giovedì 27 novembre 2014

Il Papa e gli animali.



«Il Paradiso è aperto a tutte le creature» Le parole sull’aldilà: non luogo, stato dell’anima

(Gian Guido Vecchi) La Chiesa in cammino nella storia «verso il Regno dei Cieli», il Paradiso che «più di un luogo» è «uno stato dell’anima in cui le nostre attese più profonde saranno compiute in modo sovrabbondante». Francesco, nella sua catechesi in piazza San Pietro, parla della «Gerusalemme celeste» e sorride: «È bello pensare al Cielo. Tutti noi ci troveremo lassù, tutti».
E poi amplia lo sguardo, con una frase che allarga la speranza della salvezza e beatitudine escatologica agli animali come all’intero creato: «La Sacra Scrittura ci insegna che il compimento di questo disegno meraviglioso non può non interessare anche tutto ciò che ci circonda e che è uscito dal pensiero e dal cuore di Dio», spiega. Prima di citare il capitolo 8 della Lettera ai Romani: «L’apostolo Paolo lo afferma in modo esplicito, quando dice che “anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio”».
Pure altri testi, dalla seconda lettera di Pietro all’Apocalisse, mostrano «l’immagine del “cielo nuovo” e della “Terra nuova”», ricorda Francesco, «nel senso che tutto l’universo sarà rinnovato e verrà liberato una volta per sempre da ogni traccia di male e dalla stessa morte». Come «compimento di una trasformazione che in realtà è già in atto a partire dalla morte e risurrezione di Cristo» ci si prospetta, insomma, una «nuova creazione»: «Non dunque un annientamento del cosmo e di tutto ciò che ci circonda, ma un portare ogni cosa alla sua pienezza di essere, di verità, di bellezza».
Francesco sta preparando una enciclica «ecologica» sulla custodia del Creato. Di certo il tema è ricorrente e talvolta controverso, nella Chiesa. Si racconta che Paolo VI avesse consolato un bambino in lacrime per la morte del suo cane dicendogli: «Un giorno rivedremo i nostri animali nell’eternità di Cristo».
Del resto la parola «animale» viene da «anima», come principio vitale, e anche Giovanni Paolo II disse in un’udienza del 1990: «Alcuni testi sacri ammettono che anche gli animali hanno un alito o soffio vitale e che l’hanno ricevuto da Dio».
Una prospettiva che Benedetto XVI — del quale peraltro è noto l’amore per i gatti — sembrò sbarrare durante un’omelia di sei anni fa: «Nelle altre creature, che non sono chiamate all’eternità, la morte significa soltanto la fine dell’esistenza sulla Terra...».
Il tema, spiega un grande teologo come l’arcivescovo Bruno Forte, ha a che fare con la parola greca anakephalaiosis , ovvero «la “ricapitolazione” di tutte le cose in Cristo e quindi nella gloria di Dio, tutto in tutti».
Non a caso Francesco ha citato San Paolo: «Secondo la teologia paolina, come si legge nella lettera ai Colossesi, tutto è stato creato per mezzo di Cristo e in vista di Lui, e quindi tutto parteciperà alla gloria finale di Dio». Certo, «nella forma e nella misura data ad ogni creatura», aggiunge Forte: «Una cosa è la creatura consapevole e libera, un’altra quella inanimata. Ma l’idea è che l’universo intero non viene annientato».
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