venerdì 28 novembre 2014

Francesco in Turchia, l'incontro fra islam e laicità


In questa prima tappa del viaggio apostolico di Papa Francesco in Turchia, la visita al mausoleo di Kemal Ataturk e l'incontro con le autorità islamiche, sono i due momenti topici. Un invito al dialogo fra le due eredità: quella laica imposta da Ataturk e quella islamica, che si sta gradualmente affermando dopo 12 anni di governi di Erdogan.


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Recep Tayyip Erdogan e Papa FrancescoIl Papa: "Denunciate chi uccide nel nome dell'islam"
di Massimo Introvigne
Il 28 novembre 2014 Papa Francesco ha iniziato il suo viaggio apostolico in Turchia, dedicando la prima giornata agli incontri con le autorità.
La Turchia attende una nuova Costituzione, che dovrebbe essere varata nel 2015 e tenere conto del fatto che il Paese non è più quello laicista di Kemal Atatürk, che si rivolse alla massoneria francese e italiana per essere aiutato a redigere le leggi fondamentali di un nuovo Stato totalmente laico, ma quello del presidente Erdogan il cui partito Akp dal 2002 vince tutte le elezioni, politiche e amministrative, promettendo ai turchi più islam e meno laicità. Come la nuova Costituzione - che sarà certamente più islamica, perché questo è il mandato che l'Akp ha ricevuto dagli elettori - riuscirà a includere la libertà religiosa e la tutela della minoranza cristiana è una questione la cui portata va al di là della sola Turchia. La partita, che fa da sfondo al viaggio del Papa, riguarda la possibilità di superare il teorema per cui le dittature militari, invise alla maggioranza dei cittadini, garantiscono nel mondo islamico maggiore libertà ai cristiani, mentre quando s'instaura la democrazia e l'islam politico vince le elezioni i cristiani si sentono in pericolo. La Turchia vorrebbe appunto dimostrare che coniugare islam politico e tutela delle minoranze religiose è possibile. È una sfida molto difficile, che la Santa Sede segue da oltre un decennio con attenzione e senza pregiudizi ideologici.
Simbolicamente, Papa Francesco ha voluto iniziare la sua visita ad Ankara proprio dal mausoleo di Kemal Atatürk, quasi a significare che il futuro pacifico della Turchia passa da una riconciliazione, non da uno scontro, fra le sue due eredità laica e islamica, e che  - per quanto si possa criticare il laicismo del padre dell'attuale Repubblica Turca - il fondamentalismo islamico non è un pericolo meno grave. La critica del fondamentalismo è ritornata nell'incontro del Pontefice con il presidente Erdogan, durante il quale Papa Francesco ha voluto sottolineare che la Turchia ha pure un'eredità cristiana, più antica dell'islam. La Turchia, ha detto il Pontefice, «è cara ad ogni cristiano per aver dato i natali a san Paolo, che qui fondò diverse comunità cristiane; per aver ospitato i primi sette Concili della Chiesa e per la presenza, vicino ad Efeso, di quella che una venerata tradizione considera la “casa di Maria”, il luogo dove la Madre di Gesù visse per alcuni anni».
Il Papa ha riconosciuto il ruolo della Turchia come potenza regionale «nel concerto delle nazioni» e ha ricordato l'attenzione per la situazione del Paese e il dialogo con i suoi vari dirigenti da parte del beato Paolo VI, di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, «dialogo preparato e favorito a sua volta dall’azione dell’allora Delegato Apostolico [in Turchia] Mons. Angelo Giuseppe Roncalli, poi san Giovanni XXIII». Il vero dialogo, ha ricordato Francesco, dev'essere un confronto «che approfondisca la conoscenza e valorizzi con discernimento le tante cose che ci accomunano, e al tempo stesso ci permetta di considerare con animo saggio e sereno le differenze, per poter anche da esse trarre insegnamento».
Con un accenno implicito alla questione costituzionale, il Pontefice ha aggiunto che «è fondamentale che i cittadini musulmani, ebrei e cristiani – tanto nelle disposizioni di legge, quanto nella loro effettiva attuazione –, godano dei medesimi diritti e rispettino i medesimi doveri». «La libertà religiosa e la libertà di espressione, efficacemente garantite a tutti, stimoleranno il fiorire dell’amicizia, diventando un eloquente segno di pace». Il riferimento alla «effettiva attuazione» delle leggi non è casuale, perché troppo spesso in Turchia leggi teoricamente avanzate in materia di libertà religiosa non hanno poi trovato concreta applicazione.
Quello che succederà in Turchia sarà cruciale per l'intero Medio Oriente. «La Turchia, per la sua storia, in ragione della sua posizione geografica e a motivo dell’importanza che riveste nella regione, ha una grande responsabilità: le sue scelte e il suo esempio possiedono una speciale valenza». Tutto il Medio Oriente oggi è «teatro di guerre fratricide, che sembrano nascere l’una dall’altra, come se l’unica risposta possibile alla guerra e alla violenza dovesse essere sempre nuova guerra e altra violenza». Questa spirale perversa sembra ormai quasi naturale. Ma, ha detto il Papa, «non possiamo rassegnarci alla continuazione dei conflitti come se non fosse possibile un cambiamento in meglio della situazione! Con l’aiuto di Dio, possiamo e dobbiamo sempre rinnovare il coraggio della pace!». Ma se davvero si vuole la pace, «un contributo importante può venire dal dialogo interreligioso e interculturale, così da bandire ogni forma di fondamentalismo e di terrorismo, che umilia gravemente la dignità di tutti gli uomini e strumentalizza la religione».
