sabato 27 settembre 2014

Liturgia di ringraziamento nel 200° anniversario della ricostituzione della Compagnia di Gesù. Omelia di Papa Francesco



Liturgia di ringraziamento nel 200° anniversario della ricostituzione della Compagnia di Gesù. Omelia di Papa Francesco: "A volte il cammino che conduce alla vita è stretto e angusto, ma la tribolazione, se vissuta alla luce della misericordia, ci purifica come il fuoco, ci dà tanta consolazione e infiamma il nostro cuore affezionandolo alla preghiera"


Alle ore 17 di questo pomeriggio, Papa Francesco presiede nella Chiesa del SS. Nome di Gesù all’Argentina in Roma, la Liturgia di ringraziamento in occasione del 200° anniversario della ricostituzione della Compagnia di Gesù nella Chiesa universale, sancita da Papa Pio VII con la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum del 7 agosto 1814 Nel corso della solenne Liturgia, che comprende la recita dei Vespri e il canto del Te Deum, dopo la proclamazione del Vangelo e prima del rinnovo delle promesse da parte dei gesuiti presenti, il Santo Padre Francesco tiene l’omelia che riportiamo di seguito:
E' l’amore a giudicare la storia, 
e la speranza – anche nel buio – è più grande 
delle nostre attese
Cari fratelli e amici nel Signore,
la Compagnia insignita del nome di Gesù ha vissuto tempi difficili, di persecuzione. Durante il generalato del p. Lorenzo Ricci «i nemici della Chiesa giunsero ad ottenere la soppressione della Compagnia» (Giovanni Paolo II, Messaggio a p. Kolvenbach, 31 luglio 1990) da parte del mio predecessore Clemente XIV. Oggi, ricordando la sua ricostituzione, siamo chiamati a recuperare la nostra memoria, fare memoria, richiamando alla mente i benefici ricevuti e i doni particolari (cfr Esercizi Spirituali, 234).
Oggi voglio farlo qui con voi. 
In tempi di tribolazione e di turbamento si solleva sempre un polverone di dubbi e di sofferenze, e non è facile andare avanti, proseguire il cammino. Soprattutto nei tempi difficili e di crisi vengono tante tentazioni: fermarsi a discutere di idee, lasciarsi trasportare dalla desolazione, concentrarsi sul fatto di essere perseguitati e non vedere altro. Leggendo le lettere del p. Ricci una cosa mi ha molto colpito: la sua capacità di non farsi imbrigliare da queste tentazioni e di proporre ai gesuiti, in tempo di tribolazione, una visione delle cose che li radicava ancora di più nella spiritualità della Compagnia.
Il p. Generale Ricci, che scriveva ai gesuiti di allora vedendo le nubi addensarsi all’orizzonte, li fortificava nella loro appartenenza al corpo della Compagnia e alla sua missione. Ecco: in un tempo di confusione e di turbamento ha fatto discernimento. Non ha perso tempo a discutere di idee e a lamentarsi, ma si è fatto carico della vocazione della Compagnia.
E questo atteggiamento ha portato i gesuiti a fare l’esperienza della morte e risurrezione del Signore. Davanti alla perdita di tutto, perfino della loro identità pubblica, non hanno fatto resistenza alla volontà di Dio, non hanno resistito al conflitto cercando di salvare sé stessi. La Compagnia – e questo è bello – ha vissuto il conflitto fino in fondo, senza ridurlo: ha vissuto l’umiliazione con Cristo umiliato, ha ubbidito. Non ci si salva mai dal conflitto con la furbizia e con gli stratagemmi per resistere. Nella confusione e davanti all’umiliazione la Compagnia ha preferito vivere il discernimento della volontà di Dio, senza cercare un modo per uscire dal conflitto in modo apparentemente tranquillo.O al meno elegante. Non l'ha fatto.
