martedì 25 novembre 2014

Papa Francesco al Consiglio d'Europa: "Globalizzare in modo originale la multipolarità....

Papa Francesco al Consiglio d'Europa: "Globalizzare in modo originale la multipolarità comporta la sfida di un'armonia costruttiva, libera da egemonie che, sebbene pragmaticamente sembrerebbero facilitare il cammino, finiscono per distruggere l'originalità culturale e religiosa dei popoli"

[Text: Italiano, Français, English, Español, Português]
(Testo italiano con Note)

Signor Segretario Generale, Signora Presidente,
Eccellenze, Signore e Signori,
sono lieto di poter prendere la parola in questo Consesso che vede radunata una rappresentanza significativa dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, i Rappresentanti dei Paesi Membri, i Giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, come pure le diverse Istituzioni che compongono il Consiglio d'Europa. Di fatto quasi tutta l'Europa è presente in quest'aula, con i suoi popoli, le sue lingue, le sue espressioni culturali e religiose, che costituiscono la ricchezza di questo continente. Sono particolarmente grato al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Signor Thorbjørn Jagland, per il cortese invito e per le gentili parole di benvenuto che mi ha rivolto. Saluto poi la Signora Anne Brasseur, Presidente dell'Assemblea Parlamentare. Tutti vi ringrazio di cuore per l'impegno che profondete e il contributo che offrite alla pace in Europa, attraverso la promozione della democrazia, dei diritti umani e dello stato di diritto.

Nell'intenzione dei suoi Padri fondatori, il Consiglio d'Europa, che quest'anno celebra il suo 65° anniversario, rispondeva ad una tensione ideale all'unità che ha, a più riprese, animato la vita del continente fin dall'antichità. Tuttavia, nel corso dei secoli hanno più volte prevalso le spinte particolariste, connotate dal susseguirsi di diverse volontà egemoniche. Basti pensare che dieci anni prima di quel 5 maggio 1949, in cui fu firmato a Londra il Trattato che istituiva il Consiglio d'Europa, iniziava il più cruento e lacerante conflitto che queste terre ricordino, le cui divisioni sono continuate per lunghi anni a seguire, allorché la cosiddetta cortina di ferro tagliava in due il continente dal Mar Baltico al Golfo di Trieste. Il progetto dei Padri fondatori era quello di ricostruire l'Europa in uno spirito di mutuo servizio, che ancora oggi, in un mondo più incline a rivendicare che a servire, deve costituire la chiave di volta della missione del Consiglio d'Europa, a favore della pace, della libertà e della dignità umana.
D'altra parte, la via privilegiata per la pace - per evitare che quanto accaduto nelle due guerre mondiali del secolo scorso si ripeta - è riconoscere nell'altro non un nemico da combattere, ma un fratello da accogliere. Si tratta di un processo continuo, che non può mai essere dato per raggiunto pienamente. È proprio quanto intuirono i Padri fondatori, che compresero che la pace era un bene da conquistare continuamente e che esigeva assoluta vigilanza. Erano consapevoli che le guerre si alimentano nell'intento di prendere possesso degli spazi, cristallizzare i processi che vanno avanti e cercare di fermarli; viceversa cercavano la pace che si può realizzare soltanto nell'atteggiamento costante di iniziare processi e portarli avanti.
In tal modo affermavano la volontà di camminare maturando nel tempo, perché è proprio il tempo che governa gli spazi, li illumina e li trasforma in una catena di continua crescita, senza vie di ritorno. Perciò costruire la pace richiede di privilegiare le azioni che generano dinamismi nuovi nella società e coinvolgono altre persone e altri gruppi che li svilupperanno, fino a che portino frutto in importanti avvenimenti storici(1) .
Per questa ragione diedero vita a questo Organismo stabile. Il beato Paolo VI, alcuni anni dopo, ebbe a ricordare che «le istituzioni stesse, che nell'ordine giuridico e nel concerto internazionale hanno la funzione ed il merito di proclamare e di conservare la pace, raggiungono il loro provvido scopo se esse sono continuamente operanti, se sanno in ogni momento generare la pace, fare la pace»(2). Occorre un costante cammino di umanizzazione, così che «non basta contenere le guerre, sospendere le lotte, (...) non basta una Pace imposta, una Pace utilitaria e provvisoria; bisogna tendere a una Pace amata, libera, fraterna, fondata cioè sulla riconciliazione degli animi»(3) . Vale a dire portare avanti i processi senza ansietà ma certo con convinzioni chiare e con tenacia.
