venerdì 26 settembre 2014

Beatificazione di mons. Del Portillo: Intervista al Prelato dell'Opus Dei

Santità nella quotidianità: mons. Álvaro del Portillo domani beato

Intervista con mons. Javier Echevarría, prelato dell'Opus Dei, in occasione della beatificazione del primo successore di san Josemaría Escrivá


Tanti si ricordano la data del 5 luglio 2013: in quel giorno Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto della Congregazione per le Cause dei Santi circa il miracolo attribuito all'intercessione del Beato Giovanni Paolo II, che ha aperto la strada alla sua canonizzazione. Non tutti, però, sanno che nel corso della stessa udienza al prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, il card. Angelo Amato, il Santo Padre ha autorizzato anche la promulgazione del decreto sul miracolo per l’intercessione di mons. Álvaro del Portillo (1914-1994), il primo successore di san Josemaría Escrivá alla guida dell'Opus Dei, aprendo così la strada per la sua beatificazione. 

*

La solenne cerimonia della beatificazione di don Álvaro si terrà nella sua città natale Madrid domani, 27 settembre, presieduta dal cardinale. Amato. Il giorno seguente, mons. Javier Echevarría, attuale prelato dell'Opus Dei, celebrerà la Santa Messa di ringraziamento. Per l'Opus Dei è una grande festa: dopo la beatificazione e canonizzazione del fondatore, sarà beatificato il suo più stretto collaboratore e successore. In questa occasione, abbiamo intervistato mons. Javier Echevarria.
***
Il 27 settembre sarà beatificato a Madrid mons. Álvaro del Portillo, il successore di Josemaría Escrivá de Balaguer alla guida dell’Opus Dei. Che cosa dovremmo sapere di questo futuro Beato?
Alvaro del Portillo è stato prima un ingegnere; poi un sacerdote e 
dopo un vescovo che ha amato molto il Signore e la Chiesa, e tutte le anime. Forse il tratto più caratteristico della sua personalità era il desiderio di compiere fedelmente la volontà di Dio in ogni momento. Aveva una grande simpatia, sempre col sorriso sulle labbra; affabile, con una gentilezza ereditata in parte dalla delicatezza di sua madre donna Clementina, messicana, ma anche frutto della pratica costante della virtù della carità. Il decreto della Santa Sede sulle virtù eroiche lo ritiene un “uomo di profonda bontà e affabilità, capace di trasmettere pace e serenità alle anime”. Il Signore si servì di quel suo modo di essere per avvicinare alla Chiesa molte persone.
Aveva un debole per il sacramento della riconciliazione. Ne parlava sempre nelle sue catechesi. Alla domanda di un giornalista su quale fosse stato il momento più felice della sua vita, rispose subito: “Ogni volta che ricevo il perdono di Dio nella Confessione”. Era anche un uomo riconoscente. Alcune delle parole uscite più volte della sua bocca sono “grazie” e “grazie a Dio”. Le ripeteva molte, moltissime volte al giorno. Non mancava nel suo carattere un continuo spirito di servizio. Negli anni di gioventù, si recava frequentemente nelle periferie di Madrid per dare catechesi e prestare aiuti materiali ai più bisognosi. E quello stesso atteggiamento lo mantenne per tutta la vita.