Non è mai l’apparente tranquillità ad appagare il nostro cuore, ma la vera pace che è dono di Dio. Non si deve mai cercare il «compromesso» facile né si devono praticare facili «irenismi». Solo il discernimento ci salva dal vero sradicamento, dalla vera «soppressione» del cuore, che è l’egoismo, la mondanità, la perdita del nostro orizzonte, della nostra speranza, che è Gesù, che è solo Gesù. E così il p. Ricci e la Compagnia in fase di soppressione ha privilegiato la storia rispetto a una possibile «storiella» grigia, sapendo che è l’amore a giudicare la storia, e che la speranza – anche nel buio – è più grande delle nostre attese. Il discernimento deve essere fatto con intenzione retta, con occhio semplice. Per questo il p. Ricci giunge, proprio in questa occasione di confusione e di smarrimento, a parlare dei peccati dei gesuiti. Non si difende sentendosi vittima della storia, ma si riconosce peccatore. Guardare a se stessi riconoscendosi peccatori evita di porsi nella condizione di considerarsi vittime davanti a un carnefice. Riconoscersi peccatori, riconoscersi davvero peccatori, significa mettersi nell’atteggiamento giusto per ricevere la consolazione.
Possiamo ripercorrere brevemente questo cammino di discernimento e di servizio che il padre Generale indicò alla Compagnia. Quando nel 1759 i decreti di Pombal distrussero le province portoghesi della Compagnia, il p. Ricci visse il conflitto non lamentandosi e lasciandosi andare alla desolazione, ma invitando alla preghiera per chiedere lo spirito buono, il vero spirito soprannaturale della vocazione, la perfetta docilità alla grazia di Dio. Quando nel 1761 la tempesta avanzava in Francia, il padre Generale chiese di porre tutta la fiducia in Dio. Voleva che si approfittasse delle prove subite per una maggiore purificazione interiore: esse ci conducono a Dio e possono servire per la sua maggior gloria; poi raccomanda la preghiera, la santità della vita, l’umiltà e lo spirito di obbedienza. Nel 1760, dopo l’espulsione dei gesuiti spagnoli, ancora continua a invitare alla preghiera. E infine, il 21 febbraio 1773, appena sei mesi prima della firma del Breve Dominus ac Redemptor, davanti alla totale mancanza di aiuti umani, vede la mano della misericordia di Dio che invita coloro che sottopone alla prova a non confidare in altri che non sia solamente Lui. La fiducia deve crescere proprio quando le circostanze ci buttano a terra. L’importante per il padre Ricci è che la Compagnia fino all’ultimo sia fedele allo spirito della sua vocazione, che è la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime. La Compagnia, anche davanti alla sua stessa fine, è rimasta fedele al fine per il quale è stata fondata. Per questo Ricci conclude con una esortazione a mantenere vivo lo spirito di carità, di unione, di obbedienza, di pazienza, di semplicità evangelica, di vera amicizia con Dio. Tutto il resto è mondanità. La fiamma della maggior gloria di Dio anche oggi ci attraversi, bruciando ogni compiacimento e avvolgendoci in una fiamma che abbiamo dentro, che ci concentra e ci espande, c’ingrandisce e ci rimpicciolisce.
Così la Compagnia ha vissuto la prova suprema del sacrificio che ingiustamente le veniva chiesto facendo propria la preghiera di Tobi, che con l’animo affranto dal dolore sospira, piange e poi prega: «Tu sei giusto, Signore, e giuste sono tutte le tue opere. Ogni tua via è misericordia e verità. Tu sei il giudice del mondo. Ora, Signore, ricordati di me e guardami. Non punirmi per i miei peccati e per gli errori miei e dei miei padri. Violando i tuoi comandi, abbiamo peccato davanti a te. Ci hai consegnato al saccheggio; ci hai abbandonato alla prigionia, alla morte e ad essere la favola, lo scherno, il disprezzo di tutte le genti, tra le quali ci hai dispersi». E conclude con la richiesta più importante: «Signore, non distogliere da me il tuo volto» (Tb 3,1-4.6d). E il Signore rispose mandando Raffaele a togliere le macchie bianche dagli occhi di Tobi, perché tornasse a vedere la luce di Dio. Dio è misericordioso, Dio corona di misericordia. Dio ci vuol bene e ci salva. A volte il cammino che conduce alla vita è stretto e angusto, ma la tribolazione, se vissuta alla luce della misericordia, ci purifica come il fuoco, ci dà tanta consolazione e infiamma il nostro cuore affezionandolo alla preghiera. I nostri fratelli gesuiti nella soppressione furono ferventi nello spirito e nel servizio del Signore, lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera (cfr Rm 12,13). E questo ha dato onore alla Compagnia, non certamente gli encomi dei suoi meriti. Così sarà sempre.
