domenica 30 novembre 2014

La Chiesa Cattolica non pone alcuna condizione



La Benedizione Ecumenica di Papa Francesco e del Patriarca Bartolomeo

Santa Messa di inizio dell’Anno della Vita Consacrata celebrata a nome del Santo Padre dal Cardinale João Braz de Aviz. Omelia



Sala stampa della Santa Sede
Alle ore 10 di oggi, I Domenica di Avvento, l’Em.mo Card. João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, a nome del Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa nella Basilica Vaticana per l’apertura dell’Anno della Vita Consacrata. Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata dal Cardinale nel corso della Celebrazione Eucaristica:
Carissimi fratelli e sorelle,
Iniziamo oggi, con la Chiesa in tutto il mondo, il nuovo anno liturgico. Iniziamo il tempo di avvento. Prepariamo così nella nostra vita di discepoli e nelle nostre comunità il Natale di Gesù. Ma, allo stesso tempo il nostro spirito "viene guidato all’attesa della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi" (Messale Romano). In questo tempo segnato dalla speranza cristiana noi innalziamo nei cieli lo sguardo e risvegliamo nei nostri cuori l’attesa per accogliere il Signore che già è venuto, che è con noi ogni giorno e che verrà un giorno nella gloria. (...)

*


Ritorno alle origini 

(Nicola Gori) Il valore della vita consacrata risiede nella sua natura e non in quello che realizza. Ad affermarlo è l’arcivescovo segretario del dicastero, José Rodríguez Carballo, che al nostro giornale illustra le tappe principali dell’anno della vita consacrata.
Quali saranno gli appuntamenti più importanti in calendario?
Mi riferisco agli appuntamenti organizzati a Roma, perché ogni conferenza episcopale regionale o nazionale ne ha promossi altri. Il calendario prevede l’inizio con la veglia di sabato 29 novembre, alle 19, nella basilica di Santa Maria Maggiore, alla quale sono invitati tutti i consacrati presenti a Roma. Poi, il giorno successivo, nella basilica di San Pietro, alle 10, il cardinale João Braz de Aviz presiede l’Eucaristia.
Nel mese di gennaio 2015, dal 22 al 25, terremo un colloquio ecumenico di religiosi e religiose, al quale interverranno cattolici, ortodossi e anglicani. Si rifletterà sulle tre grandi tradizioni della vita monastica, consacrata e religiosa. Dall’8 all’11 aprile avremo poi un seminario per i formatori e le formatrici. Desideriamo fare il punto sulla formazione e riflettere su quale cammino intraprendere.
Avete pensato anche a qualche iniziativa per i giovani?
Nel mese di settembre 2015, dal 23 al 25, ci sarà a Roma un laboratorio per le giovani e i giovani consacrati. Ci mettiamo in ascolto delle loro esigenze e allo stesso tempo condivideremo le preoccupazioni e le loro attese. Il 26 dello stesso mese si celebrerà la memoria dei santi e martiri consacrati. Ogni Paese e ogni diocesi potrà scegliere il luogo dove fare questa memoria. A Roma sarà celebrata al Colosseo, spazio simbolico molto significativo per ricordare i nostri santi e martiri. Dal 26 gennaio al 2 febbraio 2016, sempre a Roma, si svolgerà la settimana della vita consacrata, alla quale sono invitati a partecipare l’ordo virginum, gli istituti secolari, i nuovi istituti e le nuove forme, e le realtà della vita monastica. Saranno presenti rappresentanti dei rami maschile e femminile della vita contemplativa. Il 1° febbraio avrà luogo anche la veglia di ringraziamento nella basilica di San Pietro e il 2 febbraio la celebrazione eucaristica presieduta da Papa Francesco.
In che modo verranno coinvolte le anime di vita contemplativa? E i laici e le parrocchie?
Le contemplative verranno coinvolte in due modi: attraverso la catena mondiale di preghiera nei monasteri, che inizia il prossimo 8 dicembre, solennità dell’Immacolata Concezione, e con l’incontro delle presidenti delle federazioni e delle associazioni monastiche. I laici, invece, vogliamo siano coinvolti direttamente nelle diocesi. Per questo abbiamo invitato tutti i vescovi a programmare giornate sulla vita consacrata che non siano solo riservate ai religiosi, ma a tutto il popolo di Dio.
Papa Francesco mette in guardia continuamente dal rischio del clericalismo nella Chiesa. È un rischio presente anche nelle case di formazione e nei seminari religiosi?
Il rischio del clericalismo è una tentazione forte. Per contrastare questo fenomeno, credo si debba valorizzare la vita consacrata per quella che è, non soltanto per quello che fa. Occorre, quindi, puntare sull’identità e sulla missione propria, nella quale si fa presente anche la profezia.
Esiste una “cultura dello scarto” anche all’interno delle comunità religiose?
Direi di no. Certo, ci sono delle eccezioni. La mia esperienza è che gli anziani a volte sono vittime di questa cultura dello scarto nella nostra società. Al contrario, i religiosi e le religiose anziane vengono veramente curati con amore, con tanti sacrifici, sia economici, sia di personale. Conosco molte situazioni che potrebbero essere prese a esempio nella nostra società. Certamente, non tutto va bene: a volte ci sono ingiustizie, situazioni che non dovrebbero esserci. Pensando però all’insieme, non esiste la cultura dello scarto, anzi sono presenti molta fraternità e solidarietà.
Era stata annunciata una nuova costituzione apostolica sulla vita contemplativa dopo la Sponsa Christi. Quali punti necessitano maggiormente di essere rivisti?
Soprattutto la formazione, perché è il presente e il futuro dei cristiani in genere, ma in particolare della vita consacrata. In questo senso si deve insistere molto sulla formazione umana, cristiana e anche carismatica. Insieme con questa, ci sono altri temi da prendere in considerazione, come l’autonomia dei monasteri, la vita di clausura, ma tutto deve partire da una formazione adeguata per rispondere a una vocazione molto importante nella Chiesa e che certamente ha delle esigenze particolari.
Quanto ha inciso la globalizzazione nella riforma delle strutture per renderle funzionali alla missione?
In questo momento, riguardo alle strutture ci sono diverse cose da tenere presente. In primo luogo la riduzione dei membri degli istituti. Questo ha obbligato a un’opera di ristrutturazione. D’altra parte, poiché molte strutture servono per svolgere mansioni quotidiane o per compiti specifici, nei quali è necessaria una certa professionalità, è importante preservare queste realtà attraverso le quali i religiosi manifestano la loro missione. È vero assolutamente che le strutture devono essere riviste e messe al servizio della missione carismatica di ogni istituto.
È ancora attuale la richiesta di una qualità della vita religiosa?
È sempre attuale, perché la grande preoccupazione dei consacrati deve essere di passare dal bene al meglio. In questo non arriveremo mai alla meta. Insistere sulla qualità evangelica di vita è quanto mai urgente e necessario. 
L'Osservatore Romano

Divina Liturgia nella Chiesa Patriarcale di san Giorgio. Parole di Papa Francesco



Divina Liturgia nella Chiesa Patriarcale di san Giorgio. Papa Francesco: "Voglio assicurare a ciascuno di voi che, per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune, e che siamo pronti a cercare insieme, (...) l’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma, 'la Chiesa che presiede nella carità', è la comunione con le Chiese ortodosse"

[Text: Italiano, Français, English, Español, Português]
- Il segno (...) indica frasi aggiunte dal Santo Padre e pronunciate a braccio.
Testo italiano versione ufficiale. 

Molte volte, come arcivescovo di Buenos Aires, ho partecipato alla Divina Liturgia delle comunità ortodosse presenti in quella città, ma trovarmi oggi in questa Chiesa Patriarcale di San Giorgio per la celebrazione del santo Apostolo Andrea, primo dei chiamati e fratello di san Pietro, patrono del Patriarcato Ecumenico, è davvero una grazia singolare che il Signore mi dona.
Incontrarci, guardare il volto l’uno dell’altro, scambiare l’abbraccio di pace, pregare l’uno per l’altro sono dimensioni essenziali di quel cammino verso il ristabilimento della piena comunione alla quale tendiamo. Tutto ciò precede e accompagna costantemente quell’altra dimensione essenziale di tale cammino che è il dialogo teologico. Un autentico dialogo è sempre un incontro tra persone con un nome, un volto, una storia, e non soltanto un confronto di idee. 
Questo vale soprattutto per noi cristiani, perché per noi la verità è la persona di Gesù Cristo. L’esempio di sant’Andrea, il quale insieme con un altro discepolo accolse l’invito del Divino Maestro: «Venite e vedrete», e «quel giorno rimasero con lui» (Gv 1,39), ci mostra con chiarezza che la vita cristiana è un’esperienza personale, un incontro trasformante con Colui che ci ama e ci vuole salvare. Anche l’annuncio cristiano si diffonde grazie a persone che, innamorate di Cristo, non possono non trasmettere la gioia di essere amate e salvate. Ancora una volta l’esempio dell’apostolo Andrea è illuminante. Egli, dopo avere seguito Gesù là dove abitava ed essersi intrattenuto con Lui, «incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia” - che si traduce Cristo - e lo condusse da Gesù» (Gv 1,40-42). È chiaro, pertanto, che neanche il dialogo tra cristiani può sottrarsi a questa logica dell’incontro personale.