Per conquistare il bene della pace occorre anzitutto educare ad essa, allontanando una cultura del conflitto che mira alla paura dell'altro, all'emarginazione di chi pensa o vive in maniera differente. È vero che il conflitto non può essere ignorato o dissimulato, dev'essere assunto. Ma se rimaniamo bloccati in esso perdiamo prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa rimane frammentata. Quando ci fermiamo nella situazione conflittuale perdiamo il senso dell'unità profonda della realtà(4), fermiamo la storia e cadiamo nei logoramenti interni di contraddizioni sterili.
Purtroppo la pace è ancora troppo spesso ferita. Lo è in tante parti del mondo, dove imperversano conflitti di vario genere. Lo è anche qui in Europa, dove non cessano tensioni. Quanto dolore e quanti morti ancora in questo continente, che anela alla pace, eppure ricade facilmente nelle tentazioni d'un tempo! È perciò importante e incoraggiante l'opera del Consiglio d'Europa nella ricerca di una soluzione politica alle crisi in atto.
La pace è però provata da altre forme di conflitto, quali il terrorismo religioso e internazionale, che nutre profondo disprezzo per la vita umana e miete in modo indiscriminato vittime innocenti. Tale fenomeno è purtroppo foraggiato da un traffico di armi molto spesso indisturbato. La Chiesa considera che «la corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri»(5) . La pace è violata anche dal traffico degli esseri umani, che è la nuova schiavitù del nostro tempo e che trasforma le persone in merce di scambio, privando le vittime di ogni dignità. Non di rado notiamo poi come tali fenomeni siano legati tra loro. Il Consiglio d'Europa, attraverso i suoi Comitati e i Gruppi di Esperti, svolge un ruolo importante e significativo nel combattere tali forme di disumanità.
Tuttavia, la pace non è la semplice assenza di guerre, di conflitti e di tensioni. Nella visione cristiana essa è, nello stesso tempo, dono di Dio e frutto dell'azione libera e razionale dell'uomo che intende perseguire il bene comune nella verità e nell'amore. «Questo ordine razionale e morale poggia precisamente sulla decisione della coscienza degli esseri umani di un'armonia nei loro rapporti reciproci, nel rispetto della giustizia per tutti»(6) .
Come dunque perseguire l'ambizioso obiettivo della pace?
La strada scelta dal Consiglio d'Europa è anzitutto quella della promozione dei diritti umani, cui si lega lo sviluppo della democrazia e dello stato di diritto. È un lavoro particolarmente prezioso, con notevoli implicazioni etiche e sociali, poiché da un retto intendimento di tali termini e da una riflessione costante su di essi dipende lo sviluppo delle nostre società, la loro pacifica convivenza e il loro futuro. Tale studio è uno dei grandi contributi che l'Europa ha offerto e ancora offre al mondo intero.
In questa sede sento perciò il dovere di richiamare l'importanza dell'apporto e della responsabilità europei allo sviluppo culturale dell'umanità. Lo vorrei fare partendo da un'immagine che traggo da un poeta italiano del Novecento, Clemente Rebora, che in una delle sue poesie descrive un pioppo, con i suoi rami protesi al cielo e mossi dal vento, il suo tronco solido e fermo e le profonde radici che s'inabissano sulla terra(7) . In un certo senso possiamo pensare all'Europa alla luce di questa immagine.
Nel corso della sua storia, essa si è sempre protesa verso l'alto, verso mete nuove e ambiziose, animata da un insaziabile desiderio di conoscenza, di sviluppo, di progresso, di pace e di unità. Ma l'innalzarsi del pensiero, della cultura, delle scoperte scientifiche è possibile solo per la solidità del tronco e la profondità delle radici che lo alimentano. Se si perdono le radici, il tronco lentamente si svuota e muore e i rami - un tempo rigogliosi e dritti - si piegano verso terra e cadono. Qui sta forse uno dei paradossi più incomprensibili a una mentalità scientifica isolata: per camminare verso il futuro serve il passato, necessitano radici profonde, e serve anche il coraggio di non nascondersi davanti al presente e alle sue sfide. Servono memoria, coraggio, sana e umana utopia.
D'altra parte - osserva Rebora - «il tronco s'inabissa ov'è più vero»(8). Le radici si alimentano della verità, che costituisce il nutrimento, la linfa vitale di qualunque società che voglia essere davvero libera, umana e solidale. D’altra parte, la verità fa appello alla coscienza, che è irriducibile ai condizionamenti, ed è perciò capace di conoscere la propria dignità e di aprirsi all'assoluto, divenendo fonte delle scelte fondamentali guidate dalla ricerca del bene per gli altri e per sé e luogo di una libertà responsabile(9).
