giovedì 28 agosto 2014

La prospettiva cristiana sulla storia


In molti si appassionano alla storia e amano speculare sul destino dei popoli, cercando di trarne una qualche indicazione di giudizio o di direzione del moto degli eventi. Tra i tanti che discettano così di “filosofia della storia”, sorprende l’esiguità, per non dire la quasi nullità, del numero di coloro che si ricordano quale sia e quale debba essere la prospettiva cristiana con cui osservare e ammirare la storia. Ritengo pertanto sommamente utile proporre queste pagine molto dense del grande Guéranger, dedicate alla presenza del soprannaturale nella storia, all’atteggiamento che il cristiano deve avere nel confrontarsi con gli avvenimenti di ogni tempo e a una disanima delle aporie di chi si allontana dalla prospettiva ermeneutica corretta, fornita unitamente dalla fede e garantita dal perdurare glorioso della Chiesa. Non si mancherà, inoltre, di notare la straordinaria fede dell’abate francese, incrollabilmente certo, oltre che della provvidenziale guida divina nella storia, anche della missione eterna e infallibile della Chiesa: quanto poco si trova oggi questa fiducia e questa consapevolezza, anche all’interno del clero!
Dom Gueranger
Come per il cristiano non esiste una filosofia a sé stante così non esiste per lui neppure una storia puramente umana. L’uomo è stato chiamato da Dio a un destino soprannaturale; questo è il suo fine; la storia dell’umanità deve offrirne testimonianza. Dio avrebbe potuto lasciare l’uomo allo stato naturale; nella sua bontà si è compiaciuto di destinarlo a un ordine superiore, rivelandosi a lui e chiamandolo alla visione finale e al possesso ultimo della sua essenza divina; la fisiologia e la psicologia naturali sono dunque impotenti a dar ragione del destino dell’uomo che può essere spiegato soltanto ricorrendo alla rivelazione; qualsiasi filosofia che, prescindendo dalla fede, pretenda di determinare il fine dell’uomo per mezzo della sola ragione, è per ciò stesso colpevole di eterodossia ed è riconosciuta tale. Dio solo, tramite la rivelazione, poteva insegnare all’uomo tutto ciò che egli è nel piano divino; questa è l’autentica chiave di lettura dell’uomo. Non vi è dubbio che la ragione possa, con le sue speculazioni, analizzare i fenomeni dello spirito, dell’anima e del corpo, ma, proprio in quanto è incapace di afferrare il fenomeno della grazia che trasforma lo spinto, l’anima e il corpo per unirli a Dio in maniera ineffabile, essa non è in grado di spiegare l’uomo nella sua essenza né quando la grazia santificante che è in lui ne fa un essere divino, né quando, per la mancanza di tale elemento soprannaturale cacciato dal peccato o non ancora penetrato in lui, l’uomo si trova ad essere degradato. Non esiste dunque, né può esistere, vera conoscenza dell’uomo al di fuori della rivelazione. La rivelazione soprannaturale non era di per sé necessaria: l’uomo non vi aveva alcun diritto; ma Dio l’ha data e promulgata; da allora la natura da sola non è più sufficiente a spiegare l’uomo. La presenza o l’assenza della grazia, la grazia stessa, occupano il primo posto nello studio antropologico. Non c’è in noi una sola facoltà che non rimandi al suo complemento divino; la grazia aspira a pervadere l’uomo nella sua interezza, a insediarsi in ogni sua parte, e affinché l’armonia del naturale e del soprannaturale in questa creatura privilegiata sia perfetta, l’Uomo-Dio ha istituito i sacramenti che si impossessano dell’uomo, lo elevano, lo divinizzano dalla nascita fino al momento in cui approda alla visione eterna del sommo bene che sia egli possedeva, ma che poteva percepire solo attraverso la fede.
Ma se è impossibile conoscere l’uomo nella sua totalità senza l’ausilio della luce rivelata, come è possibile supporre di spiegare la società umana in tutte le fasi che ne costituiscono la Storia senza far ricorso a questa stessa fiaccola divina che ci illumina sulla nostra natura e i nostri destini individuali? L’umanità avrebbe forse un fine diverso dall’uomo? L’umanità sarebbe qualcosa d’altro della somma degli uomini? No. Chiamando l’uomo all’unione divina, il Creatore vi convoca l’umanità. Ne saremo testimoni l’ultimo giorno quando milioni e milioni di individui glorificati formeranno alla destra del giudice sommo il popolo immenso “di cui sarà impossibile” dice San Giovanni “fare il censimento” (Apoc. VII, 9). Nell’attesa,l’umanità, intendo la storia, rappresenta il grande palcoscenico sul quale si dispiega nella sua interezza l’importanza dell’elemento soprannaturale, sia quando la docilità dei popoli alla fede consente a tale elemento di prevalere sulle tendenze basse e perverse presenti nelle nazioni come negli individui, sia quando esso si indebolisce e sembra sparire a causa del cattivo uso della liberà umana che porterebbe al suicidio degli imperi, se Dio non li avesse creati guaribili (Sapienza 1, 14).