Non è un caso, dunque, che il cammino di riconciliazione e di pace tra cattolici ed ortodossi sia stato, in qualche modo, inaugurato da un incontro, da un abbraccio tra i nostri venerati predecessori, il Patriarca Ecumenico Atenagora e Papa Paolo VI, cinquant’anni fa, a Gerusalemme, evento che Vostra Santità ed io abbiamo voluto recentemente commemorare incontrandoci di nuovo nella città dove il Signore Gesù Cristo è morto ed è risorto.
Per una felice coincidenza, questa mia visita avviene qualche giorno dopo la celebrazione del cinquantesimo anniversario della promulgazione del Decreto del Concilio Vaticano II sulla ricerca dell’unità tra tutti i cristiani, Unitatis redintegratio. Si tratta di un documento fondamentale con il quale è stata aperta una nuova strada per l’incontro tra i cattolici e i fratelli di altre Chiese e Comunità ecclesiali.
In particolare, con quel Decreto la Chiesa cattolica riconosce che le Chiese ortodosse «hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il Sacerdozio e l’Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora unite con noi da strettissimi vincoli» (n. 15). Conseguentemente, si afferma che per custodire fedelmente la pienezza della tradizione cristiana e per condurre a termine la riconciliazione dei cristiani d’oriente e d’occidente è di somma importanza conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio delle Chiese d’Oriente, non solo per quello che riguarda le tradizioni liturgiche e spirituali, ma anche le discipline canoniche, sancite dai santi padri e dai concili, che regolano la vita di tali Chiese (cfr nn. 15-16).
Ritengo importante ribadire il rispetto di questo principio come condizione essenziale e reciproca per il ristabilimento della piena comunione, che non significa né sottomissione l’uno dell’altro, né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno per manifestare al mondo intero il grande mistero della salvezza realizzato da Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo. Voglio assicurare a ciascuno di voi che, per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune, e che siamo pronti a cercare insieme, alla luce dell’insegnamento della Scrittura e dell’esperienza del primo millennio, le modalità con le quali garantire la necessaria unità della Chiesa nelle attuali circostanze: l’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma, “la Chiesa che presiede nella carità”, è la comunione con le Chiese ortodosse. Tale comunione sarà sempre frutto dell’amore «che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5), amore fraterno che dà espressione al legame spirituale e trascendente che ci unisce in quanto discepoli del Signore.
Nel mondo di oggi si levano con forza voci che non possiamo non sentire e che domandano alle nostre Chiese di vivere fino in fondo l’essere discepoli del Signore Gesù Cristo.
La prima di queste voci è quella dei poveri. Nel mondo, ci sono troppe donne e troppi uomini che soffrono per grave malnutrizione, per la crescente disoccupazione, per l’alta percentuale di giovani senza lavoro e per l’aumento dell’esclusione sociale, che può indurre ad attività criminali e perfino al reclutamento di terroristi. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte alle voci di questi fratelli e sorelle. Essi ci chiedono non solo di dare loro un aiuto materiale, necessario in tante circostanze, ma soprattutto che li aiutiamo a difendere la loro dignità di persone umane, in modo che possano ritrovare le energie spirituali per risollevarsi e tornare ad essere protagonisti delle loro storie. Ci chiedono inoltre di lottare, alla luce del Vangelo, contro le cause strutturali della povertà: la disuguaglianza, la mancanza di un lavoro degno, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. Come cristiani siamo chiamati a sconfiggere insieme quella globalizzazione dell’indifferenza che oggi sembra avere la supremazia e a costruire una nuova civiltà dell’amore e della solidarietà.
Una seconda voce che grida forte è quella delle vittime dei conflitti in tante parti del mondo. Questa voce la sentiamo risuonare molto bene da qui, perché alcune nazioni vicine sono segnate da una guerra atroce e disumana. Turbare la pace di un popolo, commettere o consentire ogni genere di violenza, specialmente su persone deboli e indifese, è un peccato gravissimo contro Dio, perché significa non rispettare l’immagine di Dio che è nell’uomo. (... Il Papa ricorda le vittime delle bombe contro moschee a Kano, in Nigeria)  La voce delle vittime dei conflitti ci spinge a procedere speditamente nel cammino di riconciliazione e di comunione tra cattolici ed ortodossi. Del resto, come possiamo annunciare credibilmente il messaggio di pace che viene dal Cristo, se tra noi continuano ad esistere rivalità e contese? (cfr Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi,  77).
Una terza voce che ci interpella è quella dei giovani. Oggi purtroppo sono tanti i giovani che vivono senza speranza, vinti dalla sfiducia e dalla rassegnazione. Molti giovani, poi, influenzati dalla cultura dominante, cercano la gioia soltanto nel possedere beni materiali e nel soddisfare le emozioni del momento. Le nuove generazioni non potranno mai acquisire la vera saggezza e mantenere viva la speranza se noi non saremo capaci di valorizzare e trasmettere l’autentico umanesimo, che sgorga dal Vangelo e dall’esperienza millenaria della Chiesa. Sono proprio i giovani – penso ad esempio alle moltitudini di giovani ortodossi, cattolici e protestanti che si incontrano nei raduni internazionali organizzati dalla comunità di Taizé – che oggi ci sollecitano a fare passi in avanti verso la piena comunione. E ciò non perché essi ignorino il significato delle differenze che ancora ci separano, ma perché sanno vedere oltre, sono capaci di cogliere l’essenziale che già ci unisce. Ed è tanto Santià!
Santità, carissimo fratello, siamo già in cammino verso la piena comunione e già possiamo vivere segni eloquenti di un’unità reale, anche se ancora parziale. Questo ci conforta e ci sostiene nel proseguire questo cammino. Siamo sicuri che lungo questa strada siamo sorretti dall’intercessione dell’Apostolo Andrea e di suo fratello Pietro, considerati dalla tradizione i fondatori delle Chiese di Costantinopoli e di Roma. Invochiamo da Dio il grande dono della piena unità e la capacità di accoglierlo nelle nostre vite. E non dimentichiamoci mai di pregare gli uni per gli altri.
FRANCESE
Souvent, comme Archevêque de Buenos Aires, j’ai participé à la Divine Liturgie des communautés orthodoxes présentes dans cette ville ; mais, me trouver aujourd’hui en cette Église Patriarcale Saint-Georges pour la célébration du saint Apôtre André, le premier des appelés et le frère de saint Pierre, patron du Patriarcat Œcuménique, est vraiment une grâce particulière que le Seigneur me donne. 
Nous rencontrer, regarder le visage l’un de l’autre, échanger l’accolade de paix, prier l’un pour l’autre sont des dimensions essentielles de ce chemin vers le rétablissement de la pleine communion à laquelle nous tendons. Tout ceci précède et accompagne constamment cette autre dimension essentielle de ce chemin qu’est le dialogue théologique. Un authentique dialogue est toujours une rencontre entre des personnes avec un nom, un visage, une histoire ; et pas seulement une confrontation d’idées. 
Cela vaut surtout pour nous chrétiens, parce que, pour nous, la vérité est la personne de Jésus-Christ. L’exemple de Saint André – qui, avec un autre disciple, a accueilli l’invitation du divin Maître : « Venez et vous verrez », et « ils restèrent auprès de lui ce jour là » (Jn 1, 39) –, nous montre avec clarté que la vie chrétienne est une expérience personnelle, une rencontre transformante avec Celui qui nous aime et veut nous sauver. De même, l’annonce chrétienne se répand grâce à des personnes qui, amoureuses du Christ, ne peuvent pas ne pas transmettre la joie d’être aimées et sauvées. Encore une fois, l’exemple de l’Apôtre André est éclairant. Après avoir suivi Jésus là où il habitait et s’être entretenu avec lui, « il trouva d’abord Simon son frère et lui dit : “ Nous avons trouvé le Messie ” – ce qui veut dire Christ – et il l’amena à Jésus » (Jn 1,40-42). Il est clair, par conséquent, que même le dialogue entre chrétiens ne peut se soustraire à cette logique de la rencontre personnelle.
Ce n’est donc pas un hasard si le chemin de réconciliation et de paix entre catholiques et orthodoxes a été, en quelque sorte, inauguré par une rencontre, par une accolade entre nos vénérés prédécesseurs, le Patriarche Œcuménique Athénagoras et le Pape Paul VI, il y a cinquante ans, à Jérusalem, événement que votre Sainteté et moi-même avons voulu récemment commémorer en nous rencontrant de nouveau dans la ville où le Seigneur Jésus Christ est mort et ressuscité.
Par une heureuse coïncidence, ma visite a lieu quelques jours après la célébration du cinquantième anniversaire de la promulgation du Décret du Concile Vatican II sur la recherche de l’unité entre tous les chrétiens, Unitatis redintegratio. Il s’agit d’un document fondamental par lequel a été ouverte une voie nouvelle pour la rencontre entre les catholiques et les frères d’autres Églises et Communautés ecclésiales.