Occorre poi tenere presente che senza questa ricerca della verità, ciascuno diventa misura di sé stesso e del proprio agire, aprendo la strada dell'affermazione soggettivistica dei diritti, così che al concetto di diritto umano, che ha di per sé valenza universale, si sostituisce l'idea di diritto individualista. Ciò porta ad essere sostanzialmente incuranti degli altri e a favorire quella globalizzazione dell'indifferenza che nasce dall'egoismo, frutto di una concezione dell'uomo incapace di accogliere la verità e di vivere un'autentica dimensione sociale.
Un tale individualismo rende umanamente poveri e culturalmente sterili, poiché recide di fatto quelle feconde radici su cui si innesta l'albero. Dall'individualismo indifferente nasce il culto dell'opulenza, cui corrisponde la cultura dello scarto nella quale siamo immersi. Abbiamo di fatto troppe cose, che spesso non servono, ma non siamo più in grado di costruire autentici rapporti umani, improntati sulla verità e sul rispetto reciproco. E così oggi abbiamo davanti agli occhi l'immagine di un'Europa ferita, per le tante prove del passato, ma anche per le crisi del presente, che non sembra più capace di fronteggiare con la vitalità e l'energia di un tempo. Un'Europa un po' stanca e pessimista, che si sente cinta d'assedio dalle novità che provengono dagli altri continenti.
All'Europa possiamo domandare: dov'è il tuo vigore? Dov'è quella tensione ideale che ha animato e reso grande la tua storia? Dov'è il tuo spirito di intraprendenza curiosa? Dov'è la tua sete di verità, che hai finora comunicato al mondo con passione?
Dalla risposta a queste domande dipenderà il futuro del continente. D'altra parte - per tornare all'immagine di Rebora - un tronco senza radici può continuare ad avere un'apparenza vitale, ma al suo interno si svuota e muore. L'Europa deve riflettere se il suo immenso patrimonio umano, artistico, tecnico, sociale, politico, economico e religioso è un semplice retaggio museale del passato, oppure se è ancora capace di ispirare la cultura e di dischiudere i suoi tesori all'umanità intera. Nella risposta a tale interrogativo, il Consiglio d'Europa con le sue istituzioni ha un ruolo di primaria importanza.
Penso particolarmente al ruolo della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che costituisce in qualche modo la "coscienza" dell'Europa nel rispetto dei diritti umani. Il mio auspicio è che tale coscienza maturi sempre più, non per un mero consenso tra le parti, ma come frutto della tensione verso quelle radici profonde, che costituiscono le fondamenta sulle quali hanno scelto di edificare i Padri fondatori dell'Europa contemporanea.
Insieme alle radici - che occorre cercare, trovare e mantenere vive con l'esercizio quotidiano della memoria, poiché costituiscono il patrimonio genetico dell'Europa- ci sono le sfide attuali del continente che ci obbligano a una creatività continua, perché queste radici siano feconde nell'oggi e si proiettino verso utopie del futuro. Mi permetto di menzionarne solo due: la sfida della multipolarità e la sfida della trasversalità.
La storia dell'Europa può portarci a concepirla ingenuamente come una bipolarità, o al più una tripolarità (pensiamo all'antica concezione: Roma - Bisanzio - Mosca), e dentro questo schema, frutto di riduzionismi geopolitici egemonici, muoverci nell'interpretazione del presente e nella proiezione verso l'utopia del futuro.
Oggi le cose non stanno così e possiamo legittimamente parlare di un'Europa multipolare. Le tensioni – tanto quelle che costruiscono quanto quelle che disgregano - si verificano tra molteplici poli culturali, religiosi e politici. L'Europa oggi affronta la sfida di "globalizzare" in modo originale questa multipolarità. Non necessariamente le culture si identificano con i Paesi: alcuni di questi hanno diverse culture e alcune culture si esprimono in diversi Paesi. Lo stesso accade con le espressioni politiche, religiose e associative.
Globalizzare in modo originale, sottolineo in modo originale, la multipolarità comporta la sfida di un'armonia costruttiva, libera da egemonie che, sebbene pragmaticamente sembrerebbero facilitare il cammino, finiscono per distruggere l'originalità culturale e religiosa dei popoli.
Parlare della multipolarità europea significa parlare di popoli che nascono, crescono e si proiettano verso il futuro. Il compito di globalizzare la multipolarità dell'Europa non lo possiamo immaginare con la figura della sfera - in cui tutto è uguale e ordinato, ma che risulta riduttiva poiché ogni punto è equidistante dal centro -, ma piuttosto con quella del poliedro, dove l'unità armonica del tutto conserva la particolarità di ciascuna delle parti. Oggi l'Europa è multipolare nelle sue relazioni e tensioni; non si può né pensare né costruire l'Europa senza assumere a fondo questa realtà multipolare.
