venerdì 31 ottobre 2014

Come il panno che asciuga le lacrime


Sabato in Spagna la beatificazione di don Pedro Asúa Mendía.


(Aitor Jimènez Echave, Postulatore) El paño de lágrimas, colui che asciugava le lacrime dei bisognosi: è stata infatti la generosità uno dei tratti caratterizzanti il ministero del sacerdote don Pedro Asúa Mendía, che viene beatificato sabato pomeriggio, 1° novembre, a Vitoria, in Spagna. Il rito è presieduto, in rappresentanza di Papa Francesco, dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. 
Viene così elevato agli onori degli altari il prete basco martire della persecuzione religiosa spagnola del 1936, che è stato anche architetto, avendo costruito tra l’altro edifici come il teatro Coliseo Albia di Bilbao, il frontón Jai-Alai a Madrid e le scuole Mendía nella sua Balmaseda. Qui nacque il 30 agosto 1890, quinto figlio di Isidro Luis Asúa e Francisca Mendía y Conde. A pochi giorni dalla nascita, fu battezzato nella chiesa parrocchiale di San Severino e a quattro anni entrò nella locale scuola delle Figlie della Croce. A dieci passò al collegio dei padri gesuiti di Orduña. Trasferitosi a Madrid, ottenne il titolo di architetto e iniziò la professione, senza tuttavia abbandonare gli esercizi di pietà e una intensa vita di fede, che a poco a poco diedero frutto: dapprima avviò a Balmaseda l’adorazione notturna e nel 1919 decise di entrare in seminario. Il 14 giugno 1924 fu ordinato prete.
Svolse un’intensa attività apostolica e quando iniziò la persecuzione fu sottoposto a vari interrogatori. Al termine di uno di essi commentò: «Dobbiamo stare pronti, se è necessario, a essere martiri». Continuò la sua missione nonostante gli arresti e le perquisizioni. Ma il 25 agosto, dopo aver celebrato la messa, che sarebbe stata l’ultima, fu costretto rifugiarsi nella vicina Sopuerta. E il 27 attraverso Bilbao si trasferì a Erandio. Il giorno seguente fu raggiunto da miliziani di Balmaseda. Senza giudizio, fu trasportato direttamente sul luogo del martirio, a Liendo, in Cantabria. Sottoposto a maltrattamenti, fu poi fucilato. Il corpo, abbandonato in una cava, fu ritrovato e riconosciuto solo in seguito. Il 31 luglio 1938 furono riesumati i resti, poi portati alla tomba di famiglia a Balmaseda. Anni dopo, la diocesi di Vitoria procedette alla tumulazione definitiva nel seminario che egli stesso aveva costruito.
Motivo principale della sua uccisione fu l’odio alla fede e per il suo lavoro con la gente semplice. Alcuni degli esecutori hanno testimoniato che in punto di morte disse loro: «“Dio vi perdoni, come io vi perdono nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Gli sparammo due proiettili alla testa e uno alla spalla».
Il processo canonico ha messo in luce in particolare il suo fervore religioso: don Pedro visse pienamente la vocazione sacerdotale, sostenendola con la preghiera frequente e intensa, e manifestando attenzione preferenziale all’Eucaristia. Questa realtà si rifletteva nelle sue parole, nei suoi atteggiamenti e gesti, nella devozione e nel raccoglimento con cui celebrava la messa. Fu inoltre umile — non volle mai distinguersi, mai ricercò privilegi, mai volle omaggi — e generoso nell’assistenza verso i bisognosi: non c’era povero che non soccorresse; gli infermi, i disoccupati, le persone in difficoltà andavano a chiedergli aiuto e non trovavano mai la porta chiusa. Infine si ricorda la sua dedizione apostolica. In definitiva attuò il motto del movimento sacerdotale di Vitoria: «Solo sacerdote, sempre sacerdote e in tutto sacerdote».
L'Osservatore Romano