamentalisti islamici sono tutti uguali, e neppure gli ultra-fondamentalisti violenti. Tra Fratelli Musulmani, al-Qa'ida, Isis ci sono differenze reali, che portano a scontri non solo ideologici e politici, ma militari. Non si limitano a discutere di teologia, si ammazzano tra loro. Il Califfato è un pericolo non solo per i non musulmani, ma anche per i musulmani non sunniti e per gli Stati islamici vicini, che al-Baghdadi considera tutti illegittimi ed eretici. Se si vuole fermare l'Isis, e proteggere le minoranze che minaccia di sterminare, a partire dai cristiani, si deve tenere conto della sua ideologia. E magari lavorare sulle contraddizioni che sempre più radicalizzano lo scontro fra l'Isis e altre componenti dell'islam politico.