L'altra sfida che vorrei menzionare è la trasversalità. Parto da un'esperienza personale: negli incontri con i politici di diversi Paesi d'Europa ho potuto notare che i politici giovani affrontano la realtà da una prospettiva diversa rispetto ai loro colleghi più adulti. Forse dicono cose apparentemente simili ma l’approccio è diverso. La musica è diversa. Questo si verifica nei giovani politici dei diversi partiti. Tale dato empirico indica una realtà dell'Europa odierna da cui non si può prescindere nel cammino del consolidamento continentale e della sua proiezione futura: tenere conto di questa trasversalità che si riscontra in tutti i campi. Ciò non si può fare senza ricorrere al dialogo, anche inter-generazionale. Se volessimo definire oggi il continente, dovremmo parlare di un'Europa dialogante che fa sì che la trasversalità di opinioni e di riflessioni sia al servizio dei popoli armonicamente uniti.
Assumere questo cammino di comunicazione trasversale comporta non solo empatia generazionale bensì metodologia storica di crescita. Nel mondo politico attuale dell'Europa risulta sterile il dialogo solamente interno agli organismi (politici, religiosi, culturali) della propria appartenenza. La storia oggi chiede la capacità di uscire per l’incontro dalle strutture che "contengono" la propria identità al fine di renderla più forte e più feconda nel confronto fraterno della trasversalità. Un'Europa che dialoghi solamente entro i gruppi chiusi di appartenenza rimane a metà strada; c'è bisogno dello spirito giovanile che accetti la sfida della trasversalità.
In tale prospettiva accolgo con favore la volontà del Consiglio d'Europa di investire nel dialogo inter-culturale, compresa la sua dimensione religiosa, attraverso gli Incontri sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale. Si tratta di un'occasione proficua per uno scambio aperto, rispettoso e arricchente tra persone e gruppi di diversa origine, tradizione etnica, linguistica e religiosa, in uno spirito di comprensione e rispetto reciproco.
Tali incontri sembrano particolarmente importanti nell'attuale ambiente multiculturale, multipolare, alla ricerca di un proprio volto per coniugare con sapienza l'identità europea formatasi nei secoli con le istanze che giungono dagli altri popoli che ora si affacciano sul continente.
In tale logica va compreso l'apporto che il cristianesimo può fornire oggi allo sviluppo culturale e sociale europeo nell'ambito di una corretta relazione fra religione e società. Nella visione cristiana ragione e fede, religione e società, sono chiamate a illuminarsi reciprocamente, sostenendosi a vicenda e, se necessario, purificandosi scambievolmente dagli estremismi ideologici in cui possono cadere. L'intera società europea non può che trarre giovamento da un nesso ravvivato tra i due ambiti, sia per far fronte a un fondamentalismo religioso che è soprattutto nemico di Dio, sia per ovviare a una ragione "ridotta", che non rende onore all'uomo.
Sono assai numerosi e attuali i temi in cui sono convinto vi possa essere reciproco arricchimento, nei quali la Chiesa cattolica - particolarmente attraverso il Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE) - può collaborare con il Consiglio d'Europa e dare un contributo fondamentale. Innanzitutto vi è, alla luce di quanto ho detto poc’anzi, l'ambito di una riflessione etica sui diritti umani, sui quali la vostra Organizzazione è spesso chiamata a riflettere. Penso, in modo particolare, ai temi legati alla tutela della vita umana, questioni delicate che necessitano di essere sottoposte a un esame attento, che tenga conto della verità di tutto l'essere umano, senza limitarsi a specifici ambiti medici, scientifici o giuridici.
Parimenti sono numerose le sfide del mondo contemporaneo che necessitano di studio e di un impegno comune, a partire dall'accoglienza dei migranti, i quali hanno bisogno anzitutto dell'essenziale per vivere, ma principalmente che venga riconosciuta la loro dignità di persone. Vi è poi tutto il grave problema del lavoro, soprattutto per gli alti livelli di disoccupazione giovanile che si riscontrano in molti Paesi - una vera ipoteca per il futuro - ma anche per la questione della dignità del lavoro.
Auspico vivamente che si instauri una nuova collaborazione sociale ed economica, libera da condizionamenti ideologici, che sappia far fronte al mondo globalizzato, mantenendo vivo quel senso di solidarietà e carità reciproca che tanto ha segnato il volto dell'Europa grazie all'opera generosa di centinaia di uomini e donne - alcuni dei quali la Chiesa cattolica considera santi - i quali, nel corso dei secoli, si sono adoperati per sviluppare il continente, tanto attraverso l'attività imprenditoriale che con opere educative, assistenziali e di promozione umana. Soprattutto queste ultime rappresentano un importante punto di riferimento per i numerosi poveri che vivono in Europa. Quanti ce ne sono nelle nostre strade! Essi chiedono non solo il pane per sostenersi, che è il più elementare dei diritti, ma anche di riscoprire il valore della propria vita, che la povertà tende a far dimenticare, e di ritrovare la dignità conferita dal lavoro.
