martedì 28 ottobre 2014

Scalfari, Serra, Berlusconi e... Papa Francesco!

Eugenio Scalfari

di Luigi Santambrogio

Direttori emeriti riciclati in teologi della mutua; ex premier miliardari costretti dai giudici ai servizi sociali e dalle fidanzate a mettersi le pattine anti scivolo, in veste di improvvisati esegeti e papologi; comici dalla penna buffa e dallo sghignazzo in busta paga, neo paladini del Vaticano contro gli oscurantisti cattolici. Ieri, sui quotidiani, un tripudio di citazioni sante e predicozzi farlocchi dei soliti atei per niente devoti. La verità, il Papa, Darwin e il Big Bang: temi tosti e intelligenti, masticati e serviti al popolo dal tridente Eugenio Scalfari, Silvio Berlusconi e Michele Serra. Grandi capoccia per un pensiero piccolo piccolo. 
Alla sua età, Eugenio Scalfari ha dovuto sopportare lo sforzo di scrivere un paio di libri, vagonate di pamphelet teosofici oltre a dieci anni di estenuanti omelie domenicali per dimostrare la sua consustanziale identità col Padreterno. Silvio Berlusconi, più giovane di qualche annetto, ha scansato pure queste fatiche, delegando il compito prima a mamma Rosa, poi alla fidanzatina di Arcore in gaia coppia con Vladimiro Luxuria. Caso a parte quello di Michele Serra: un’Amaca garantita su Repubblica (così si chiama la sua rubrica strapuntino) dove mettersi in posa.  Intellettuale finto piacione, Fazio in versione cartacea, Michele quando vuole è un coniglio mannaro, capace di vomitare bile e veleno contro chi ha il torto di non dargli ragione. La sua ironia è sottile e soffice come quella di un cobra: morde per uccidere. Insomma, un vero effetto Serra.
Di Scalfari Barbapapà si sa ormai di tutto e di più: dopo due vite spese a spiegare e piegare alle sue voglie la politica italiana, nella sua terza età s’è scoperto in un nuovo ruolo, quello del giornalista Star Trek e dell’intervistatore telepatico: a lui le risposte gli piombano direttamente nel salotto di casa con il teletrasporto. Con papa Francesco funziona così: l’Eugenio gli fa una domanda, ma non aspetta la risposta, la inventa se non gli piace o la riassume a spanne se capisce di non averla capita. Due memorabili interviste a Sua Santità, regolarmente smentite. Ma tant’è: l’importante è il pensiero (il suo).
Così ieri su Repubblica, Scalfari è tornato sul luogo dei delitti, bissando la tradizione omelia domenicale con una doppia pagina: incipit del pezzo in prima e girata maestosa a pagina 50 nella sezione Cultura e Idee. Titolo del tema: “Francesco e il coraggio di sfidare la Verità”, sì quella con la V maiuscola. L’emerito direttore vuole rilanciare (nel caso qualcuno l’avesse perso) l’articolo pubblicato qualche giorno fa di Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco, secondo il quale Papa Francesco amerebbe più «il dialogo di qualsiasi verità assoluta». Opinione piuttosto bizzarra, perché «si era mai sentito un pontefice che rappresenta il Vicario di Cristo in terra mettere in discussione la Verità assoluta?».
No che non si è mai sentito, ma evidentemente Bauman e Scalfari devono essere dotati di ultraudito, come lo Spok, il vulcaniano dalle orecchie a punta dell’Enterprise.  «Papa Francesco non solo predica la necessità del dialogo ma la pratica», scrive il nostro, riportando un passo dell’articolo di Bauman. La prova? «La decisione molto significativa da parte di Francesco di concedere la prima intervista del suo pontificato all’apertamente anticlericale La Repubblica rappresentata da Eugenio Scalfari, decano del giornalismo che non fa mistero di non essere credente». Scalfari che cita l’amico filosofo che fa marchette a Scalfari: affettuoso triangolo intellettuale, meraviglioso esempio di solipsismo giornalistico.