Consapevole della storia di Erdogan e del suo partito, che nel 2002 hanno cercato di sostituire alla loro matrice ideologica originaria, il fondamentalismo islamico, una nuova forma di islam politico almeno in teoria più «moderata», il Pontefice ha affermato che «occorre contrapporre al fanatismo e al fondamentalismo, alle fobie irrazionali che incoraggiano incomprensioni e discriminazioni, la solidarietà di tutti i credenti, che abbia come pilastri il rispetto della vita umana, della libertà religiosa, che è libertà del culto e libertà di vivere secondo l’etica religiosa, lo sforzo di garantire a tutti il necessario per una vita dignitosa, e la cura dell’ambiente naturale». Attendono questa critica interna dell'islam al fondamentalismo in particolare la Siria e l'Iraq, dove «la violenza terroristica non accenna a placarsi. Si registra la violazione delle più elementari leggi umanitarie nei confronti dei prigionieri e di interi gruppi etnici; si sono verificate e ancora avvengono gravi persecuzioni ai danni di gruppi minoritari, specialmente - ma non solo -, i cristiani e gli yazidi: centinaia di migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case e la loro patria per poter salvare la propria vita e rimanere fedeli al proprio credo».
Certo, la Turchia fa la sua parte accogliendo decine di migliaia di profughi, un'opera per cui merita il sostegno della comunità internazionale. Ma nello stesso tempo «non si può rimanere indifferenti di fronte a ciò che ha provocato queste tragedie». Entrando più direttamente nella questione del conflitto con il cosiddetto Califfato, il Pontefice ha voluto «ribadire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto, sempre però nel rispetto del diritto internazionale» e tenendo conto che «non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare». Il riferimento alla «sola» risposta militare lascia intendere che essa è parte della soluzione del problema, che richiede però anche una risposta sul terreno delle idee, atteso che il Califfato recluta miliziani in tutto il mondo, Europa compresa, con il sapiente uso della propaganda, cui si deve trovare modo di rispondere culturalmente e non solo con iniziative di polizia. Consapevole che esistono autorevoli opinioni diverse, chi scrive pensa da tempo che questa «strategia Francesco» sia l'unica prospettiva realistica per una soluzione del problema del Califfato.
Questa prospettiva realistica comprende il dialogo con l'islam non fondamentalista, che va invitato a denunciare con chiarezza e senza ambiguità il Califfato e il terrorismo. È quanto il Papa ha detto al Diyanet, il Ministero degli affari religiosi turco, che già Benedetto XVI aveva visitato nel 2006 e dove ha incontrato numerosi leader musulmani. A loro ha ribadito che «veramente tragica è la situazione in Medio Oriente, specialmente in Iraq e Siria. Tutti soffrono le conseguenze dei conflitti e la situazione umanitaria è angosciante. Penso a tanti bambini, alle sofferenze di tante mamme, agli anziani, agli sfollati e ai rifugiati, alle violenze di ogni tipo». «Soprattutto a causa di un gruppo estremista e fondamentalista, intere comunità, specialmente – ma non solo – i cristiani e gli yazidi, hanno patito e tuttora soffrono violenze disumane», che hanno aggredito «anche edifici sacri, monumenti, simboli religiosi e il patrimonio culturale, quasi a voler cancellare ogni traccia, ogni memoria dell’altro».
Nel passaggio più forte del discorso, Francesco ha affermato che «in qualità di capi religiosi, abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani. La vita umana, dono di Dio Creatore, possiede un carattere sacro. Pertanto, la violenza che cerca una giustificazione religiosa merita la più forte condanna, perché l’Onnipotente è Dio della vita e della pace. Da tutti coloro che sostengono di adorarlo, il mondo attende che siano uomini e donne di pace, capaci di vivere come fratelli e sorelle, nonostante le differenze etniche, religiose, culturali o ideologiche».
La denuncia è dunque obbligatoria, anche da parte delle autorità islamiche. Ma non basta. «Alla denuncia occorre far seguire il comune lavoro per trovare adeguate soluzioni». Il dialogo interreligioso non può essere solo teologico ma deve comportare «il comune riconoscimento della sacralità della persona umana», che non può mai essere violata per nessuna ragione. E tradursi in gesti concreti di difesa delle vite umane innocenti, ovunque siano messe in pericolo.