En particulier, par ce Décret, l’Église catholique reconnaît que les Églises orthodoxes « ont de vrais sacrements, – principalement, en vertu de la succession apostolique : le Sacerdoce et l’Eucharistie, – qui les unissent intimement à nous » (n. 15). En conséquence, on affirme que, pour garder fidèlement la plénitude de la tradition chrétienne et pour conduire à terme la réconciliation des chrétiens d’Orient et d’Occident, il est de la plus grande importance de conserver et de soutenir le très riche patrimoine des Églises d’Orient, non seulement en ce qui concerne les traditions liturgiques et spirituelles, mais aussi les disciplines canoniques, entérinées par les saints pères et par les conciles, qui règlent la vie de ces Églises (cf. nn.15-16).
J’estime important de rappeler le respect de ce principe comme condition essentielle et réciproque au rétablissement de la pleine communion, qui ne signifie ni soumission l’un à l’autre, ni absorption, mais plutôt accueil de tous les dons que Dieu a donnés à chacun pour manifester au monde entier le grand mystère du salut réalisé par le Christ Seigneur, par l’Esprit Saint. Je veux assurer à chacun de vous que, pour arriver au but désiré de la pleine unité, l’Église catholique n’entend pas imposer une quelconque exigence, sinon celle de la profession de foi commune, et que nous sommes prêts à chercher ensemble, à la lumière de l’enseignement de l’Écriture et de l’expérience du premier millénaire, les modalités par lesquelles garantir la nécessaire unité de l’Église dans les circonstances actuelles : l’unique chose que désire l’Église catholique, et que je cherche comme Évêque de Rome, « l’Église qui préside dans la charité », c’est la communion avec les Églises orthodoxes. Cette communion sera toujours le fruit de l’amour « qui a été répandu dans nos cœurs par l’Esprit Saint qui nous a été donné » (Rm 5,5), amour fraternel qui donne expression au lien spirituel et transcendant qui nous unit comme disciples du Seigneur.
Dans le monde d’aujourd’hui se lèvent avec force des voix que nous ne pouvons pas ne pas entendre, et qui demandent à nos Églises de vivre jusqu’au bout le fait d’être disciples du Seigneur Jésus-Christ.
La première de ces voix est celle des pauvres. Dans le monde, il y a trop de femmes et trop d’hommes qui souffrent de grave malnutrition, du chômage croissant, du fort pourcentage de jeunes sans travail et de l’augmentation de l’exclusion sociale, qui peut conduire à des activités criminelles et même au recrutement de terroristes. Nous ne pouvons pas rester indifférents devant les voix de ces frères et sœurs. Ils nous demandent, non seulement de leur donner une aide matérielle, nécessaire en de nombreuses circonstances, mais surtout que nous les aidions à défendre leur dignité de personne humaine, de sorte qu’ils puissent retrouver les énergies spirituelles pour se relever et être de nouveau protagonistes de leur histoire. Il nous demandent aussi de lutter, à la lumière de l’Évangile, contre les causes structurelles de la pauvreté : l’inégalité, le manque d’un travail digne, d’une terre et d’une maison, la négation des droits sociaux et des droits du travail. Comme chrétiens nous sommes appelés à vaincre ensemble cette mondialisation de l’indifférence qui aujourd’hui semble avoir la suprématie, et à construire une nouvelle civilisation de l’amour et de la solidarité. 
Une seconde voix qui crie fort est celle des victimes des conflits en tant de parties du monde. Cette voix nous l’entendons très bien résonner d’ici, parce que des nations voisines sont marquées par une guerre atroce et inhumaine. Troubler la paix d’un peuple, commettre ou consentir toute espèce de violence, spécialement sur les personnes faibles et sans défense, est un péché très grave contre Dieu, parce que c’est ne pas respecter l’image de Dieu qui est dans l’homme. La voix des victimes des conflits nous pousse à avancer rapidement sur le chemin de la réconciliation et de la communion entre catholiques et orthodoxes. D’ailleurs, comment pouvons-nous annoncer de manière crédible le message de paix qui vient du Christ, si, entre nous, continuent d’exister des rivalités et des querelles (cf. Paul VI, Exhort. ap.  Evangelium nuntiandi, n. 77) ? 
Une troisième voix qui nous interpelle est celle des jeunes. Aujourd’hui, malheureusement, il y a beaucoup de jeunes qui vivent sans espérance, vaincus par le découragement et la résignation. Beaucoup de jeunes, de plus, influencés par la culture dominante, cherchent la joie uniquement dans la possession de biens matériels et dans la satisfaction des émotions du moment. Les nouvelles générations ne pourront jamais acquérir la vraie sagesse ni maintenir vivante leur espérance si nous ne sommes pas capables de valoriser et de transmettre l’authentique humanisme, qui surgit de l’Évangile et de l’expérience millénaire de l’Église. Ce sont justement les jeunes – je pense par exemple aux multitudes de jeunes orthodoxes, catholiques et protestants qui se rencontrent dans les rassemblements internationaux organisés par la communauté de Taizé – qui aujourd’hui nous demandent de faire des pas en avant vers la pleine communion. Et cela non parce qu’ils ignorent la signification des différences qui nous séparent encore, mais parce qu’ils savent voir au-delà, ils sont capables de recueillir l’essentiel qui déjà nous unit. 
Sainteté, nous sommes déjà en chemin vers la pleine communion et déjà nous pouvons vivre des signes éloquents d’une unité réelle, bien qu’encore partielle. Cela nous conforte et nous soutient dans la poursuite de ce chemin. Nous sommes sûrs que le long de cette route nous sommes soutenus par l’intercession de l’Apôtre André et de son frère Pierre, considérés par la tradition comme les fondateurs des Églises de Constantinople et de Rome. Invoquons de Dieu le grand don de la pleine unité et la capacité de l’accueillir dans nos vies. Et n’oublions jamais de prier les uns pour les autres.
INGLESE
When I was the Archbishop of Buenos Aires, I often took part in the celebration of the Divine Liturgy of the Orthodox communities there. Today, the Lord has given me the singular grace to be present in this Patriarchal Church of Saint George for the celebration of the Feast of the holy Apostle Andrew, the first-called, the brother of Saint Peter, and the Patron Saint of the Ecumenical Patriarchate.
Meeting each other, seeing each other face to face, exchanging the embrace of peace, and praying for each other, are all essential aspects of our journey towards the restoration of full communion. All of this precedes and always accompanies that other essential aspect of this journey, namely, theological dialogue. An authentic dialogue is, in every case, an encounter between persons with a name, a face, a past, and not merely a meeting of ideas. This is especially true for us Christians, because for us the truth is the person of Jesus Christ. The example of Saint Andrew, who with another disciple accepted the invitation of the Divine Master, “Come and see”, and “stayed with him that day” (Jn 1:39), shows us plainly that the Christian life is a personal experience, a transforming encounter with the One who loves us and who wants to save us. In addition, the Christian message is spread thanks to men and women who are in love with Christ, and cannot help but pass on the joy of being loved and saved. Here again, the example of the apostle Andrew is instructive. After following Jesus to his home and spending time with him, Andrew “first found his brother Simon, and said to him, ‘We have found the Messiah’ (which means Christ). He brought him to Jesus” (Jn 1:40-42). It is clear, therefore, that not even dialogue among Christians can prescind from this logic of personal encounter. 
It is not by chance that the path of reconciliation and peace between Catholics and Orthodox was, in some way, ushered in by an encounter, by an embrace between our venerable predecessors, Ecumenical Patriarch Athenagoras and Pope Paul VI, which took place fifty years ago in Jerusalem. Your Holiness and I wished to commemorate that moment when we met recently in the same city where our Lord Jesus Christ died and rose. 
By happy coincidence, my visit falls a few days after the fiftieth anniversary of the promulgation of Unitatis Redintegratio, the Second Vatican Council’s Decree on Christian Unity. This is a fundamental document which opened new avenues for encounter between Catholics and their brothers and sisters of other Churches and ecclesial communities. In particular, in that Decree the Catholic Church acknowledges that the Orthodox Churches “possess true sacraments, above all – by apostolic succession – the priesthood and the Eucharist, whereby they are still joined to us in closest intimacy” (15). The Decree goes on to state that in order to guard faithfully the fullness of the Christian tradition and to bring to fulfilment the reconciliation of Eastern and Western Christians, it is of the greatest importance to preserve and support the rich patrimony of the Eastern Churches. This regards not only their liturgical and spiritual traditions, but also their canonical disciplines, sanctioned as they are by the Fathers and by Councils, which regulate the lives of these Churches (cf. 15-16). 
I believe that it is important to reaffirm respect for this principle as an essential condition, accepted by both, for the restoration of full communion, which does not signify the submission of one to the other, or assimilation. Rather, it means welcoming all the gifts that God has given to each, thus demonstrating to the entire world the great mystery of salvation accomplished by Christ the Lord through the Holy Spirit. I want to assure each one of you here that, to reach the desired goal of full unity, the Catholic Church does not intend to impose any conditions except that of the shared profession of faith. Further, I would add that we are ready to seek together, in light of Scriptural teaching and the experience of the first millennium, the ways in which we can guarantee the needed unity of the Church in the present circumstances. The one thing that the Catholic Church desires, and that I seek as Bishop of Rome, “the Church which presides in charity”, is communion with the Orthodox Churches. Such communion will always be the fruit of that love which “has been poured into our hearts through the Holy Spirit who has been given to us” (cf. Rom 5:5), a fraternal love which expresses the spiritual and transcendent bond which unites us as disciples of the Lord. 