Ma quel che segue è ancora peggio. «Papa Francesco», scrive Barbapapà, «è dunque, tra i numerosissimi vicari di Cristo che guidano la Chiesa da ormai duemila anni, uno dei pochissimi, secondo me addirittura l’unico, che affronta in questo modo il problema della Verità e quindi dell’assoluto». Ma dove e quando il povero Bergoglio ha mai detto una sciocchezza simile? Urge smentita, caro padre Lombardi. Del resto, se come dice il cardinale Kasper, «la Chiesa un castello con il ponte levatoio sempre alzato» anche i Vangeli, aggiunge Eugenio, non la raccontano giusta. Che ricorda ai distratti lettori («l’ho detto più volte ma credo sia utile ripeterlo»), che i Vangeli furono scritti per sentito dire da persone che non conobbero e non videro mai il Cristo, fantasma «inventato dai cristiani per dare una voce a Dio», così come le altre religioni monoteistiche «inventarono le loro figure a cominciare da quella di Mosè e a chiudere con quella di Maometto e dei suoi successori». Questa la rivelazione secondo il Quinto Vangelo di Scalfari ed ecco perché il Papa preferisce dialogare e chiacchierare piuttosto che raccontare barzellette su Gesù. 
La verità, cos’è la verità? chiedeva Pilato a Gesù Cristo prima di inchiodarlo sulla Croce. Se Scalfari, scimmiottando il “non è Francesco” di Socci, scrive che non esiste verità, pure Berlusconi pare propenso a pensarlo. Lo confessa in un’intervista concessa al Foglio per chiarire due o tre cosette dopo il patto del Nazareno con Renzi. Intervista, preparata il giorno prima da un furioso editoriale Giuliano Ferrara contro dissidenti e mal mostosi di Forza Italia, profittatori e vigliacconi del centrodestra. Accusati d’essere venuti giù con la piena e che adesso, con il Cav ai domiciliari, tacchineggiano su tutto, dalla legge elettorale alla svolta gay. Ferrara non ha ancora mandato giù la micidiale batosta elettorale quando sfidò il Cavaliere con il suo partitino Vita e Amore, che conquistò consensi omeopatici. Oggi si vendica, con un rabbioso tiè ai forzaitalioti. Ma sentiamo che dice Berlusconi sul tema delle coppie gay. «Davvero non capisco. Nel mondo occidentale si sono diffuse le unioni omosessuali. Anche la Chiesa cattolica ha le sue incertezze, fa le sue riflessioni sinodali. E noi non possiamo attardarci su una posizione nullista, di chiusura totale alla questione dei diritti delle persone». Come il direttore teletrasportato, pure Silvio deve avere una gola profonda in Vaticano. Oppure deve aver scambiato la Pascale con l’Immacolata concezione.
Strabismo o pensiero dislessico, come quello Michele Serra che arriva a confondere Francesco, professione Papa, con mister Charles Robert Darwin, naturalista e geologo inventore della teoria dell’evoluzione. Bergoglio sdogana il Big Bang, dice che può andare d’accordo con l’intervento creatore, «anzi, lo esige, perché l’evoluzione presuppone la creazione degli esseri che si evolvono». Bon, che ti capisce lo sdraiato Michele? Che il Papa ha «una generosa, dinamica visione intellettuale» e dipendesse da lui porterebbe il dottor Charles agli onori degli altari anche domani. «Il problema, però, è spiegare a legioni di esseri umani, specie quelli di fede veterotestamentaria, che ci sono più o meno quattro miliardi di anni di differenza tra il supposto Big Bang individuato dalla scienza e la supposta creazione del mondo secondo il Libro».
Ecco il problema del sciccoso e profumato Serra: quei milioni di cattolici primitivi e incolti (magari puzzano anche un po’) che si ostinano a credere che «il mondo, completo di ogni accessorio, sia nato tutto insieme grazie a uno “snap” delle dita di un demiurgo», cioè di un Dio cui non crede più neanche il Papa. E chissenefrega che a opporsi alla teoria del Big Bang non fu la Chiesa, ma una schiera di laicissimi scienziati, compreso Albert Einstein che la rigettò definendola «abominevole», perché ci vedeva il tentativo di proporre in fisica il racconto della Genesi. Ma questo particolare l’illuminato Serra lo ignora. Ok, basta così. Con Scalfari- Serra- Berlusconi l’evoluzione della specie è ormai completata anche se resta ancora irrisolto il mistero dell’anello mancante. Che sia forse un briciolo di intelligenza?