La storia deve pertanto essere cristiana se vuole essere vera; perché il cristianesimo è la verità completa; qualsiasi sistema storico che prescinda dall’ordine soprannaturale nell’esposizione e nell’interpretazione dei fatti, è un falso sistema che non spiega nulla e che lascia la storia dell’umanità nel caos e nella contraddizione permanenti con tutte le idee che la ragione elabora circa i destini della nostra specie su questa terra. E perché hanno capito tutto questo che gli storici contemporanei, non appartenenti alla fede cristiana, si sono lasciati irretire da strane teorie nel formulare la cosiddetta filosofia della storia. Ai tempi del paganesimo non esisteva questo bisogno di generalizzazione. Gli storici gentili non hanno teorie globali sulla storia. L’idea di patria è tutto per loro e dal tono della narrazione non trapela mai il minimo affetto per il genere umano in sé. Del resto, è soltanto con il cristianesimo che la storia ha incominciato ad essere trattata in maniera sintetica; il cristianesimo, non dimenticando mai il destino soprannaturale del genere umano, ha abituato il nostro spirito a vedere al di là del cerchio angusto dell’egoismo nazionale. È in Gesù Cristo che si è rivelata la fratellanza umana, e da allora la storia universale è divenuta oggetto di studio. Il paganesimo ha saputo dare soltanto una fredda statistica di fatti; non è mai stato in grado di redigere in modo completo la storia del mondo. Non è stato sottolineato con sufficiente vigore che è stata la religione cristiana a creare la vera scienza storica, dandole la Bibbia per base. Nessuno può negare che oggi, nonostante i secoli trascorsi, malgrado le lacune, la nostra conoscenza dei popoli dell’antichità è più avanzata di quanto non fosse quella degli stessi storici antichi. Gli storici non cristiani del XVIII e del XIX secolo hanno attinto dal metodo cristiano il criterio di generalizzazione, ma l’hanno diretto contro il sistema ortodosso. Hanno capito ben presto che impadronendosi della storia e trasformandola secondo le loro idee davano un duro colpo al principio soprannaturale. Il loro successo è stato immenso; non tutti sono capaci di seguire e apprezzare un ragionamento sofisticato; ma tutti capiscono un fatto, una successione di fatti, soprattutto quando lo storico possiede quell’accento particolare che ogni generazione esige in coloro cui accorda il privilegio di affascinarla. Tre scuole hanno sfruttato, volta a volta, e anche simultaneamente, la storia. La scuola fatalista, che potremmo definire atea, che vede soltanto la necessità negli avvenimenti e mostra la specie umana alle prese con una concatenazione invincibile di cause brute cui seguono effetti inevitabili. La scuola umanitaria che si prosterna davanti all’idolo del genere umano, di cui proclama lo sviluppo progressivo mediante le rivoluzioni, le filosofie, le religioni. Questa scuola ammette l’intervento di Dio all’origine dell’umanità; ma Dio ha lasciato che l’umanità, una volta emancipata, percorresse il proprio cammino ed essa avanza sulla via di una perfezione indefinita, spogliandosi lungo il cammino di tutto ciò che potrebbe ostacolare la sua marcia libera e indipendente. Infine, abbiamo la scuola naturalista, la più pericolosa delle tre, perché ha la parvenza del cristianesimo in quanto proclama ad ogni pagina l’azione della Provvidenza divina. Questa scuola per principio prescinde costantemente dall’elemento soprannaturale; la rivelazione non esiste, il cristianesimo è un incidente felice e benefico nel quale si manifesta l’azione di cause provvidenziali; ma chissà che domani, fra un secolo o due, le risorse infinite di Dio nel governare il mondo non conducano ad una forma ancora più perfetta con l’aiuto della quale il genere umano si avvierà, sotto l’occhio di Dio, verso nuovi destini e la storia si illuminerà di una luce più viva?
Al di fuori di queste tre scuole esiste soltanto la scuola cristiana. Questa non cerca, non inventa, non esita. Il suo metodo è semplice: consiste nel giudicare l’umanità con lo stesso metro con cui giudica l’individuo. La sua filosofia della storia è la fede. Sa che il Figlio di Dio fatto uomo è il re di questo mondo, e che “gli è stato dato ogni potere in cielo e in terra” (Matteo XXVIII, 18). L’apparizione del Verbo incarnato sulla terra è il punto culminante della storia, che da questo evento viene divisa in due grandi epoche: prima di Gesù Cristo, dopo Gesù Cristo. Prima di Gesù Cristo, un’attesa di molti secoli; dopo Gesù Cristo, una durata il cui segreto è ignoto all’uomo, perché nessun uomo conosce l’ora della nascita dell’ultimo eletto; ed è per gli eletti, per i quali il Figlio di Dio si è incarnato, che il mondo è conservato. Con questo dato certo, di una certezza divina, la storia non ha più misteri per il cristiano.