In today’s world, voices are being raised which we cannot ignore and which implore our Churches to live deeply our identity as disciples of the Lord Jesus Christ. The first of these voices is that of the poor. In the world, there are too many women and men who suffer from severe malnutrition, growing unemployment, the rising numbers of unemployed youth, and from increasing social exclusion. These can give rise to criminal activity and even the recruitment of terrorists. We cannot remain indifferent before the cries of our brothers and sisters. These ask of us not only material assistance – needed in so many circumstances – but above all, our help to defend their dignity as human persons, so that they can find the spiritual energy to become once again protagonists in their own lives. They ask us to fight, in the light of the Gospel, the structural causes of poverty: inequality, the shortage of dignified work and housing, and the denial of their rights as members of society and as workers. As Christians we are called together to eliminate that globalization of indifference which today seems to reign supreme, while building a new civilization of love and solidarity. 
A second plea comes from the victims of the conflicts in so many parts of our world. We hear this resoundingly here, because some neighbouring countries are scarred by an inhumane and brutal war. Taking away the peace of a people, committing every act of violence – or consenting to such acts – especially when directed against the weakest and defenceless, is a profoundly grave sin against God, since it means showing contempt for the image of God which is in man. The cry of the victims of conflict urges us to move with haste along the path of reconciliation and communion between Catholics and Orthodox. Indeed, how can we credibly proclaim the message of peace which comes from Christ, if there continues to be rivalry and disagreement between us (cf. Paul VI, Evangelii Nuntiandi, 77)? 
A third cry which challenges us is that of young people. Today, tragically, there are many young men and women who live without hope, overcome by mistrust and resignation. Many of the young, influenced by the prevailing culture, seek happiness solely in possessing material things and in satisfying their fleeting emotions. New generations will never be able to acquire true wisdom and keep hope alive unless we are able to esteem and transmit the true humanism which comes from the Gospel and from the Church’s age-old experience. It is precisely the young who today implore us to make progress towards full communion. I think for example of the many Orthodox, Catholic and Protestant youth who come together at meetings organized by the Taizé community. They do this not because they ignore the differences which still separate us, but because they are able to see beyond them; they are able to embrace what is essential and what already unites us. 
Your Holiness, we are already on the way towards full communion and already we can experience eloquent signs of an authentic, albeit incomplete union. This offers us reassurance and encourages us to continue on this journey. We are certain that along this journey we are helped by the intercession of the Apostle Andrew and his brother Peter, held by tradition to be the founders of the Churches of Constantinople and of Rome. We ask God for the great gift of full unity, and the ability to accept it in our lives. Let us never forget to pray for one another.
SPAGNOLO
Como arzobispo de Buenos Aires, he participado muchas veces en la Divina Liturgia de las comunidades ortodoxas de aquella ciudad; pero encontrarme hoy en esta Iglesia Patriarcal de San Jorge para la celebración del santo Apóstol Andrés, el primero de los llamados, Patrón del Patriarcado Ecuménico y hermano de san Pedro, es realmente una gracia singular que el Señor me concede.
Encontrarnos, mirar el rostro el uno del otro, intercambiar el abrazo de paz, orar unos por otros, son dimensiones esenciales de ese camino hacia el restablecimiento de la plena comunión a la que tendemos. Todo esto precede y acompaña constantemente esa otra dimensión esencial de dicho camino, que es el diálogo teológico. Un verdadero diálogo es siempre un encuentro entre personas con un nombre, un rostro, una historia, y no sólo un intercambio de ideas.
Esto vale sobre todo para los cristianos, porque para nosotros la verdad es la persona de Jesucristo. El ejemplo de san Andrés que, junto con otro discípulo, aceptó la invitación del Divino Maestro: «Venid y veréis», y «se quedaron con él aquel día» (Jn 1,39), nos muestra claramente que la vida cristiana es una experiencia personal, un encuentro transformador con Aquel que nos ama y que nos quiere salvar. También el anuncio cristiano se propaga gracias a personas que, enamoradas de Cristo, no pueden dejar de transmitir la alegría de ser amadas y salvadas. Una vez más, el ejemplo del Apóstol Andrés es esclarecedor. Él, después de seguir a Jesús hasta donde habitaba y haberse quedado con él, «encontró primero a su hermano Simón y le dijo: “Hemos encontrado al Mesías” (que significa Cristo). Y lo llevó a Jesús» (Jn 1,40-42). Por tanto, está claro que tampoco el diálogo entre cristianos puede sustraerse a esta lógica del encuentro personal.
Así pues, no es casualidad que el camino de la reconciliación y de paz entre católicos y ortodoxos haya sido de alguna manera inaugurado por un encuentro, por un abrazo entre nuestros venerados predecesores, el Patriarca Ecuménico Atenágoras y el Papa Pablo VI, hace cincuenta años en Jerusalén, un acontecimiento que Vuestra Santidad y yo hemos querido conmemorar encontrándonos de nuevo en la ciudad donde el Señor Jesucristo murió y resucitó.
Por una feliz coincidencia, esta visita tiene lugar unos días después de la celebración del quincuagésimo aniversario de la promulgación del Decreto del Concilio Vaticano II sobre la búsqueda de la unidad entre todos los cristianos, Unitatis redintegratio. Es un documento fundamental con el que se ha abierto un nuevo camino para el encuentro entre los católicos y los hermanos de otras Iglesias y Comunidades eclesiales.
Con aquel Decreto, la Iglesia Católica reconoce en particular que las Iglesias ortodoxas «tienen verdaderos sacramentos, y sobre todo, en virtud de la sucesión apostólica, el sacerdocio y la Eucaristía, con los que se unen aún con nosotros con vínculo estrechísimo» (n. 15). En consecuencia, se afirma que, para preservar fielmente la plenitud de la tradición cristiana, y para llevar a término la reconciliación de los cristianos de Oriente y de Occidente, es de suma importancia conservar y sostener el riquísimo patrimonio de las Iglesias de Oriente, no sólo por lo que se refiere a las tradiciones litúrgicas y espirituales, sino también a las disciplinas canónicas, sancionadas por los Santos Padres y los concilios, que regulan la vida de estas Iglesias (cf., nn. 15-16).
Considero importante reiterar el respeto de este principio como condición esencial y recíproca para el restablecimiento de la plena comunión, que no significa ni sumisión del uno al otro, ni absorción, sino más bien la aceptación de todos los dones que Dios ha dado a cada uno, para manifestar a todo el mundo el gran misterio de la salvación llevada a cabo por Cristo, el Señor, por medio del Espíritu Santo. Quiero asegurar a cada uno de vosotros que, para alcanzar el anhelado objetivo de la plena unidad, la Iglesia Católica no pretende imponer ninguna exigencia, salvo la profesión de fe común, y que estamos dispuestos a buscar juntos, a la luz de la enseñanza de la Escritura y la experiencia del primer milenio, las modalidades con las que se garantice la necesaria unidad de la Iglesia en las actuales circunstancias: lo único que la Iglesia Católica desea, y que yo busco como Obispo de Roma, «la Iglesia que preside en la caridad», es la comunión con las Iglesias ortodoxas. Dicha comunión será siempre fruto del amor «que ha sido derramado en nuestros corazones por el Espíritu Santo, que se nos ha dado» (Rm 5,5), amor fraterno que muestra el lazo trascendente y espiritual que nos une como discípulos del Señor.
En el mundo de hoy se alzan con ímpetu voces que no podemos dejar de oír, y que piden a nuestras Iglesias vivir plenamente el ser discípulos del Señor Jesucristo.
La primera de estas voces es la de los pobres. En el mundo hay demasiadas mujeres y demasiados hombres que sufren por grave malnutrición, por el creciente desempleo, por el alto porcentaje de jóvenes sin trabajo y por el aumento de la exclusión social, que puede conducir a comportamientos delictivos e incluso al reclutamiento de terroristas. No podemos permanecer indiferentes ante las voces de estos hermanos y hermanas. Ellos no sólo nos piden que les demos ayuda material, necesaria en muchas circunstancias, sino, sobre todo, que les apoyemos para defender su propia dignidad de seres humanos, para que puedan encontrar las energías espirituales para recuperarse y volver a ser protagonistas de su historia. Nos piden también que luchemos, a la luz del Evangelio, contra las causas estructurales de la pobreza: la desigualdad, la falta de un trabajo digno, de tierra y de casa, la negación de los derechos sociales y laborales. Como cristianos, estamos llamados a vencer juntos a la globalización de la indiferencia, que hoy parece tener la supremacía, y a  construir una nueva civilización del amor y de la solidaridad.
Una segunda voz que clama con vehemencia es la de las víctimas de los conflictos en muchas partes del mundo. Esta voz la oímos resonar muy bien desde aquí, porque algunos países vecinos están sufriendo una guerra atroz e inhumana. Turbar la paz de un pueblo, cometer o consentir cualquier tipo de violencia, especialmente sobre los más débiles e indefensos, es un grave pecado contra Dios, porque significa no respetar la imagen de Dios que hay en el hombre. La voz de las víctimas de los conflictos nos impulsa a avanzar diligentemente por el camino de  reconciliación y comunión entre católicos y ortodoxos. Por lo demás, ¿cómo podemos anunciar de modo creíble el mensaje de paz que viene de Cristo, si entre nosotros continúa habiendo rivalidades y contiendas? (Pablo VI, Exhort. Ap., Evangelii nuntiandi, 77).