Sulle orme di san Josemaría, promosse in tutto il mondo numerose iniziative sociali a favore dei più bisognosi, come l’ospedale Monkole in Congo o la Scuola Pedreira in una favela brasiliana. Diffuse questa responsabilità anche tra imprenditori, industriali e, in generale, tra uomini e donne che disponevano di mezzi economici. Considerava queste iniziative sociali ed educative come un dovere, derivato dalla giustizia e dalla carità che devono guidare l’agire cristiano, e da un amore sincero a tutti.
La Chiesa procede con le beatificazioni e le canonizzazioni per proporre ai credenti modelli da imitare. Quali erano i tratti salienti della santità di mons. Álvaro da imitare oggi?
È difficile sintetizzarli, ma le segnalo almeno tre aspetti che mi colpiscono sempre: la sua fedeltà, la sua umiltà e il suo sorriso. Fu un esempio di fedeltà alla Chiesa, ai Papi con cui fu in contatto (da Pio XII a Giovanni Paolo II), fedeltà alla sua vocazione e, quindi, fedeltà al fondatore dell’Opus Dei. Nel suo lavoro pastorale nei diversi continenti parlava anche di fedeltà alle coppie, alle famiglie, agli amici. Faceva comprendere la fedeltà come una virtù creativa, che esige un rinnovamento quotidiano, attraverso tanti piccoli atti di amore. Penso che sia un esempio importante per un’epoca in cui sono in crisi alcuni valori fondanti per la stabilità delle relazioni familiari e sociali. Mi piace soffermarmi anche sulla sua umiltà: mons. Del Portillo – lo raccontano tutti quelli che hanno lavorato con lui nel Concilio Vaticano II – non cercava mai di imporre sé stesso o le proprie opinioni. Nonostante le sue grandi qualità umane ed intellettuali, scelse di vivere i suoi incarichi in modo sempre discreto, nell’Opus Dei per aiutare san Josemaría a compiere la sua missione, e tutti gli altri, nella Chiesa, pensando esclusivamente alla gloria di Dio e alle anime. Nel 1975, è stato chiamato a succedere al fondatore, e il suo programma di governo aveva un solo scopo: mantenere la continuità. Con umiltà sincera, affermava che non desiderava altro se non essere l’ombra in terra della presenza di san Josemaría. In questo modo seguiva anche un consiglio ricevuto nel 1976 dal prossimo beato Paolo VI, che gli disse di pensare sempre a come avrebbe agito il fondatore. Infine, mi sembra che anche il suo sorriso permanente, visibile a tutti, nasconda un tratto saliente del suo camminare cristiano: pensare sempre agli altri, e dimenticare se stesso. Questo atteggiamento ha fatto di lui un uomo felice, ed un seminatore di pace e di gioia.
Grazie a quale miracolo tramite l’intercessione di mons. Álvaro si è potuto arrivare alla beatificazione?
Il miracolo approvato da Papa Francesco riguarda la guarigione completa di un neonato del Cile, José Ignacio Ureta Wilson, nell’agosto del 2003. Dopo aver subito un arresto cardiaco di 30 minuti e un’emorragia massiccia, non solo ha continuato a vivere, ma si è ripreso completamente senza alcun danno neurologico. I suoi genitori pregarono con grande fede per mezzo dell’intercessione di Mons. del Portillo e quando i medici pensavano che José Ignacio fosse morto, senza alcun trattamento ulteriore, il suo cuore riprese a battere. Il ragazzo oggi, undici anni dopo, conduce una vita di assoluta normalità.
