sabato 25 ottobre 2014

L’apparente debolezza



Santità femminile. 

(Isabella Farinelli) Sul finire dell’estate 1488, Colomba di Angelo Antonio, poco più che ventenne, si avventurò oltre la nativa Rieti, «de tucta Italia umbilico», dirigendosi verso ponente incontro a un destino contrassegnato solo dall’imitazione di Cristo e della venerata Caterina da Siena, varcando più di un confine e tracciando itinerari ancora aperti.
È quanto sta dimostrando un ciclo di conferenze organizzate a Perugia dal Museo del Capitolo della Cattedrale di San Lorenzo e dall’associazione che, per volontà dello studioso di mistica don Ghino Montagnoli, ha tratto il nome dalla beata di origine reatina, morta il 20 maggio 1501 a Perugia dove fece miracoli — uno dei quali alla presenza di Cesare Borgia — profetizzò senza paura ai potentati locali, combatté conflitti e pestilenze con le sole armi dell’ascesi, fondò una nutrita comunità di terziarie domenicane.
Giovanna Casagrande, nella conferenza del 7 ottobre, ha ricontestualizzato la figura di Colomba in un quadro storico-istituzionale allargato all’intera Europa. Almeno sin dove arrivò la penna di Heinrich Kramer, il domenicano che, nel Sancte Romane ecclesie fidei defensionis clipeum, pubblicato il 20 aprile 1501 — Colomba sarebbe morta di lì a un mese — la citava come esempio non solo di vita santa, ma di fedeltà ecclesiale e pontificia. Nata con intenzione antiereticale, in particolare in area boema e morava, l’opera era destinata a superare la sua stessa finalità, diffondendo attraverso una rete paneuropea di frati domenicani la fama di una rosa di «sante vive» (l’espressione è di Gabriella Zarri), tra cui Lucia Brocadelli da Narni (è lo studio di Tamar Herzig nel volume Il velo, la penna e la parola, a cura di Gabriella Zarri e Gianni Festa, Firenze, Nerbini, 2009).
Alessandra Bartolomei Romagnoli, il 14 ottobre, si è soffermata su questo aspetto, dilatandolo a un quadro d’insieme della mistica femminile. Colomba, «la piccola suora legata alla oralità pura del gesto profetico», sembra chiudere, proprio allo spartiacque tra medioevo ed età moderna, un’era aperta da Ildegarda di Bingen. Figure solo apparentemente agli antipodi, in un tempo nel quale, alla progressiva perdita di controllo della donna sui beni, sembra corrispondere un eccezionale potere di accesso al sacro, fortemente riconosciuto sul piano simbolico. Nulla a che vedere con una mimesi di vita sacerdotale, né con una lettura di tipo psicanalitico o sociologico, a base di diagnosi di anoressia o fuga dalla realtà. Si tratta al contrario di una presa diretta con la realtà divina, ristabilita e resa possibile — e talmente concreta da uscire dal chiostro — attraverso la comunione d’amore di cui parlava Ireneo da Lione nel II secolo.
Le conferenze perugine entrano nel ciclo di iniziative della Rete museale ecclesiastica umbra (Meu) dal titolo «Madonna. Il femminile nell’arte sacra in Umbria». Il motivo è il recente riconoscimento, da parte della Chiesa universale, della santità di vita di altre due mistiche, emblematiche per quanto appartenenti a diverse epoche e contesti: Angela da Foligno (1248-1309) e Madre Speranza di Gesù (1893-1983), fondatrice del santuario di Collevalenza.
La mappa umbra della santità femminile è ricca di figure che, con la loro vita mistica, continuano a valicare i confini del chiostro nonché del contesto sociale e culturale: da santa Chiara e sant’Agnese d’Assisi a santa Chiara di Montefalco, a santa Scolastica, a santa Veronica Giuliani. Non solo la femminilità non è per loro una barriera, ma, per tornare ai termini della Bartolomei Romagnoli, quasi una leva: a vario titolo, fecero proprio leva sulla debilis foemina, la debolezza — apparente — della loro condizione, per assimilarsi a Dio come Cristo povero e crocifisso. E per andare oltre: Angela da Foligno sentiva tutto il suo essere, corpo e anima, coinvolto nel rapporto d’amore.
Ogni museo della rete umbra contribuisce con le proprie collezioni a questa serie di iniziative. Ad Assisi, al Muma (Museo missionario dei Frati Cappuccini in Amazzonia), una mostra intitolata «Donne nello specchio dell’altissimo» esporrà tra l’altro un’icona in ceramica della Madonna do Amazonas; il Museo della Porziuncola si concentra su Angela da Foligno, il cui percorso mistico è illustrato da Giovanna Bruschi.
Al Museo diocesano di Assisi, incontri storico-artistici sul tema del martirio al femminile e della maternità; al Museo della Pro Civitate e al Museo del Tesoro della basilica di san Francesco, l’accento è sulla figura di Maria. Al Museo diocesano di Todi, serie di incontri e percorsi artistici denominati «Cose maravigliose et altre molte», sulle mistiche e i fenomeni mistici nella Todi del XVIII secolo.
Il Museo diocesano di Foligno, nel periodo ottobre-gennaio, svolgerà una serie di visite guidate e percorsi culturali attorno alle figure di Angela da Foligno e della beata Angelina da Montegiove. Al Museo diocesano di Spoleto, incontri con teologi e storici dell’arte con visite guidate alla scoperta dei capolavori che onorano la figura della donna in ambito religioso. Il Museo diocesano di Città di Castello propone invece iniziative legate a santa Veronica Giuliani e alla beata Margherita della Metola.
Il Museo diocesano di Gubbio affronterà il tema con incontri culturali e didattici, allestendo una mostra dal titolo «Viaggio artistico nelle figure femminili della Diocesi di Gubbio. Madonne, sante e beate delle chiese eugubine» che sarà inaugurata il 7 marzo 2015.
L'Osservatore Romano