Una tercera voz que nos interpela es la de los jóvenes. Hoy, por desgracia, hay muchos jóvenes que viven sin esperanza, vencidos por la desconfianza y la resignación. Muchos jóvenes, además, influenciados por la cultura dominante, buscan la felicidad sólo en poseer bienes materiales y en la satisfacción de las emociones del momento. Las nuevas generaciones nunca podrán alcanzar la verdadera sabiduría y mantener viva la esperanza, si nosotros no somos capaces de valorar y transmitir el auténtico humanismo, que brota del Evangelio y la experiencia milenaria de la Iglesia. Son precisamente los jóvenes – pienso por ejemplo en la multitud de jóvenes ortodoxos, católicos y protestantes que se reúnen en los encuentros internacionales organizados por la Comunidad de Taizé – los que hoy nos instan a avanzar hacia la plena comunión. Y esto, no porque ignoren el significado de las diferencias que aún nos separan, sino porque saben ver más allá, son capaces de percibir lo esencial que ya nos une.
Santidad, estamos ya en el camino hacia la plena comunión y podemos vivir ya signos elocuentes de una unidad real, aunque todavía parcial. Esto nos reconforta y nos impulsa a proseguir por esta senda. Estamos seguros de que a lo largo de este camino contaremos con el apoyo de la intercesión del Apóstol Andrés y de su hermano Pedro, considerados por la tradición como fundadores de las Iglesias de Constantinopla y de Roma. Pidamos a Dios el gran don de la plena unidad y la capacidad de acogerlo en nuestras vidas. Y nunca olvidemos de rezar unos por otros.
PORTOGHESE
Muitas vezes, como arcebispo de Buenos Aires, participei na Divina Liturgia das comunidades ortodoxas presentes naquela cidade, mas poder encontrar-me hoje nesta Igreja Patriarcal de São Jorge para a celebração do Santo Apóstolo André, o primeiro chamado e irmão de São Pedro, patrono do Patriarcado Ecuménico, é verdadeiramente uma graça singular que o Senhor me dá.
Encontrar-nos, olhar o rosto um do outro, trocar o abraço de paz, rezar um pelo outro são dimensões essenciais do caminho para o restabelecimento da plena comunhão para a qual tendemos. Tudo isto precede e acompanha constantemente a outra dimensão essencial do referido caminho que é o diálogo teológico. Um autêntico diálogo é sempre um encontro entre pessoas com um nome, um rosto, uma história, e não apenas um confronto de ideias. 
Isto vale sobretudo para nós, cristãos, porque, para nós, a verdade é a pessoa de Jesus Cristo. O exemplo de Santo André – que, juntamente com outro discípulo, acolheu o convite do Divino Mestre: «Vinde e vereis» e «ficaram com Ele nesse dia» (Jo 1, 39) – mostra-nos claramente que a vida cristã é uma experiência pessoal, um encontro transformador com Aquele que nos ama e nos quer salvar. Também o anúncio cristão se difunde graças a pessoas que, apaixonadas por Cristo, não podem deixar de transmitir a alegria de serem amadas e salvas. Aqui, mais uma vez, é esclarecedor o exemplo do Apóstolo André. Depois de ter seguido Jesus até onde habitava e ter-se demorado com Ele, «encontrou primeiro o seu irmão Simão e disse-lhe: “Encontrámos o Messias!” – que quer dizer Cristo. E levou-o até Jesus» (Jo 1, 40-42). Fica, assim, claro que nem sequer o diálogo entre cristãos pode subtrair-se a esta lógica do encontro pessoal.
Por isso, não foi por acaso que o caminho de reconciliação e de paz entre católicos e ortodoxos tenha sido, de alguma forma, inaugurado por um encontro, por um abraço entre os nossos venerados Predecessores, o Patriarca Ecuménico Atenágoras e o Papa Paulo VI, há cinquenta anos, em Jerusalém, um acontecimento que Vossa Santidade e eu quisemos recentemente comemorar encontrando-nos de novo na cidade onde o Senhor Jesus Cristo morreu e ressuscitou.
Por feliz coincidência, esta minha visita acontece poucos dias depois da celebração dos cinquenta anos da promulgação do Decreto do Concílio Vaticano II sobre a busca da unidade entre todos os cristãos, Unitatis redintegratio. Trata-se de um documento fundamental com que foi aberta uma nova estrada para o encontro entre os católicos e os irmãos de outras Igrejas e Comunidades eclesiais.
Em particular, com tal Decreto, a Igreja católica reconhece que as Igrejas ortodoxas «têm verdadeiros sacramentos e principalmente, em virtude da sucessão apostólica, o sacerdócio e a Eucaristia, por meio dos quais permanecem ainda unidas connosco por vínculos muito íntimos» (n. 15). Consequentemente, afirma-se que, para guardar fielmente a plenitude da tradição cristã e levar a termo a reconciliação dos cristãos do Oriente e do Ocidente, é de extrema importância conservar e sustentar o riquíssimo património das Igrejas do Oriente, não só no que diz respeito às tradições litúrgicas e espirituais, mas também as disciplinas canónicas, sancionadas pelos santos padres e pelos concílios, que regulam a vida dessas Igrejas (cf. nn. 15-16).
Considero importante reiterar o respeito deste princípio como condição essencial e recíproca para o restabelecimento da plena comunhão, que não significa submissão de um ao outro nem absorção, mas sim acolhimento de todos os dons que Deus deu a cada um para manifestar ao mundo inteiro o grande mistério da salvação realizado por Cristo Senhor por meio do Espírito Santo. Quero assegurar a cada um de vós que, para se chegar à suspirada meta da plena unidade, a Igreja católica não tem intenção de impor qualquer exigência, excepto a da profissão da fé comum, e que estamos prontos a buscar juntos, à luz do ensinamento da Escritura e da experiência do primeiro milénio, as modalidades pelas quais garantir a necessária unidade da Igreja nas circunstâncias actuais: a única coisa que a Igreja católica deseja e que eu procuro como Bispo de Roma, «a Igreja que preside na caridade», é a comunhão com as Igrejas ortodoxas. Esta comunhão será sempre fruto do amor «que foi derramado nos nossos corações pelo Espírito Santo que nos foi dado» (Rm 5, 5), amor fraterno que dá expressão ao vínculo espiritual e transcendente que nos une como discípulos do Senhor.
No mundo actual, erguem-se com intensidade vozes que não podemos deixar de ouvir, pedindo às nossas Igrejas que vivam plenamente como discípulos do Senhor Jesus Cristo.
A primeira destas vozes é a dos pobres. No mundo, há demasiadas mulheres e demasiados homens que sofrem por desnutrição grave, pelo desemprego crescente, pela alta percentagem de jovens sem trabalho e pelo aumento da exclusão social, que pode induzir a actividades criminosas e até mesmo ao recrutamento de terroristas. Não podemos ficar indiferentes perante as vozes destes irmãos e irmãs. Estão-nos pedindo não só que lhes demos uma ajuda material, necessária em muitas circunstâncias, mas sobretudo que os ajudemos a defender a sua dignidade de pessoas humanas, de modo que possam reencontrar as energias espirituais para levantarem e voltarem a ser protagonistas das suas histórias. Além disso pedem-nos para lutar, à luz do Evangelho, contra as causas estruturais da pobreza, a desigualdade, a falta de um trabalho digno, da terra e da casa, a negação dos direitos sociais e laborais. Como cristãos, somos chamados a vencer, juntos, a globalização da indiferença – que, hoje, parece deter a supremacia – e a construir uma nova civilização do amor e da solidariedade.
Uma segunda voz que brada forte é a das vítimas dos conflitos em muitas partes do mundo. Esta voz, ouvimo-la ressoar muito bem a partir daqui, porque algumas nações vizinhas estão marcadas por uma guerra atroz e desumana. Turvar a paz de um povo, cometer ou consentir qualquer género de violência, especialmente contra pessoas frágeis e indefesas, é um pecado gravíssimo contra Deus, porque significa não respeitar a imagem de Deus que está no homem. A voz das vítimas dos conflitos impele-nos a avançar apressadamente no caminho de reconciliação e comunhão entre católicos e ortodoxos. Aliás, como podemos anunciar com credibilidade a mensagem de paz que vem de Cristo, se entre nós continuam a existir rivalidades e contendas? (cf. Paulo VI, Exort. ap. Evangelii nuntiandi, 77).
Uma terceira voz que nos interpela é a dos jovens. Hoje, infelizmente, há tantos jovens que vivem sem esperança, dominados pelo desânimo e a resignação. Além disso, influenciados pela cultura dominante, muitos jovens buscam a alegria apenas na posse de bens materiais e na satisfação das emoções do momento. As novas gerações não poderão jamais adquirir a verdadeira sabedoria e manter viva a esperança, se nós não formos capazes de valorizar e transmitir o autêntico humanismo, que brota do Evangelho e da experiência milenar da Igreja. São precisamente os jovens – penso, por exemplo, nas multidões de jovens ortodoxos, católicos e protestantes que se reúnem nos encontros internacionais organizados pela comunidade de Taizé – que hoje nos pedem para avançar rumo à plena comunhão. E isto, não porque eles ignorem o significado das diferenças que ainda nos separam, mas porque sabem ver mais além, são capazes de captar o essencial que já nos une.