Se egli volge lo sguardo al periodo antecedente l’Incarnazione del Verbo, tutto appare chiaro ai suoi occhi. Il movimento delle diverse razze, la successione degli imperi sono la preparazione per l’avvento dell’Uomo-Dio e dei suoi messaggeri; la depravazione, le tenebre, le inaudite calamità testimoniano il bisogno dell’uomo di vedere Colui che è nello stesso tempo Salvatore e Luce del mondo. Non che Dio abbia votato all’ignoranza e al castigo la prima epoca dell’umanità; al contrario, l’aiuto divino non è mancato e ad essa appartiene Abramo, il padre di tutti i futuri credenti; tuttavia la più grande profusione di grazia è opera delle mani divine di Colui senza il quale nessuno è potuto essere giusto prima della sua venuta e nessuno potrà esserlo dopo.
Egli giunge infine, e l’umanità, il cui progresso aveva subito un arresto, si lancia sulla via della luce e della vita; in questo secondo periodo in cui tutte le promesse sono adempiute, lo storico cristiano individua ancora meglio i destini della società umana. Gli insegnamenti dell’Uomo-Dio gli rivelano con sovrana chiarezza il criterio di interpretazione che deve usare per giudicare gli avvenimenti, la loro moralità e la loro portata. Il criterio è unico, che si tratti di un uomo o di un popolo. Tutto ciò che esprime, conserva o diffonde l’elemento soprannaturale, è socialmente utile e vantaggioso; tutto ciò che l’ostacola, lo indebolisce e lo annienta, è socialmente funesto. Per mezzo di questo procedimento infallibile, lo storico comprende il ruolo degli uomini di azione, gli avvenimenti, le crisi, le trasformazioni, le decadenze; sa in anticipo che Dio agisce nella sua bontà oppure tollera nella sua giustizia ma senza mai derogare al suo disegno eterno che è di glorificare il Figlio nell’umanità.
Ma ciò che rende la visione dello storico cristiano ancora più solida e serena è la certezza che gli dà la Chiesa, la quale ininterrottamente gli rischiara il cammino come un faro e illumina di divino i suoi giudizi. Egli sa quanto stretto sia il legame che unisce la Chiesa all’Uomo-Dio, quanto la Chiesa sia salvaguardata dalla promessa divina dalla possibilità di commettere qualsiasi errore nell’insegnamento e nella guida generale della società cristiana, e quanto profondamente lo Spirito Santo l’animi e la conduca; è dunque in essa che lo Storico cercherà il criterio dei propri giudizi. Le debolezze degli uomini di Chiesa, gli abusi temporanei, non lo stupiscono perché sa che il Padre della famiglia umana ha deciso di tollerare la zizzania nel suo campo fino alla mietitura. Se deve raccontare, sarà attento a non tralasciare tristi episodi che testimoniano le passioni dell’umanità e attestano allo stesso tempo la forza del braccio di Dio che ne sostiene l’opera; ma sa dove riconoscere la direzione, lo spirito della Chiesa, il suo istinto divino. Li riceve, li accetta, li confessa coraggiosamente; li applica nei suoi scritti. Parimenti non tradisce e non sacrifica; chiama buono ciò che la Chiesa giudica buono, cattivo ciò che la Chiesa giudica cattivo.
Che cosa gli importano i sarcasmi, i clamori dei vigliacchi dalle vedute meschine? Sa di essere nel vero perché è con la Chiesa e la Chiesa è con il Cristo. Altri si ostineranno a vedere soltanto il lato politico degli avvenimenti, ritorneranno al punto di vista pagano; egli resiste perché è sicuro in anticipo di non sbagliare. Se oggi le apparenze sembrano essere contro la sua visione, sa che domani i fatti, la cui portata non è ancora del tutto manifesta, daranno ragione alla Chiesa e a lui. È un ruolo umile, lo ammetto; ma vorrei sapere quali garanzie paragonabili a queste possano invocare lo storico fatalista, lo storico umanitario e lo storico naturalista. Essi propongono la loro concezione individuale; ognuno ha il diritto di rifiutarla. Per demolire lo storico cristiano è necessario in primo luogo demolire la Chiesa su cui egli poggia. È vero che da diciannove secoli tiranni e filosofi sono all’opera, ma le sue mura sono così solidamente costruite che sino ad ora non hanno potuto staccarne una sola pietra.
(Prosper Guéranger, Il senso cristiano della storiaIl soprannaturale nella storia)