Josemaría Escrivá de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei, è stato già beatificato e canonizzato. Adesso viene beatificato il suo primo successore alla guida dell’Opera (dal 1974 al 1995). Questo vuol dire che il carisma dell’Opus Dei aiuta la santificazione personale?
Il messaggio dell’Opus Dei è proprio quello della chiamata universale alla santità. In questo senso, la beatificazione di don Álvaro ci ricorda che tutti possiamo diventare santi nelle circostanze ordinarie del lavoro, delle relazioni familiari, di amicizia, come ha predicato san Josemaría. Chiedo a Dio che la prelatura dell’Opus Dei possa continuare sempre a ricordare a tante anime questa realtà e possa accompagnare milioni di persone nella ricerca di Dio nel lavoro e nella vita quotidiana.
Giovanni Paolo II ha avuto un ruolo importantissimo nella storia dell’Opus Dei. Prima di tutto ha eretto l’Opera a “prelatura personale”. In seguito ha beatificato Josemaría Escrivá de Balaguer (17 maggio 1992) e l’ha canonizzato (6 ottobre 2002).  Ma non tutti sanno che Karol Wojtyła prima, e Giovanni Paolo II poi, manteneva contatti personali con i membri dell’Opus Dei, tra cui don Álvaro del Portillo. Cosa potrebbe raccontarci dei rapporti tra loro?
San Giovanni Paolo II e il venerabile Álvaro del Portillo si erano conosciuti durante il Concilio Vaticano II. Dopo l’elezione del cardinale Karol Wojtyla a Vicario di Cristo, furono uniti da una profonda vicinanza, a cominciare da una grande, solida fiducia filiale da parte del prelato dell’Opus Dei. Penso che si sintonizzarono subito perché erano due sacerdoti, due vescovi, innamorati della Chiesa e con un grande amore per le anime. Mons. Álvaro del Portillo ammirava molto la generosità e la donazione del Papa santo e cercò di assecondare fedelmente tutte le iniziative di evangelizzazione proposte da Giovanni Paolo II. Forse è per questo che l’allora Pontefice incoraggiò vari pastori a cercare l’appoggio spirituale in Mons. del Portillo.
Quel contatto filiale, di collaborazione, era frequente e durò fino all’ultimo giorno. Mi pare che ce lo mostri il fatto che, il giorno prima di morire, scrisse una cartolina dalla Terra Santa nella quale, tramite il segretario personale di Giovanni Paolo II, manifestava al Papa “il nostro desiderio di essere fideles usque ad mortem (fedeli fino alla morte) nel servizio alla Santa Chiesa ed al Santo Padre”. Non posso tralasciare di ricordare un altro momento: Giovanni Paolo II, alla morte di Mons. del Portillo, decise di recarsi a pregare davanti ai suoi resti mortali, nella Chiesa prelatizia di Santa Maria della Pace. È stato per me un momento di grazia e di conforto spirituale. Tra loro intercorreva una grande sintonia spirituale.
*
Questa intervista sarà pubblicata in inglese sul prossimo numero del mensile “Inside the Vatican” e in polacco sul settimanale cattolico “Niedziela” (n. 40/2014) 