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Turchia, l'eredità di Kemal Ataturk
di Valentina Colombo

"Formulo i voti più sinceri perché la Turchia, ponte naturale tra due Continenti, sia non soltanto un crocevia di cammini, ma anche un luogo di incontro, di dialogo e di convivenza serena tra gli uomini e donne di buona volontà di ogni cultura, etnia e religione.” Queste le parole scritte da Papa Francesco sull’albo d’oro del mausoleo dedicato a Kemal Atatürk ad Ankara. In un’epoca in cui lo spettro del califfato aleggia sul Medio Oriente e sull’Europa, in un paese in cui il governo non ha ancora assunto una posizione netta nella condanna del terrorismo dello Stato islamico e ha profondi legami con i Fratelli musulmani, la decisione di avviare la visita in Turchia rendendo omaggio a colui che nel 1924 ha abolito l’istituzione del califfato è senza dubbio un messaggio chiaro da parte del Pontefice.

Per il fondatore della Repubblica turca e della Turchia moderna, Kemal Ataturk, l’islam rappresentava la causa principale del crollo dell’Impero Ottomano e l’ostacolo principale all’introduzione di innovazioni politico-sociali, civilizzatrici e tecniche. D’altronde l’epoca delle Tanzimat, delle grandi riforme ottomane, aveva assistito all’opposizione da parte dell’elemento religioso conservatore alla modernizzazione. Anche in campo politico Ataturk individuò nell’islam, rappresentato dalle istituzioni del sultanato e del califfato, il motivo principale dell’arretratezza dell’impero rispetto all’Europa.
Ebbene dopo la guerra di liberazione (1919-1922), Ataturk avviò una graduale quanto inesorabile laicizzazione della Turchia: il 29 ottobre 1923 con la proclamazione della repubblica fu abolito il sultanato; il 3 marzo 1924 la grande assemblea nazionale ad Ankara decise di abolire anche il califfato. L’ultimo sultano ‘Abdulmajid venne espulso dal paese. Anche il sistema educativo fu gradualmente laicizzato: il primo atto fu la chiusura delle 479 scuole superiori di teologia islamica (madrase) poiché il sistema scolastico doveva essere “moderno, scientifico e nazionalista”; nell’autunno 1924, all’inizio dell’anno scolastico, l’insegnamento della religione nei ginnasi fu abolito; all’inizio dell’anno scolastico 1929 scomparve anche dalle scuole secondarie; nel 1930 dalle scuole pubbliche nei centri urbani; nel 1938 anche dalle scuole dei villaggi.
Contemporaneamente Atatürk si premurò di eliminare anche l’”islam popolare”: il sufismo, istituzionalizzato, soprattutto nell’ordine dei giannizzeri, nel corso di tutta la storia ottomana aveva svolto un ruolo significativo nella vita religiosa della popolazione. Poiché da questi ambienti era auspicabile un’opposizione alle misure di laicizzazione adottate, nel 1925 le confraternite furono messe al bando e i loro conventi sequestrati.

Nonostante l’art. 2 della Costituzione del 1924 affermasse che “La religione dello Stato turco è l’islam”, nel 1926 il codice civile basato sul diritto sciariatico fu sostituito da un codice ispirato a quello svizzero che vietava ogni forma di poligamia.
Nel 1928, il movimento kemalista si sentì sufficientemente sicuro da potere eliminare dalla costituzione l’islam quale religione di Stato. Ma solo nel 1937 fu introdotto il principio della laicità: “Lo Stato turco è repubblicano, nazionalista, popolare, statalista, laico e rivoluzionario”.
Nel frattempo erano stati eliminati anche i segni esteriori della islamicità: nel 1925 il calendario islamico lasciò il posto al calendario europeo; nel 1928 fu introdotto l’alfabeto latino modificato al posto di quello arabo, legato alla religione islamica; dal 1932 l’appello alla preghiera venne consentito solo in turco anziché in arabo; un altro adattamento alla cultura cristiano-occidentale fu l’introduzione nel 1935 della domenica come giorno di riposo; nello stesso anno fu vietato di indossare in pubblico simboli religiosi e ai turchi fu chiesto di cambiare il cognome secondo il modello europeo.
La laicità di Stato voluta e gradualmente introdotta da Mustafa Kemal è senza dubbio agli antipodi dell’islamizzazione della Turchia di cui Erdogan è il protagonista principale. Durante l’incontro con Papa Francesco il presidente turco ha ribadito: “I pregiudizi si sviluppano fra i mondi islamico e cristiano. L’islamofobia progredisce in modo serio e rapido. Dobbiamo operare insieme contro le minacce che pesano sul nostro pianeta: l’intolleranza, il razzismo e le discriminazioni”. Se Atatürk per Erdogan è senza dubbio un islamofobo, senza Atatürk la Turchia moderna non sarebbe esistita. Non resta che da domandarsi se tra i due estremi della laicità a tutti i costi e dell’islamizzazione globalizzante e totalizzante non possa esistere una via di mezzo, ma soprattutto se non sarà proprio la laicizzazione voluta dal “padre dei turchi”, laicizzazione che fa parte del Dna della popolazione, a salvare la Turchia dall’estremismo islamico che, nella sua forma più crudele, la circonda e che, nella sua forma più “moderata”, la governa.