Infine, tra i temi che chiedono la nostra riflessione e la nostra collaborazione c'è la difesa dell'ambiente, di questa nostra amata Terra che è la grande risorsa che Dio ci ha dato e che è a nostra disposizione non per essere deturpata, sfruttata e avvilita, ma perché, godendo della sua immensa bellezza, possiamo vivere con dignità.
Signor Segretario Generale, Signora Presidente, Eccellenze, Signore e Signori,
Il beato Paolo VI definì la Chiesa «esperta in umanità»(10). Nel mondo, a imitazione di Cristo, essa, malgrado i peccati dei suoi figli, non cerca altro che servire e rendere testimonianza alla verità(11). Null'altro fuorché questo spirito ci guida nel sostenere il cammino dell'umanità.
Con tale disposizione d'animo la Santa Sede intende continuare la propria collaborazione con il Consiglio d'Europa, che riveste oggi un ruolo fondamentale nel forgiare la mentalità delle future generazioni di europei. Si tratta di compiere assieme una riflessione a tutto campo, affinché si instauri una sorta di "nuova agorà", nella quale ogni istanza civile e religiosa possa liberamente confrontarsi con le altre, pur nella separazione degli ambienti e nella diversità delle posizioni, animata esclusivamente dal desiderio di verità e di edificare il bene comune. La cultura, infatti, nasce sempre dall'incontro reciproco, volto a stimolare la ricchezza intellettuale e la creatività di quanti ne prendono parte; e questo, oltre ad essere l'attuazione del bene, questo è bellezza. Il mio augurio è che l'Europa, riscoprendo il suo patrimonio storico e la profondità delle sue radici, assumendo la sua viva multipolarità e il fenomeno della trasversalità dialogante, ritrovi quella giovinezza dello spirito che l'ha resa feconda e grande.
Grazie!
Note
(1)  Cfr Evangelii gaudium, 223
(2)  PAOLO VI, Messaggio per l'VIII Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 1974
(3)  Ibid.
(4)  Cfr Evangelii gaudium, 226.
(5)  Catechismo della Chiesa Cattolica, 2329 e Gaudium et spes, 81.
(6)  GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XV Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 1981, 4.
(7)  «Vibra nel vento con tutte le sue foglie / il pioppo severo; / spasima l'aria in tutte le sue doglie / nell'ansia del pensiero: / dal tronco in rami per fronde si esprime/ tutte al ciel tese con raccolte cime: / fermo rimane il tronco del mistero, / e il tronco s'inabissa ov'è più vero»: Il pioppo in: Canti dell'Infermità, ed. Vanni Scheiwiller, Milano 1957, 32.
(8)  Ibid.
(9)  Cfr GIOVANNI PAOLO II, Discorso all'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, Strasburgo, 8 ottobre 1988, 4.
(10)  Lett. enc. Populorum progressio, 13.
(11)  Cfr ibid.
Francese
Monsieur le Secrétaire Général,
Madame la Présidente,
Excellences, Mesdames et Messieurs,
Je suis heureux de pouvoir prendre la parole en cette Assemblée qui voit réunie une représentation significative  de l’Assemblée Parlementaire du Conseil de l’Europe, les Représentants des pays membres, les Juges de la Cour Européenne des Droits de l’Homme, et aussi les diverses Institutions qui composent le Conseil de l’Europe. De fait, presque toute l’Europe est présente en cette enceinte, avec ses peuples, ses langues, ses expressions culturelles et religieuses, qui constituent la richesse de ce continent. Je suis particulièrement reconnaissant au Secrétaire général du Conseil de l’Europe, Monsieur Thorbjørn Jagland, pour la courtoise invitation et pour les aimables paroles de bienvenue qu’il m’a adressées. Je salue Madame Anne Brasseur, Présidente de l’Assemblée parlementaire, ainsi que les représentants des diverses institutions qui composent le Conseil de l’Europe. Je vous remercie tous de tout cœur pour l’engagement que vous prodiguez et pour la contribution que vous offrez à la paix en Europe, par la promotion de la démocratie, des droits humains et de l’État de droit.
