venerdì 31 ottobre 2014

L’universo nel grembo di Dio?




Da Francesco Agnoli
Si è parlato più volte, in questa rubrica, del Big Bang. Ma che Francesco lo abbia fatto pubblicamente (dietro suggerimento di chi, lo vedremo), con un discorso all’Accademia pontificia delle Scienze che ha destato scalpore, costringe a ritornarci. Non tanto per una curiosità (oggi ci si stupisce che la Chiesa “accetti” il Big bang, quando invece tale teoria fu bollata, in origine, come un “complotto della Chiesa”, ad opera di un prete, per far passare surrettiziamente l’idea della creazione dal nulla), quanto per focalizzare due concetti.
Il primo è questo: con il Big Bang viene applicata all’universo l’idea evolutiva. Cioè, in altri termini, l’Universo viene ad avere una storia: nasce e diviene, è luogo di generazione e degenerazione non solo delle singole parti, ma dell’insieme. Caratteristiche queste che richiamano, di primo acchito, l’idea di un Universo non autosufficiente, non perfetto,
non divino, bensì creato.
L’universo, scriveva Claude Tresmontant, nasce, si logora e muore come un “fiore di campo”; anche le singole stelle e le galassie, hanno un’ età, una storia, che impedisce di identificare l’universo con l’Essere assoluto (l’“Essere che è e non può non essere”, direbbe Parmenide).
Proprio l’universo di Parmenide, di Aristotele, di Spinoza, in generale delle concezioni in cui Dio e Universo coincidono (cioè in cui l’Universo costituisce la totalità della realtà esistente), invece, è increato. Non ha vera storia. In esso il divenire o non esiste, o è infinito o è eterno ripetersi dell’eguale (esiste, cioè, solo apparentemente). Rivediamo gli aggettivi che Parmenide usa per l’universo: ingenerato, indistruttibile, quieto, indiveniente, compiuto…
Dopo l’affermarsi del concetto di evoluzione, di storia dell’Universo, come scrive il Nobel I. Prigogine, “il divenire appare la sostanza stessa dell’universo” e il mondo diviene “un mondo in costruzione”, che “non è retto da certezze, ma da possibilità”; un mondo “la cui descrizione include, al tempo stesso, leggi ed eventi, certezze e probabilità”; un mondo in cui il futuro non è totalmente determinato, implicato dal presente (con grande sollievo del credente, per il quale -come nota Tanzella Nitti, astronomo e sacerdote- “un universo perfettissimo e necessario finirebbe con l’assumere i caratteri filosofici dell’Assoluto”, e si configurerebbe come l’unico universo possibile, limitando così la libertà di Dio).
Ma ciò che diviene, non richiede forse una Causa? Quanto a ciò che nell’universo trova abitazione, non essendo necessario, è solo possibile; l’Universo stesso in evoluzione è somma di entità possibili, non necessarie. Ma il possibile, non richiede il Necessario? E le leggi, non postulano un Legislatore? Domande metafisiche che si presentano davanti a dati fisici.
La seconda notazione è la seguente. L’universo del Big bang è molto più grande di quello di Copernico, che era assai più esteso di quello di Aristotele. Ma allora, l’uomo, questo puntino infinitesimale, cosa conta?
Un tentativo di risposta può venire anche dalla cosmologia (benché per Lemaitre, padre del Big bang, la scienza che più avvicina a Dio sia la psicologia). Piero Benvenuti, già Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, nota che l “esplosione” del big bang generò un universo in cui le stelle “erano, in un certo senso, necessarie alla vita, in quanto produttrici dei mattoni –carbonio, ossigeno, azoto ecc.- che la rendono possibile”; un universo che evolve unitariamente, e cioè in cui il volo di una farfalla in un continente, ha effetti dall’altra parte del globo; un universo in cui la materia va organizzandosi sino a “produrre” qualcosa che la trascende, l’uomo. Un simile universo appare a molti non solo creato, ma anche continuamente accudito, quasi nell’utero di Dio. Se infatti le stelle sono necessarie alla nascita dell’uomo, se vi è un “sottile filo rosso che ci lega indissolubilmente alle stesse stelle che emozionavano l’autore del salmo 8”, se l’ “emergere dell’uomo e della coscienza è conseguente alla caratteristica fondamentale dell’universo stesso, la sua evoluzione”, come non riaffermare una centralità (ben più che geometrica) dell’uomo stesso? L’uomo è davvero straniero e smarrito nell’universo? Oppure l’universo è la grande casa di una creatura più grande, spiritualmente, di lui? Un uomo che è polvere (dice la Bibbia), polvere di stelle (specifica la scienza), animato dal soffio di Dio? Un uomo arrivato buon ultimo, sia per la Rivelazione che per la scienza, per puro caso o in quanto vertice di una creatio continua?
Infine: chi ha suggerito a Francesco il suo discorso? Un’ipotesi: il già citato Benvenuti. Non solo perché è un membro dell’Academia pontificia delle Scienze, ma perché in un suo bellissimo saggio, insieme a Francesco Brancato, Contempla il cielo ed osserva, compaiono gli stessi concetti espressi dal pontefice. In particolare Benvenuti vi sostiene che l’opinione pubblica è erroneamente “convinta che non vi possa essere conciliazione tra teoria del Big Bang e l’atto creativo”, ma solo perché si ignora che la creatio di Dio è continua, ed “abbraccia il passato e il futuro dell’universo e lo sostiene in esistenza in ogni istante”. Come se l’universo fosse un embrione –sottoposto alle leggi e alla storia- nel grembo di Dio? (Il Foglio, 31 ottobre 2014)