Ricordiamoci la nostra storia: alla Compagnia «è stata data la grazia non solo di credere nel Signore, ma anche di soffrire per lui» (Fil 1,29). Ci fa bene ricordare questo.
La nave della Compagnia è stata sballottata dalle onde e non c’è da meravigliarsi di questo. Anche la barca di Pietro lo può essere oggi. La notte e il potere delle tenebre sono sempre vicini. Costa fatica remare. I gesuiti devono essere «rematori esperti e valorosi» (Pio VII, Sollecitudo omnium ecclesiarum): remate dunque! Remate, siate forti, anche col vento contrario! Remiamo a servizio della Chiesa. Remiamo insieme! Ma mentre remiamo – tutti remiamo, anche il Papa rema nella barca di Pietro – dobbiamo pregare tanto: «Signore, salvaci!», «Signore salva il tuo popolo!». Il Signore, anche se siamo uomini di poca fede, peccatori, ci salverà. Speriamo nel Signore! Speriamo sempre nel Signore!
La Compagnia ricostituita dal mio predecessore Pio VII era fatta di uomini coraggiosi e umili nella loro testimonianza di speranza, di amore e di creatività apostolica, quella dello Spirito. Pio VII scrisse di voler ricostituire la Compagnia per «sovvenire in maniera adeguata alle necessità spirituali del mondo cristiano senza differenza di popoli e di nazioni» (ibid). Per questo egli diede l’autorizzazione ai gesuiti che ancora qua e là esistevano grazie a un sovrano luterano e a una sovrana ortodossa, a «restare uniti in un solo corpo». Che la Compagnia resti unita in un solo corpo!
E la Compagnia è stata subito missionaria e si è messa a disposizione della Sede Apostolica, impegnandosi generosamente «sotto il vessillo della croce per il Signore e il suo vicario in terra» (Formula Instituti, 1). La Compagnia riprese la sua attività apostolica con la predicazione e l’insegnamento, i ministeri spirituali, la ricerca scientifica e l’azione sociale, le missioni e la cura dei poveri, dei sofferenti e degli emarginati.
Oggi la Compagnia affronta con intelligenza e operosità anche il tragico problema dei rifugiati e dei profughi; e si sforza con discernimento di integrare il servizio della fede e la promozione della giustizia, in conformità al Vangelo. Confermo oggi quanto ci disse Paolo VI alla nostra trentaduesima Congregazione generale e che io stesso ho ascoltato con le mie orecchie: «Ovunque nella Chiesa, anche nei campi più difficili e di punta, nei crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali, vi è stato e vi è il confronto tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo, là vi sono stati e vi sono i gesuiti». Parole profetiche del futuro Beato Paolo VI.
Nel 1814, al momento della ricostituzione, i gesuiti erano un piccolo gregge, una «minima Compagnia», che però si sapeva investito, dopo la prova della croce, della grande missione di portare la luce del Vangelo fino ai confini della terra. Così dobbiamo sentirci noi oggi, dunque: in uscita, in missione. L’identità del gesuita è quella di un uomo che adora Dio solo e ama e serve i suoi fratelli, mostrando attraverso l’esempio non solo in che cosa crede, ma anche in che cosa spera e chi è Colui nel quale ha posto la sua fiducia (cfr 2 Tm 1,12). Il gesuita vuole essere un compagno di Gesù, uno che ha gli stessi sentimenti di Gesù.
La bolla di Pio VII che ricostituiva la Compagnia fu firmata il 7 agosto 1814 presso la Basilica di Santa Maria Maggiore, dove il nostro santo padre Ignazio celebrò la sua prima Eucaristia nella notte di Natale del 1538. Maria, nostra Signora, Madre della Compagnia, sarà commossa dai nostri sforzi per essere al servizio del suo Figlio. Lei ci custodisca e ci protegga sempre.