Santidade, estamos já a caminho para a plena comunhão e já podemos viver sinais eloquentes de uma unidade real, embora ainda parcial. Isso nos conforta e sustenta na prossecução deste caminho. Temos a certeza de que, ao longo desta estrada, somos apoiados pela intercessão do Apóstolo André e do seu irmão Pedro, considerados pela tradição os fundadores das Igrejas de Constantinopla e de Roma. Imploramos de Deus o grande dom da unidade plena e a capacidade de o acolher nas nossas vidas. E não nos esqueçamos jamais de rezar uns pelos outros.

Divina Liturgia nella Chiesa di S. Giorgio del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. Discorso del Bartolomeo I



Divina Liturgia nella Chiesa di S. Giorgio del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. Discorso del  Bartolomeo I. Il Patriarca al Papa: "Il Vostro ancora breve cammino alla guida della Vostra Chiesa, Vi ha consacrato nella coscienza dei nostri contemporanei, araldo dell’amore, della pace e della riconciliazione"
(Sala stampa della Santa Sede
[Text: Italiano, English, Español]
Santissimo ed amatissimo Fratello in Cristo, vescovo della Antica Roma, Signor Francesco. Rendiamo gloria e lode al nostro Dio Trino, che ci ha resi degni della ineffabile gioia dell’appropriato onore della presenza di persona di Vostra Santità quest’anno per la festività della santa memoria del fondatore della nostra Chiesa, grazie alla sua predicazione, San Andrea Apostolo, il Primo Chiamato. Ringraziamo dal cuore Vostra Santità per l’onoratissimo dono della Vostra benedetta presenza in mezzo a noi, con il Vostro venerabile Seguito. Con profondo amore e grande onore Vi abbracciamo, rivolgendo a Voi il bacio di pace e di amore: “Grazia a Voi e pace da Dio, nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo” (Ro. 1,7). “Infatti l’amore di Cristo ci spinge”. (2 Cor. 14-15).

Conserviamo ancora fresco nel nostro cuore il ricordo del nostro incontro con Vostra Santità in Terra Santa, in devota comune adorazione del luogo ove è nato, ha vissuto, ha insegnato, ha patito, è risorto ed è asceso dove era in precedenza, il Maestro della nostra fede, ma anche in memoria riconoscente dello storico evento, che lì si sono incontrati i nostri predecessori di beata memoria Papa Paolo VI ed il Patriarca Ecumenico Atenagora. Grazie al loro incontro in Terra Santa, cinquanta anni orsono, il corso della storia ha cambiato direzione, i cammini paralleli e talvolta contrastanti delle nostre Chiese si sono incontrati nel comune sogno del ritrovamento della loro unità perduta, l’amore raffreddato sì è riacceso e si è ritemprata la nostra volontà di fare tutto ciò che possiamo, affinché spunti di nuovo la nostra comunione, nella stessa fede e nel Calice comune. Da allora si è aperta la via verso Emmaus, una via magari lunga e talvolta ardua, senza ritorno, mentre il Signore ci accompagna in modo invisibile fino a che Egli si riveli a noi: “nello spezzare del pane” (Lc. 24,35).
Tutti i successori di quelle guide ispirate hanno percorso da allora e percorrono tale via, istituendo, benedicendo e sostenendo il dialogo di amore e di verità tra le nostre Chiese per la rimozione degli ostacoli che per un intero millennio si sono accumulati nelle relazioni tra di esse, dialogo tra fratelli e non come un tempo tra rivali, con sincerità, dispensando rettamente la parola di verità, ma anche rispettandosi a vicenda come fratelli. In questo clima caratterizzato da un comune cammino, nel ricordo dei nostri predecessori, accogliamo oggi anche Voi, Santissimo Fratello, quale latore dell’amore dell’Apostolo Pietro, verso il suo proprio fratello, l’Apostolo Andrea, il Primo Chiamato, del quale oggi celebriamo festosamente la sacra memoria.
Secondo una sacra consuetudine, stabilitasi e osservatasi già da decenni dalle Chiese della Antica e della Nuova Roma, le loro rappresentanze ufficiali si scambiamo visite l’un l’altra durante le feste patronali, affinché anche in questo modo sia manifesta la fraternità dei due Apostoli Corifei, i quali assieme hanno conosciuto Gesù e hanno creduto in Lui come Dio e Salvatore. Gli stessi hanno trasmesso tale fede comune alle Chiese, che hanno fondato grazie alla loro predicazione e che hanno santificato con il loro martirio. Tale fede comune è stata vissuta e dogmatizzata dai comuni Padri delle nostre Chiese, riunitisi da oriente e occidente nei Concili ecumenici, dandola in eredità alle nostre Chiese, come incrollabile fondamenta della nostra unità. Questa fede, che abbiamo conservato in comune in oriente ed in occidente per un millennio, siamo chiamati di nuovo a porre come base della nostra unità, cosicché “rimanendo unanimi e concordi” (Fil. 2,2-3) passiamo più oltre con Paolo “dimenticando ciò che sta alle spalle e protesi verso ciò che sta di fronte” (Fil. 3,14).
Perché, veramente, Santissimo Fratello, il nostro dovere non si esaurisce nel passato, ma principalmente si estende, soprattutto ai nostri giorni, al futuro. Perché, a cosa serve la nostra fedeltà al passato, se questo non significa nulla per il futuro? A cosa giova il nostro vanto per quanto abbiamo ricevuto, se tutto ciò non si traduce nella vita per l’uomo e per il mondo di oggi e di domani? “Gesù Cristo è sempre lo stesso , ieri e oggi e nei secoli” (Eb. 13, 8-9). E la sua Chiesa è chiamata ad avere il suo sguardo volto non tanto all’ieri, quanto all’oggi e al domani. La Chiesa esiste per il mondo e per l’uomo e non per se stessa.
Volgendo il nostro sguardo all’oggi, non possiamo sfuggire l’ansia per il domani. “Battaglie all’esterno, timori all’interno” (2 Cor. 7,6) – Questa constatazione dell’Apostolo per la sua epoca, vale nella sua interezza per l’oggi e per noi. Perché, per tutto il tempo che noi siamo impegnati nelle nostre dispute, il mondo vive la paura della sopravvivenza e l’ansia del domani. Come sopravvivrà l’umanità dilaniata oggi da svariate divisioni, scontri ed inimicizie, molte volte addirittura nel nome di Dio? Come sarà distribuita la ricchezza della terra in modo più equo, cosicché domani la umanità non viva la schiavitù più esecrabile, che abbia mai conosciuto? Quale pianeta troveranno le prossime generazioni per abitarvi, quando l’uomo contemporaneo nella sua cupidigia lo distrugge senza pietà ed in modo irrimediabile?
Molti pongono oggi le loro speranze nella scienza. Altri nella politica, altri ancora nella tecnologia. Ma nessuno di loro è in grado di garantire il futuro, se l’uomo non accoglie il messaggio della riconciliazione, dell’amore e della giustizia, il messaggio dell’accettazione dell’altro, del diverso, persino anche del nemico. La Chiesa di Cristo, che per primo ha insegnato e vissuto questo messaggio, ha il dovere per prima cosa di applicarlo a se stessa, “affinché il mondo creda” (Gv. 17,21). Ecco perché urge più che mai il cammino verso l’unità di quanti invocano il nome del grande Operatore di pace. Ecco perché la responsabilità di noi cristiani è maggiore davanti a Dio, all’uomo e alla Storia.
Santità,
Il Vostro ancora breve cammino alla guida della Vostra Chiesa, Vi ha consacrato nella coscienza dei nostri contemporanei, araldo dell’amore, della pace e della riconciliazione. Insegnate con i Vostri discorsi, ma soprattutto e principalmente con la semplicità, la umiltà e l’amore verso tutti, per i quali esercitate il Vostro alto ufficio. Ispirate fiducia agli increduli, speranza ai disperati, attesa a quanti attendono una Chiesa amorevole verso tutti. Tra le altre cose, offrite ai Vostri fratelli Ortodossi, la speranza che durante il Vostro tempo, l’avvicinamento delle nostre due grandi antiche Chiese continuerà a edificarsi sulle solide fondamenta della nostra comune tradizione, la quale da sempre rispettava e riconosceva nel corpo della Chiesa un primato di amore, di onore e di servizio, nel quadro della sinodalità, affinché “con una sola bocca ed un sol cuore” si confessi il Dio Trino e si effonda il Suo amore nel mondo. 