Dans l’intention de ses Pères fondateurs, le Conseil de l’Europe, qui célèbre cette année son 65ème anniversaire, répondait à une tension vers un idéal d’unité qui, à plusieurs reprises, a animé la vie du continent depuis l’antiquité. Cependant, au cours des siècles, des poussées particularistes ont souvent prévalu, caractérisées par la succession de diverses volontés hégémoniques. Qu’il suffise de penser que dix ans avant ce 5 mai 1949, où a été signé à Londres le Traité qui a institué le Conseil de l’Europe, commençait le plus cruel et le plus déchirant conflit dont ces terres se souviennent et dont les divisions se sont poursuivies pendant de longues années, alors que ce qu’on a appelé le rideau de fer coupait en deux le continent de la Mer Baltique au Golfe de Trieste. Le projet des Pères fondateurs était de reconstruire l’Europe dans un esprit de service mutuel, qui aujourd’hui encore, dans un monde plus enclin à revendiquer qu’à servir, doit constituer la clef de voûte de la mission du Conseil de l’Europe, en faveur de la paix, de la liberté et de la dignité humaine.
D’autre part, la voie privilégiée vers la paix - pour éviter que ce qui est arrivé durant les deux guerres mondiales du siècle dernier ne se répète -, c’est de reconnaître dans l’autre non un ennemi à combattre, mais un frère à accueillir. Il s’agit d’un processus continu, qu’on ne peut jamais considérer pleinement achevé. C’est justement l’intuition qu’ont eue les Pères fondateurs, qui ont compris que la paix était un bien à conquérir continuellement, et qu’elle exigeait une vigilance absolue. Ils étaient conscients que les guerres s’alimentent dans le but de prendre possession des espaces, de figer les processus et de chercher à les arrêter ; par contre, ils recherchaient la paix qui peut s’obtenir seulement par l’attitude constante d’initier des processus et de les poursuivre.
De cette manière, ils affirmaient la volonté de cheminer en murissant dans le temps, parce que c’est justement le temps qui gouverne les espaces, les éclaire et les transforme en une chaîne continue de croissance, sans voies de retour. C’est pourquoi, construire la paix demande de privilégier les actions qui génèrent de nouveaux dynamismes dans la société et impliquent d’autres personnes et d’autres groupes qui les développeront, jusqu’à ce qu’ils portent du fruit dans des événements historiques importants  .
Pour cela, ils ont créé cet Organisme stable. Le bienheureux Paul VI, quelques années après, eut à rappeler que « les institutions mêmes qui, sur le plan juridique et dans le concert des nations, ont pour rôle - et ont le mérite - de proclamer et de conserver la paix, n'atteignent le but prévu que si elles sont continuellement à l'œuvre, si elles savent à chaque instant engendrer la paix, faire la paix » . Un chemin constant d’humanisation est nécessaire, de sorte qu’« il ne suffit pas de contenir les guerres, de suspendre les luttes, (…) une paix imposée ne suffit pas, non plus qu'une paix utilitaire et provisoire; il faut tendre vers une paix aimée, libre, fraternelle, et donc fondée sur la réconciliation des esprits » . C’est-à-dire poursuivre les processus sans anxiété mais certainement avec des convictions claires et avec ténacité.
Pour conquérir le bien de la paix, il faut avant tout y éduquer, en éloignant une culture du conflit qui vise à la peur de l’autre, à la marginalisation de celui qui pense ou vit de manière différente. Il est vrai que le conflit ne peut être ignoré ou dissimulé, il doit être assumé. Mais si nous y restons bloqués, nous perdons la perspective, les horizons se limitent et la réalité elle-même demeure fragmentée.  Quand nous nous arrêtons à la situation conflictuelle, nous perdons le sens de l’unité profonde de la réalité , nous arrêtons l’histoire et nous tombons dans les usures internes des contradictions stériles.
Malheureusement, la paix est encore trop souvent blessée. Elle l’est dans de nombreuses parties du monde, où font rage des conflits de diverses sortes. Elle l’est aussi ici en Europe, où des tensions ne cessent pas. Que de douleur et combien de morts encore sur ce continent, qui aspire à la paix, mais pourtant retombe facilement dans les tentations d’autrefois ! Pour cela, l’œuvre du Conseil de l’Europe dans la recherche d’une solution politique aux crises en cours est importante et encourageante.
Mais la paix est aussi mise à l’épreuve par d’autres formes de conflit, tels que le terrorisme religieux et international, qui nourrit un profond mépris pour la vie humaine et fauche sans discernement des victimes innocentes. Ce phénomène est malheureusement très souvent alimenté par un trafic d’armes en toute tranquillité. L’Église considère que « la course aux armements est une plaie extrêmement grave de l’humanité et lèse les pauvres d’une manière intolérable » . La paix est violée aussi par le trafic des êtres humains, qui est le nouvel esclavage de notre temps et qui transforme les personnes en marchandises d’échange, privant les victimes de toute dignité. Assez souvent, nous notons également comment ces phénomènes sont liés entre eux.  Le Conseil de l’Europe, à travers ses Commissions et ses Groupes d’Experts, exerce un rôle important et significatif dans le combat contre ces formes d’inhumanité.