*

A Madrid la beatificazione di Álvaro del Portillo. Fedeltà con il sorriso sulle labbra

(Javier Medina Bay, Postulatore della causa di canonizzazione) Nonostante un ritmo di lavoro molto intenso, non si concedeva soste, ma aveva sempre il sorriso sulle labbra. È uno degli aspetti più signficativi della personalità del vescovo Álvaro del Portillo, che il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, in rappresentanza di Papa Francesco, beatifica a Madrid, sabato 27 settembre. Del Portillo è stato un uomo veramente felice. Il suo cuore era pieno di amore per Dio e per gli uomini. Tutti coloro che si avvicinarono a lui ricordano un sacerdote buono, che sapeva comprendere, che nutriva una fiducia incondizionata negli altri e nella loro lealtà. Era un padre affabile e sorridente, che diffondeva intorno a sé un clima di serenità, anche nei momenti più difficili. San Josemaría Escrivá, in sua assenza, disse una volta di lui a un gruppo di fedeli dell’Opus Dei: «Ha saputo sacrificare con un sorriso tutto ciò che aveva di personale. E se mi domandate: “Qualche volta è stato eroico?” vi rispondo: sì, molte volte è stato eroico, molte; di un eroismo che sembra qualcosa di ordinario». Un eroismo, appunto, nascosto dietro un sorriso.
Nato a Madrid (Spagna) l’11 marzo 1914, in una famiglia numerosa dalle profonde radici cristiane, era tecnico delle opere pubbliche, dottore in ingegneria civile e dottore in lettere (sezione di storia) e in diritto canonico. Dal 1935 fece parte dell’Opus Dei e cercò di vivere sempre con lealtà e fedeltà la vocazione cristiana, nel lavoro e nel compimento dei doveri quotidiani, avvicinando a Dio i compagni di studio, i colleghi e molte altre anime. Il 25 giugno 1944 fu ordinato sacerdote e da allora si prodigò nel compimento del ministero pastorale. 
Nel 1946 si trasferì a Roma per aiutare il fondatore Josemaría Escrivá de Balaguer nel governo e nell’apostolato dell’Opus Dei in tutto il mondo. Inoltre, dal pontificato di Pio XII fino a quello di Giovanni Paolo II, svolse molti incarichi al servizio della Santa Sede: partecipò attivamente al concilio Vaticano II e fu consultore di diversi dicasteri e organismi vaticani. 
Il 15 settembre 1975, a pochi mesi della scomparsa del fondatore, monsignor Álvaro del Portillo fu eletto alla guida dell’Opus Dei. Il 28 novembre 1982, Giovanni Paolo II eresse l’Opus Dei in prelatura personale, composta da fedeli laici e sacerdoti secolari, e lo nominò primo prelato della circoscrizione ecclesiastica. Nel 1991 gli conferì l’ordinazione episcopale. 
Negli anni in cui guidò l’Opus Dei, Álvaro del Portillo promosse l’inizio delle attività pastorali della prelatura in 20 nuovi Paesi e incoraggiò l’avvio di numerose iniziative sociali ed educative nei cinque continenti, come per esempio l’ospedale Monkole a Kinshasa, l’ospedale Niger Foundation di Enugu (Nigeria), l’università campus bio-medico a Roma, la Pontificia università della Santa Croce e il collegio ecclesiastico internazionale Sedes sapientiae, sempre a Roma, dove migliaia di seminaristi e sacerdoti hanno ricevuto un’accurata formazione dottrinale e spirituale. 
La sua attività di governo fu caratterizzata da una profonda comunione con il Papa e con gli altri vescovi, da una fedeltà assoluta al fondatore e al suo messaggio e da un impegno pastorale instancabile. 
Morì all’alba del 23 marzo 1994, poche ore dopo il rientro da un pellegrinaggio in Terra santa, dove aveva seguito con intensa devozione il cammino terreno percorso da Gesù. Informato della sua scomparsa, Giovanni Paolo II si recò a pregare dinanzi alle sue spoglie mortali, nella chiesa prelatizia di Santa Maria della Pace, in Roma. 
In questi anni, la sua fama di santità si è ampliata continuamente. Basti considerare che sono pervenute più di 13.000 relazioni firmate di favori ottenuti attraverso la sua intercessione, spesso da luoghi in cui l’Opus Dei non è nemmeno presente. Si tratta di grazie di ogni tipo: materiali e spirituali. Certamente, le più sorprendenti sono le guarigioni straordinarie, ma ci sono tantissimi doni ricevuti, forse meno appariscenti ma ugualmente preziosi. 
Il nucleo del messaggio dell’Opus Dei è la santificazione del lavoro ordinario ed egli lo ha incarnato in modo esemplare. Per tutta la vita lavorò senza sosta, prima come ingegnere, poi come sacerdote e negli ultimi anni come vescovo, dando sempre un senso soprannaturale al suo operato, nel quale cercava la gloria di Dio e il bene del prossimo. Proprio per questo, la sua vita e il suo esempio costituiscono un insegnamento di valenza universale: non soltanto per i cattolici, ma per tutti coloro che cercano un senso non effimero alle realtà terrene. Álvaro del Portillo ci mostra che una vita pienamente cristiana vale la pena di essere vissuta.
La fedeltà è una virtù creativa, che esige un continuo rinnovamento interiore. Non è un semplice “conservare”, ma trarre virtualità sempre nuove dal tesoro ricevuto — la fede, la propria vocazione — per farlo crescere, per difenderlo, per condividerlo con generosità. La fedeltà è l’altra faccia della medaglia dell’amore e, pertanto, fedeltà è sinonimo di felicità. 
L'Osservatore Romano