Santità,
La Chiesa delle Città di Costantino, che accoglie Voi oggi innanzitutto con amore e grande onore, ma anche con profonda riconoscenza, porta sulle proprie spalle una pesante eredità, ma anche una responsabilità sia per il presente che per il futuro. In questa Chiesa, la Divina Provvidenza attraverso l’ordine costituito dai Santi Concili Ecumenici, ha assegnato la responsabilità del coordinamento e della espressione della omofonia delle Santissime Chiese Ortodosse Locali. Con questa responsabilità lavoriamo già accuratamente per la preparazione del Santo e Grande Sinodo della Chiesa Ortodossa, che si è deciso di convocare qui, a Dio piacendo, entro l’anno 2016. Già le commissioni competenti lavorano alacremente alla preparazione di questo grande evento nella storia della Chiesa Ortodossa, per il cui successo, chiediamo anche le Vostre preghiere. Purtroppo, la rottura millenaria della comunione eucaristica tra le nostre Chiese non permette ancora la convocazione di un grande comune Concilio Ecumenico. Preghiamo dunque che, ristabilita la piena comunione tra di esse, non tardi a sorgere anche questo grande ed importante giorno. Fino a quel benedetto giorno, la partecipazione di entrambe le nostre Chiese alla vita sinodale dell’altra, si esprimerà attraverso l’invio di osservatori, come già succede, su Vostro cortese invito, durante i Sinodi della Vostra Chiesa e come – speriamo -, vogliamo succeda, con l’aiuto di Dio, anche durante la realizzazione del nostro Santo e Grande Sinodo.
Santità, fratello Vescovo di Roma,
I problemi, che la congiuntura storica innalza davanti alle Chiese, impongono a noi il superamento della introversione e il fatto di affrontarli per quanto possibile con più strette collaborazioni. Non abbiamo più il lusso per agire da soli. Gli odierni persecutori dei Cristiani non chiedono a quale Chiesa appartengono le loro vittime. L’unità, per la quale ci diamo molto da fare, si attua già in alcune regioni, purtroppo, attraverso il martirio. Tendiamo dunque insieme la mano all’uomo contemporaneo, la mano del solo che è in grado di salvarlo per mezzo della Croce e della Sua Resurrezione.
Con questi pensieri e sentimenti, esprimiamo di nuovo la gioia della presenza di Vostra Santità in mezzo a noi, ringraziando Voi e pregando il Signore che, per intercessione dell’Apostolo Primo Chiamato che oggi festeggiamo, e del suo fratello Pietro il Protocorifeo, protegga la Sua Chiesa e la guidi al compimento della Sua volontà. Dunque, buona permanenza in mezzo a noi, fratello prediletto!
INGLESE
Your Holiness Pope Francis, beloved brother in Christ, bishop of Senior Rome, We offer glory and praise to our God in Trinity for deeming us worthy of the ineffable joy and special honor of the personal presence here of Your Holiness on the occasion of this year’s celebration of the sacred memory of the First-called Apostle Andrew, who founded our Church through his preaching. We are profoundly grateful to Your Holiness for the precious gift of Your blessed presence among us, together with Your honorable entourage. We embrace you wholeheartedly and honorably, addressing you fervently with a greeting of peace and love: “Grace to you and peace from God our Father and the Lord Jesus Christ” (Rom. 1.7). “For the love of Christ controls us” (2 Cor. 5.14).
We still vividly preserve in our heart the recollection of our encounter with Your Holiness in the Holy Land for a joint pious pilgrimage in the place where the pioneer of our faith was once born, lived, taught, suffered, was risen and ascended as well as for a thankful remembrance of the historical event of the meeting there by our predecessors, the late Pope Paul VI and Ecumenical Patriarch Athenagoras. As a result of their meeting in the Holy City fifty years ago, the flow of history has literally changed direction: the parallel and occasionally conflicting journeys of our Churches have coincided in the common vision of restoring our lost unity; the cold love between us has been rekindled, while our desire to do everything in our capacity so that our communion in the same faith and the same chalice may once again emerge has been galvanized. Thenceforth, the road to Emmaus has opened up before us – a road that, while perhaps lengthy and sometimes even rugged, is nonetheless irreversible – with the Lord as our companion, until He is revealed to us “in the breaking of the bread” (Luke 24.35).
This way has since been followed – and is still being followed – by all of the successors of those inspired leaders, in turn establishing, dedicating and endorsing the dialogue of love and truth between our Churches in order to lift a millennium of burdens amassed in our relations. This dialogue is one that befits friends and not, as in former times, adversaries, inasmuch as sincerely seek to be rightly dividing the word of truth and respect one another as brothers. In such an atmosphere fashioned by our aforementioned predecessors with respect to our common journey, we too fraternally welcome Your Holiness as bearing the love of St. Peter to his brother, St. Andrew, whose sacred feast we celebrate today. In accordance with a holy custom established and observed for decades now by the Churches of Senior and New Rome, official delegations exchange visits on the occasion of their respective patronal feasts in order to demonstrate by this manner as well the fraternal bond between the two chief Apostles, who together came to know Jesus Christ and to believe in Him as God and Savior. These Apostles transmitted this common faith to the Churches founded by their preaching and sanctified by their martyrdom. This faith was also jointly experienced and articulated into doctrine by our Church Fathers, who assembled from East and West in ecumenical councils, bequeathing it to our Churches as an unshakable foundation of our unity. It is this same faith, which we have together preserved in both East and West for an entire millennium, that we are once again called to deposit as the basis of our unity in order that, “being in full accord and of one mind” (Phil. 2.2), we may press on with Paul “forgetting what lies behind and straining forward to what lies ahead” (Phil. 3.13).
After all, Your Holiness and dear Brother, our obligation is surely not exhausted in the past but primarily extends to the future, especially in our times. For what is the value of our fidelity to the past unless this denotes something for the future? What is the benefit of boasting for what we have received unless these translate into life for humanity and our world both today and Church is called to keep its sight fixed not so much on yesterday as on today and tomorrow. The Church exists not for itself, but for the world and for humanity.
Therefore, in directing our sight toward today, we cannot avoid being anxious also for tomorrow. “There is fighting without and fear within” (2 Cor. 7.5) – This recognition of the Apostle Paul about his age is indisputably valid also for us today. Indeed, even as we are preoccupied with our own contentions, the world experiences the fear of survival, the concern for tomorrow. How can humanity survive tomorrow when it is severed today by diverse divisions, conflicts and animosities, frequently even in the name of God? How will the earth’s wealth be distributed more equitably in order for humanity tomorrow to avoid the most heinous slavery ever known in history? What sort of planet will future generations inherit when modern man is destroying it so mercilessly and irrevocably through greed?
Nowadays many people place their hope on science; others on politics; still others in technology. Yet none of these can guarantee the future, unless humanity espouses the message of reconciliation, love and justice; the mission of embracing the other, the stranger, and even the enemy. The Church of Christ, who first proclaimed and practiced this teaching, is compelled to be the first to apply this teaching “so that the world may believe” (John 17.21). This is precisely why the path toward unity is more urgent than ever for those who invoke the name of the great Peacemaker. This is precisely why our responsibility as Christians is so great before God, humankind and history.
Your Holiness,
Your hitherto brief tenure at the helm of Your Church has already manifested You in people’s conscience today as a herald of love, peace and reconciliation. You preach with words, but above and beyond all with the simplicity, humility and love toward everyone that you exercise your high ministry. You inspire trust in those who doubt, hope in those who despair, anticipation in those who expect a Church that nurtures all people. Moreover, You offer to Your Orthodox brothers and sisters the aspiration that during Your tenure the rapprochement of our two great ancient Churches will continue to be established on the solid foundations of our common tradition, which always preserved and acknowledged in the constitution of the Church a primacy of love, honor and service within the framework of collegiality, in order that “with one mouth and one heart” we may confess the Trinitarian God and that His love may be poured out upon the world.
Your Holiness,
The Church of Constantinople, which today for the first time receives You with fervent love and honor as well as with heartfelt gratitude, bears upon its shoulders a heavy legacy, but also a responsibility for the present and the future. In this Church, through the order instituted by the holy Ecumenical Councils, divine providence has assigned the responsibility of coordinating and expressing the unanimity of the most holy local Orthodox Churches. In the context of this responsibility, we are already working very assiduously for the preparation of the Holy and Great Council of the Orthodox Church, which – as decided – will convene here, God willing, in 2016. At this time, the appropriate committees are laboring feverishly to prepare this great event in the history of the Orthodox Church, for whose success we also implore Your prayers. Unfortunately, the Eucharistic communion of our Churches that was interrupted one thousand years ago does not yet permit the convocation of a joint Great Ecumenical Council. Let us pray that, once full communion is restored, this significant and special day will also not be prolonged. However, until that blessed day, the participation in one another’s synodal life will be expressed through the involvement of observers, as we observe now, with Your gracious invitation to attend Synods of Your Church, just as we hope will also occur when, with God’s grace, our Holy and Great Council becomes reality.
Your Holiness,
The challenges presented to our Churches by today’s historical circumstances oblige us to transcend our introversion in order to meet them with the greatest degree of collaboration. We no longer have the luxury of isolated action. The modern persecutors of Christians do not ask which Church their victims belong to. The unity that concerns us is regrettably already occurring in certain regions of the world through the blood of martyrdom. Together let us extend our hand to people of our time; together let us extend the hand of Him, who alone can save humankind through His Cross and Resurrection. With these thoughts and sentiments, on
ce again we express our joy and thanks at the presence here of Your Holiness, even as we pray that the Lord – through the intercessions of the one we celebrate today, the First-called Apostle and brother of the Chief of the Apostles Peter – may protect His Church and direct it to the fulfillment of His sacred will. Welcome among us, dearly beloved brother!