Cependant, la paix n’est pas la simple absence de guerres, de conflits et de tensions. Dans la vision chrétienne, elle est, en même temps, don de Dieu et fruit de l’action libre et raisonnable de l’homme qui entend poursuivre le bien commun dans la vérité et dans l’amour. « Cet ordre rationnel et moral s'appuie précisément sur la décision de la conscience des êtres humains à la recherche de l'harmonie dans leurs rapports réciproques, dans le respect de la justice pour tous» .
Comment donc poursuivre l’objectif ambitieux de la paix ?
Le chemin choisi par le Conseil de l’Europe est avant tout celui de la promotion des droits humains, auxquels est lié le développement de la démocratie et de l’État de droit. C’est un travail particulièrement précieux, avec d’importantes implications éthiques et sociales, puisque d’une juste conception de ces termes et d’une réflexion constante sur eux dépendent le développement de nos sociétés, leur cohabitation pacifique et leur avenir. Cette recherche est l’une des plus grandes contributions que l’Europe a offerte et offre encore au  monde entier.
C’est pourquoi, en cette enceinte, je ressens le devoir de rappeler l’importance de l’apport et de la responsabilité de l’Europe dans le développement culturel de l’humanité. Je voudrais le faire en partant d’une image que j’emprunte à un poète italien du XXème siècle, Clemente Rebora, qui, dans l’une de ses poésies, décrit un peuplier, avec ses branches élevées vers le ciel et agitées par le vent, son tronc solide et ferme, ainsi que ses racines profondes qui s’enfoncent dans la terre . En un certain sens, nous pouvons penser à l’Europe à la lumière de cette image.
Au cours de son histoire, elle a toujours tendu vers le haut, vers des objectifs nouveaux et ambitieux, animée par un désir insatiable de connaissance, de développement, de progrès, de paix et d’unité. Mais l’élévation de la pensée, de la culture, des découvertes scientifiques est possible seulement à cause de la solidité du tronc et de la profondeur des racines qui l’alimentent. Si les racines se perdent, lentement le tronc se vide et meurt et les branches – autrefois vigoureuses et droites – se plient vers la terre et tombent. Ici, se trouve peut-être l’un des paradoxes les plus incompréhensibles pour une mentalité scientifique qui s’isole : pour marcher vers l’avenir, il faut le passé, de profondes racines sont nécessaires et il faut aussi le courage de ne pas se cacher face au présent et à ses défis.  Il faut de la mémoire, du courage, une utopie saine et humaine.
D’autre part – fait observer Rebora – « le tronc s’enfonce là où il y a davantage de vrai » . Les racines s’aliment de la vérité, qui constitue la nourriture, la sève vitale de n’importe quelle société qui désire être vraiment libre, humaine et solidaire.  En outre, la vérité fait appel à la conscience, qui est irréductible aux conditionnements, et pour cela est capable de connaître sa propre dignité et de s’ouvrir à l’absolu, en devenant source des choix fondamentaux guidés par la recherche du bien pour les autres et pour soi et lieu d’une liberté responsable .
Il faut en suite garder bien présent à l’esprit que sans cette recherche de la vérité, chacun devient la mesure de soi-même et de son propre agir, ouvrant la voie à l’affirmation subjective des droits, de sorte qu’à la conception de droit humain, qui a en soi une portée universelle, se substitue l’idée de droit individualiste. Cela conduit à être foncièrement insouciant des autres et à favoriser la globalisation de l’indifférence qui naît de l’égoïsme, fruit d’une conception de l’homme incapable d’accueillir la vérité et de vivre une authentique dimension sociale.
 Un tel individualisme rend humainement pauvre et culturellement stérile, puisqu’il rompt de fait les racines fécondes sur lesquelles se greffe l’arbre. De l’individualisme indifférent naît le culte de l’opulence, auquel correspond la culture de déchet dans laquelle nous sommes immergés. Nous avons, de fait, trop de choses, qui souvent ne servent pas, mais nous ne sommes plus en mesure de construire d’authentiques relations humaines, empreintes de vérité et de respect mutuel. Ainsi, aujourd’hui nous avons devant les yeux l’image d’une Europe blessée, à cause des nombreuses épreuves du passé, mais aussi à cause des crises actuelles, qu’elle ne semble plus capable d’affronter avec la vitalité et l’énergie d’autrefois. Une Europe un peu fatiguée et pessimiste, qui se sent assiégée par les nouveautés provenant des autres continents.
À l’Europe, nous pouvons demander : où est ta vigueur ? Où est cette tension vers un idéal qui a animé ton histoire  et l’a rendue grande? Où est ton esprit d’entreprise et de curiosité ? Où est ta soif de vérité, que jusqu’à présent tu as communiquée au monde avec passion ?
