domenica 28 settembre 2014

Il paradiso perduto




di Padre Giovanni Cavalcoli
“Il paradiso perduto” (The paradise lost), come è noto, è il titolo di un poema epico del grande poeta inglese John Milton, vissuto nel sec.XVII e che fu altresì filosofo e teologo. Narra la tragedia della cacciata dei nostri progenitori dal paradiso terrestre a seguito del peccato originale e le sue immediate conseguenze nella storia dell’umanità.
Tale cacciata con i fatti immediatamente susseguenti è un dato della rivelazione biblica, che curiosamente è quasi ignorato dalla teologia moderna ed ancor più dalla predicazione e dalla pastorale correnti, quando invece è di grande importanza per mettere a confronto lo stato di innocenza primitivo con l’attuale stato di natura decaduta conseguente alla colpa originaria.
Naturalmente i fatti narrati dalla Bibbia al riguardo vanno interpretati con grande prudenza, anche perché non abbiamo il soccorso di particolari chiarimenti da parte della dottrina della Chiesa ed è un settore poco indagato dalla stessa teologia. Nel contempo sembra utile una riflessione su questi dati, che possono essere collegati con quanto oggi la paleoantropologia ci dice sulle origini dell’uomo.
Alquanto misterioso è il racconto della cacciata dall’Eden, perché non si tratta semplicemente di un fatto terreno, come può essere la cacciata in esilio di qualcuno da parte di un potente di questa terra. E’ chiaro invece che qui si tratta di un racconto che, in modo immaginoso e simbolico, vuole in qualche modo descrivere una reale cadutaontologica della natura umana da uno stato superiore di innocenza e da un luogo paradisiaco in uno stato inferiore di miseria e di tendenza al male su questa terra da noi ben conosciuta, in questo mondo, dove la natura non è madre, ma “matrigna”.
Sorge allora spontaneamente la questione del luogo, visto che si parla di cambiamento di luogo. Viene spontaneo chiedersi: dov’era l’Eden e dove sono andati ad abitare Adamo ed Eva? Sembra evidente che mentre il “luogo” dell’Eden appartiene ad un piano ontologico che trascende questo mondo, non fa nessun problema immaginare l’abitazione terrena dei progenitori in un luogo qualsiasi di questa terra.
E mentre la scienza non ha gli strumenti per chiarire non dico dove fosse l’Eden, ma neppure per immaginare come possa intendersi questo “luogo”, essa può indagare e dirci qualcosa dell’umanità primitiva, assai somigliante, come è noto, in modalità e gradi diversi a seconda dei tempi e dei luoghi, alla scimmia.
Altro problema posto dalla Bibbia è come ha potuto riprodursi e crescere di numero l’umanità primitiva. Infatti, come è noto dalla dottrina cattolica che raccoglie lo stesso racconto biblico, l’umanità ha avuto origine da una sola coppia. E questo è necessario, sempre secondo il dogma cattolico, per spiegare la diffusione della colpa originale, che avviene per generazione e non per semplice imitazione, dato che si tratta di una colpa innata che vien tolta dal battesimo.
Invece nel caso dell’ipotesi poligenista, volendo accettare il fatto del peccato originale, bisognerebbe ammettere che esso sia stato commesso simultaneamente o meno da una pluralità di coppie, cosa che non risulta assolutamente dal racconto biblico, circa in quale del resto la scienza non può dir nulla.
Quello che constata la scienza allo stato attuale delle ricerche e delle conoscenze, è la presenza dell’uomo scimmiesco di diverse morfologie e in strati geologici di diversa età in regioni della terra lontanissime fra di loro. Questo fatto innegabile potrebbe suggerire il poligenismo e l’origine dell’umanità da ceppi evolutivi indipendenti gli uni dagli altri.
Ma la cosa, alla luce della fede cattolica, si deve spiegare altrimenti e senza troppa difficoltà col fenomeno dell’emigrazione e di successive evoluzioni che hanno prodotto diversità di razze e stadi evolutivi più o meno avanzati dei vari gruppi etnici verso la morfologia dell’attuale homo sapiens.
Ciò è potuto avvenire per il fatto che i gruppi nel corso del tempo, allontanandosi gli uni dagli altri, forse per dissensi reciproci o per libere preferenze, sono rimasti isolati gli uni dagli altri, alcuni conservandosi, altri estinguendosi, e raggiungendo nel contempo e mantenendo una propria identità morfologica e culturale, ciascuna differente da quella degli altri gruppi.