SPAGNOLO
Santísimo y amado Hermano en Cristo, Francisco, Obispo de Roma, Gloria y alabanza damos a nuestro Dios Trino que nos ha concedido la alegría inexpresable y el honor particular de la presencia personal de Vuestra Santidad, durante el festejo de este año de la memoria sagrada del fundador, a través de su predicación, de nuestra Iglesia, el Apóstol Andrés el Primer Llamado. Agradecemos cordialmente a Vuestra Santidad el precioso don de su bendita presencia entre nosotros, junto con su venerable Séquito. Con amor profundo y gran honor os abrazamos dirigiéndoos el cordial abrazo de la paz y del amor: “Gracia y paz de parte de Dios nuestro Padre y del Señor Jesucristo” (Rom 1,7). “Porque nos apremia el amor de Cristo” (2 Cor 5,14).
Todavía conservamos fresco en nuestro corazón el recuerdo de nuestro encuentro con Vuestra Santidad en la Tierra Santa en común peregrinaje piadoso al lugar donde nació, vivió, enseñó, padeció, resucitó y ascendió, allí donde estuvo antes, la Cabeza de nuestra fe, así como también el agradecido recuerdo del evento histórico del encuentro allí de nuestros inolvidables predecesores el Papa Pablo VI y el Patriarca Ecuménico Athenágoras. Aquel encuentro de ellos, hace ya cincuenta años, en la Santa Ciudad, cambió la dirección del curso de la historia; los paralelos y algunas veces enfrentados caminos de nuestras Iglesias se encontraron en la visión común del descubrimiento de la perdida de su unidad, el amor congelado ha vuelto a inflamarse y fue acelerada nuestra voluntad de hacer todo lo que esté de nuestra parte para que de nuevo se edifique nuestra comunión en la misma fe y en el Cáliz común. Desde entonces se abrió la vía de Emmaús, vía probablemente larga y algunas veces escabrosa, pero sin retorno, invisiblemente caminando junto con nosotros el Señor, hasta que Él se nos revele “en el partir el pan” (Luc 24,35).
Esta vía la han seguido desde entonces y la siguen todos los sucesores de estos inspirados jefes, instituyendo, bendiciendo y apoyando el diálogo de la caridad y de la verdad entre nuestras Iglesias para la elevación de los obstáculos acumulados por un milenio completo en las relaciones entre ellas, diálogo entre hermanos y no, como antiguamente, de adversarios, precisando con toda franqueza la palabra de la verdad, pero también respetándose recíprocamente como hermanos.
Dentro de este clima del camino común trazado por nuestros mencionados predecesores, os acogemos hoy también, Santísimo Hermano, como portador del amor del Apóstol Pedro a su hermano el Apóstol Andrés, el Primer Llamado, cuya memoria sagrada solemnemente celebramos hoy. Según costumbre sagrada, instituida y observada ya desde décadas por parte de las Iglesias de la Antigua y Nueva Roma, representaciones oficiales de ambas intercambian visitas durante la fiesta patronal de cada una de ellas, para que también a través este modo sea demostrada la hermandad carnal de los dos corifeos Apóstoles, que de común han conocido a Jesús y han creído en Él como Dios y Salvador. Esta común fe la han transmitido a las Iglesias que han fundado con su predicación y han santificado con su martirio. Esta fe han vivido y han dogmatizado los Padres comunes de nuestras Iglesias, reunidos desde oriente y occidente en Concilios Ecuménicos, heredándola en nuestras Iglesias como fundamento inquebrantable de nuestra unidad. Esta fe, que hemos conservado en común en el oriente y en el occidente por un milenio, somos llamados nuevamente a ponerla como base de nuestra unidad, de modo que “manteneos unánimes y concordes” (Fil 2,2) avanzamos junto con Pablo adelante “olvidando lo que queda atrás y lanzando hacia lo que está por delante” (cfr. Fil 3,14).
Porque en verdad, Santísimo Hermano, nuestra obligación no se limita en el pasado, sino que se extiende sobre todo y, especialmente en nuestros días, en el futuro. Porque, ¿para que vale nuestra fidelidad al pasado, si esto nada significa para el futuro? ¿Qué utilidad tiene nuestro orgullo por todo que hemos recibido, si todo esto no se traduce en vida para el hombre y el mundo de hoy y del mañana? “Jesucristo es el mismo ayer y hoy y siempre” (Hebr 13,8), y su Iglesia viene llamada a tener su visión dirigida no tanto al ayer, sino al hoy y al mañana. La Iglesia existe por el mundo y por el hombre y no por si misma.
Nuestra visión dirigida al hoy no puede evitar nuestra agonía también para el mañana. “Luchas por fuera, temores por dentro” (2 Cor 7,5). Esta comprobación del Apóstol para su época, vale integra hoy también para nosotros. Porque, mientras todo el tiempo que nos ocupamos con nuestras contradicciones, el mundo vive el temor de la supervivencia, la agonía del mañana. ¿Como puede sobrevivir mañana una humanidad afligida hoy por muchas divisiones, conflictos y enemistades, muchas veces también en el nombre de Dios? ¿Cómo será repartida la riqueza de la tierra más justamente de modo que no viva mañana la humanidad una esclavitud más horrible, que jamás conoció antes? ¿Qué planeta encontrarán las próximas generaciones para habitar, si el hombre moderno con su avidez lo destruye cruel y irremediablemente?
Muchos ponen hoy sus esperanzas en la ciencia; otros en la política; otros en la tecnología. Pero ninguna de estas puede garantizar el futuro si el hombre no adopta la llamada de la reconciliación, del amor y de la justicia; la llamada de la aceptación del otro, del diferente, aún también del enemigo. La Iglesia de Cristo, que es la primera que ha enseñado y ha vivido esta predicación, debe aplicarla en primer lugar para sí misma “para que el mundo crea” (Juan 17,21). He aquí el porque urge como jamás en otro tiempo el camino hacia la unidad de los que invocan el nombre del gran Pacificador. He aquí el porque la responsabilidad de nosotros los cristianos es grande frente a Dios, a la humanidad y a la historia.
Santidad,
En el todavía breve recorrido a la cabeza de vuestra Iglesia os habéis mostrado ya en la conciencia de nuestros contemporáneos como predicador del amor, de la paz y de la reconciliación. Predicáis con vuestras palabras, pero sobre todo y principalmente con vuestra simplicidad, humanidad y amor hacia todos, con los cuales ejercitáis vuestro alto ministerio. Inspiráis confianza en los desconfiados, esperanza en los desesperados, expectación en aquellos que esperan una Iglesia afectuosa para todos. Además ofrecéis a vuestros hermanos Ortodoxos la esperanza que en vuestros días el acercamiento de nuestras dos grandes y antiguas Iglesias se continuará basándose sobre los firmes fundamentos de nuestra común tradición, la cual desde siempre observada y reconocía dentro de la estructura de la Iglesia un primado de amor, honor y servicio en el ámbito de la sinodalidad, de modo que “con una boca y un corazón” viene confesado Dios Trino y derramado Su amor por el mundo.
Santidad,
La Iglesia de la Ciudad de Constantino que por primera vez os acoge hoy con mucho amor y honor, como también con profundo reconocimiento, lleva en sus hombros una pesada herencia, como también una responsabilidad tanto para el presente como para el futuro. En esta Iglesia la Divina Providencia ha puesto, a través del orden instituido por parte de los sagrados Concilios Ecuménicos, la responsabilidad de la coordinación y de la expresión del consenso de las Santísimas Iglesias Ortodoxas locales. Dentro de esta responsabilidad trabajamos ya intensamente para la preparación del Santo y Gran Concilio de la Iglesia Ortodoxa, que se decidió fuera convocado aquí, con la benevolencia de Dios, dentro el año 2016. Las comisiones responsables trabajan ya febrilmente para la preparación de este gran evento en la historia de la Iglesia Ortodoxa, por el éxito del cual pedimos también vuestras oraciones. Desgraciadamente, la comunión eucarística entre nuestras Iglesias, rota desde hace mil años, no permite todavía la constitución de un común Gran y Ecuménico Concilio. Rezamos que una vez restablecida la plena comunión entre ellas no tarde en resurgir también este gran e ilustre día. Hasta aquel bendito día, la participación de cada una de nuestras Iglesias en la vida sinodal de la otra será mostrada con el envío de observadores, como ya sucede, por medio de vuestra gentil invitación, durante los Sínodos de vuestra Iglesia, y como, esperamos, que sucederá también durante la realización, con la ayuda de Dios, del nuestro Santo y Gran Concilio.
Santidad,
Los problemas que la coincidencia histórica levanta hoy frente a nuestras Iglesias nos imponen que superaremos el girar en torno nosotros mismos, para afrontarlos con la más estrecha colaboración posible. Los modernos perseguidores de los cristianos no preguntan a qué Iglesia pertenecen sus víctimas. La unidad, por la cual nos comprometemos, se realiza ya en algunas regiones, desgraciadamente, a través del matririo. Tendamos en común la mano al hombre moderno, la mano del único que puede salvarlo a través Su Cruz y Su Resurrección. Con estos pensamientos y sentimientos expresamos también ahora la alegría por la presencia entre nosotros de Vuestra Santidad, agradeciéndola y rezando al Señor que por las intercesiones del celebrado hoy, el Apóstol Primer Llamado y de su hermano en carne Pedro Protocorifeo, proteja Su Iglesia y la conduzca al cumplimiento de Su santa voluntad. ¡Bienvenido entre nosotros, muy querido Hermano!