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Francesco celebra i vespri al Gesù. Da duecento anni sulle frontiere


(Nicola Gori)
In occasione del duecentesimo anniversario della ricostituzione della Compagnia fondata da sant’Ignazio di Loyola, Papa Francesco presiede sabato pomeriggio, 27 settembre, la celebrazione dei Vespri e il Te Deum nella chiesa romana del Gesù. Un gesto che ricorda quello di Pio VII , il quale celebrò la messa all’altare del santo fondatore il 7 agosto 1814. Del significato e delle prospettive che apre questa ricorrenza abbiamo parlato con padre James Grummer, assistente del preposito generale per gli Stati Uniti d’America, uno dei quattro consiglieri ad providentiam della curia generalizia.

Quali sentimenti suscita in voi la presenza del Pontefice per questa celebrazione anniversaria?
Direi che la gratitudine è il sentimento principale, soprattutto se pensiamo ai modi che ci sono stati concessi per servire la Chiesa e la Santa Sede durante questi ultimi duecento anni. Quando Pio VIIfirmò la Sollicitudo omnium ecclesiarum diede ai gesuiti l’opportunità di vivere e operare in tutto il mondo.
Che significato ha assunto per la Compagnia l’elezione di un Papa gesuita e latinoamericano?
Nei confronti del Papa abbiamo uno speciale voto di obbedienza. Ora con l’elezione di Francesco abbiamo un Pontefice che conosce la Compagnia di Gesù dall’interno. Egli ha sperimentato in prima persona la spiritualità, la vita e il ministero dei gesuiti, in quanto egli stesso gesuita. Dunque ha una conoscenza profonda di come possiamo servire meglio la Chiesa nel momento storico in cui viviamo.
I gesuiti possono considerarsi ancora come «remiganti esperti» a sostegno della barca della Chiesa sconvolta dalla tempesta, come li definì Papa Pio VII?
Noi gesuiti siamo felici di avere la possibilità di operare al fianco di molte persone che contribuiscono con i loro talenti a sostenere gli sforzi della Chiesa per portare la buona novella del Vangelo a un mondo che deve affrontare molte sfide e difficoltà. Siamo contenti di lavorare insieme con molti altri per portare avanti il messaggio del Vangelo.
Sono trascorsi duecento anni dalla ricostituzione della Compagnia: cosa è rimasto dello spirito originario voluto da sant’Ignazio e cosa è cambiato?
Gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio rimangono il fulcro del cuore e dell’anima della Compagnia di Gesù. Fare esperienza della grazia del perdono di Dio e accogliere la chiamata a lavorare con lui hanno oggi la stessa importanza che avevano duecento anni fa, così come ai tempi di Ignazio.
In che modo questa ricorrenza può fare da trampolino per i progetti futuri della Compagnia?
Ogni volta che ricordiamo un avvenimento del passato, richiamiamo con gratitudine quel particolare evento e tutti i suoi anniversari. Abbiamo ricevuto molti, molti doni dal Signore, e gli anniversari sono un’opportunità per ricordare la bontà di Dio. Siamo in grado di vedere la fedeltà di Dio di generazione in generazione. Ricordare che Dio ci è stato così fedele nel passato ci spinge a credere che Dio ci rimarrà fedele anche in futuro. Questo ci riempie di speranza ed entusiasmo per continuare a costruire sul lavoro che hanno fatto quanti ci hanno preceduto. Penso che un anniversario come questo ci radichi ancora più profondamente nella nostra tradizione. Queste nostre radici si alimentano alle fonti che ci nutrono, in modo da avere la forza e l’energia necessarie per predicare il Vangelo a chi ancora non lo conosce, in una forma che sia comprensibile nei differenti contesti in continuo cambiamento in cui gli uomini si trovano oggi.
Come sono presenti i gesuiti nelle periferie esistenziali indicate più volte da Papa Francesco?
I gesuiti operano nel mondo in una miriade di contesti differenti: tra i rifugiati e nelle aule universitarie, nelle biblioteche e tra coloro che sentono l’impatto deleterio di alcuni aspetti della globalizzazione, nei parchi giochi e nei laboratori, tra coloro che lottano per trovare un senso alla loro vita così come tra coloro che sono profondamente credenti. È un grande privilegio lavorare alle frontiere e fare ponti fra coloro che si sentono nelle periferie e coloro che si sentono al centro.
L'Osservatore Romano