La cosa poi diventa assai plausibile considerando che l’umanità, nella sua evoluzione, ha avuto a disposizione centinaia di migliaia di anni, come ci dice la scienza; per cui c’è stato tutto il tempo sufficiente per l’attuarsi di queste diverse evoluzioni, causate od occasionate da accidentalità dell’ambiente, dalla selezione naturale e soprattutto dai diversi gradi di forza fisica e di intelligenza dei diversi gruppi, per cui i gruppi più dotati e più intraprendenti hanno realizzato un progresso somatico e spirituale maggiore rispetto a quello degli altri.
Il primo episodio narrato dalla Bibbia, relativo all’inizio della storia dell’umanità peccatrice, noto anche ai ragazzi del catechismo, è la vicenda di Caino ed Abele, figli di Adamo ed Eva. Essa rappresenta emblematicamente un fatto che si ripeterà per tutto il corso della storia umana: l’innocente oppresso e perseguitato dal malvagio. Abbiamo in Caino la prima descrizione della coscienza turbata dalla colpa e tentata ad allontanarsi da Dio, nel quale si vede solo il punitore e non il Dio misericordioso.
Invece Dio, senza per questo scusare Caino, lo tratta con clemenza e lo protegge, proibendo già da adesso la pena di morte, cosa sorprendente già qui all’inizio della Bibbia, quando poi sappiamo con quanta facilità questa pena verrà prevista nella legislazione di Israele nei millenni seguenti.
Altro problema posto dalla prima riproduzione della specie umana, supposto il monogenismo biblico, è quello di come di fatto sia avvenuta. Se tutta l’umanità ha origine da Adamo ed Eva, bisogna ammettere per forza che essi abbiano avuto anche delle figlie, alle quali i figli si siano uniti per poter a loro volta generare.
Peraltro Caino ed Abele, circa l’identità dei quali la Chiesa non si è pronunciata, potrebbero anche rappresentare due gruppi di persone e al limite la stessa umanità divisa tra giusti e malvagi.
Appare evidente allora che a quei tempi di circostanze assolutamente straordinarie non poteva valere la proibizione dell’incesto. La Bibbia ricorda per nome solo un altro figlio di Adamo, Set (Gen 4,25). Di donne non si parla, probabilmente per la ben nota sottovalutazione della donna nell’antichità.
Inoltre, se Caino afferma preoccupato: “chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere” (Gen 4,14), evidentemente Adamo ed Eva generarono, oltre ai due fratelli, moltissimi altri esseri umani, che possano spiegare il timore di Caino, mentre nel contempo appare il principio di giustizia della pena di morte del criminale. Dio però interviene con severità per impedire lo spirito di vendetta. Egli infatti riserva a Sé la vendetta: “chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte” (v.15). E’ qui probabilmente prefigurata la pena eterna dopo la morte.
Quanto ai patriarchi antidiluviani, la loro vita è presentata come lunghissima a significare che restano tracce della vitalità edenica. Ma tali tracce verranno progressivamente a diminuire con il manifestarsi persistente della malvagità umana. Solo con l’avvento di Cristo, l’umanità, valendosi dei progressi della scienza e della medicina, comincerà gradualmente a recuperare la forza vitale edenica perduta col peccato, in vista della resurrezione alla fine del mondo.
I patriarchi vengono citati per nome con la rispettiva durata della loro vita. Come per Adamo ed Eva, Caino, Abele e Set, la Bibbia ci suggerisce che si tratti di personaggi storici. A parte i progenitori, la cui esistenza storica è di fede, per quanto riguarda gli altri personaggi la Chiesa non si è pronunciata.
Tutto quello che possiamo dire è che non è proibito supporre che l’agiografo, che scrisse attorno al sec.VI a.C., abbia avuto a disposizione tradizioni sacre antichissime, conservatesi grazie all’assistenza divina, similmente al modo col quale lo Spirito Santo assiste la Chiesa nel conservare la Sacra Tradizione, cosa che si manterrà sino alla fine del mondo, quand’anche questa accadesse tra 500 mila anni.
Altro elemento interessante dell’umanità primitiva secondo il racconto biblico è l’esistenza di “figli di Dio” (Gen 6,2) e di “giganti” (Gen 6,4), che si unirono con le “figlie degli uomini” (6,2). Chiaramente l’espressione “figli di Dio” significa semplicemente nobiltà e grandezza e nulla ha a che vedere con quella che sarà poi la “figliolanza divina” istituita da Gesù Cristo, anche se possiamo pensare che anche questa umanità primitiva, in quanto si sia comportata bene, sia stata salvata dai meriti infiniti di Cristo.
Questi dati della Scrittura, alcuni dei quali fanno parte del dogma, sono utili per un rapporto con i dati della scienza, in modo tale che fede e ragione collaborino vicendevolmente nella conoscenza della verità.