De la réponse à ces questions, dépendra l’avenir du continent. D’autre part – pour revenir à l’image de Rebora – un tronc sans racines peut continuer d’avoir une apparence de vie, mais à l’intérieur il se vide et meurt. L’Europe doit réfléchir pour savoir si son immense patrimoine humain, artistique, technique, social, politique, économique et religieux est un simple héritage de musée du passé, ou bien si elle est encore capable d’inspirer la culture et d’ouvrir ses trésors à l’humanité entière. Dans la réponse à cette interrogation, le Conseil de l’Europe avec ses institutions a un rôle de première importance.
Je pense particulièrement au rôle de la Cour Européenne des Droits de l’Homme, qui constitue en quelque sorte la ‘‘conscience’’ de l’Europe pour le respect des droits humains. Je souhaite que cette conscience murisse toujours plus, non par  un simple consensus entre les parties, mais comme fruit de la tension vers ces racines profondes, qui constituent les fondements sur lesquels les Pères fondateurs de l’Europe contemporaine ont choisi de construire.
Avec les racines – qu’il faut chercher, trouver et maintenir vivantes par l’exercice quotidien de la mémoire, puisqu’elles constituent le patrimoine génétique de l’Europe – il y a les défis actuels du continent qui nous obligent à une créativité continue, pour que ces racines soient fécondes aujourd’hui et se projettent vers des utopies de l’avenir. Je me permets d’en mentionner seulement deux : le défi de la multipolarité et le défi de la transversalité.
L’histoire de l’Europe peut nous amener à concevoir celle-ci naïvement comme une bipolarité, ou tout au plus comme une tripolarité (pensons à l’antique conception : Rome – Byzance – Moscou), et à nous mouvoir à l’intérieur de ce schéma, fruit de réductionnismes géopolitiques hégémoniques, dans l’interprétation du présent et dans la projection vers l’utopie de l’avenir.
Aujourd’hui, les choses ne se présentent pas ainsi et nous pouvons légitimement parler d’une Europe multipolaire. Les tensions – aussi bien celles qui construisent que celles qui détruisent – se produisent entre de multiples pôles culturels, religieux et politiques. L’Europe aujourd’hui affronte le défi de «globaliser» de manière originale cette multipolarité. Les cultures ne s’identifient pas nécessairement avec les pays : certains d’entre eux ont diverses cultures et certaines cultures s’expriment dans divers pays. Il en est de même des expressions politiques, religieuses et associatives.
Globaliser de manière originale la multipolarité comporte le défi d’une harmonie constructive, libérée d’hégémonies qui, bien qu’elles semblent pragmatiquement faciliter le chemin, finissent par détruire l’originalité culturelle et religieuse des peuples.
Parler de la multipolarité européenne signifie parler de peuples qui naissent, croissent et se projettent vers l’avenir. La tâche de globaliser la multipolarité de l’Europe, nous ne pouvons pas l’imaginer avec l’image de la sphère – dans laquelle tout est égal et ordonné, mais qui en définitive est réductrice puisque chaque point est équidistant du centre – mais plutôt avec celle du polyèdre, où l’unité harmonique du tout conserve la particularité de chacune des parties. Aujourd’hui, l’Europe est multipolaire dans ses relations et ses tensions ; on ne peut ni penser ni construire l’Europe sans assumer à fond cette réalité multipolaire.
L’autre défi que je voudrais mentionner est la transversalité. Je pars d’une expérience personnelle : dans les rencontres avec les politiciens de divers pays de l’Europe, j’ai pu remarquer que les politiciens jeunes affrontent la réalité avec une perspective différente par rapport à leurs collègues plus adultes. Ils disent peut-être des choses apparemment similaires, mais l’approche est différente. Cela s’observe chez les jeunes politiciens des divers partis. Cette donnée empirique indique une réalité de l’Europe contemporaine que l’on ne peut ignorer sur le chemin de la consolidation continentale et de sa projection future : tenir compte de cette transversalité qui se retrouve dans tous les domaines. Cela ne peut se faire sans recourir au dialogue, même inter-générationnel. Si nous voulions définir aujourd’hui le continent, nous devrions parler d’une Europe en dialogue, qui fait en sorte que la transversalité d’opinions et de réflexions soit au service des peuples unis dans l’harmonie.
Emprunter ce chemin de communication transversale comporte non seulement une empathie générationnelle mais aussi une méthodologie historique de croissance. Dans le monde politique actuel de l’Europe, le dialogue uniquement interne aux organismes (politiques, religieux, culturels) de sa propre appartenance se révèle stérile. L’histoire aujourd’hui demande pour la rencontre, la capacité de sortir des structures qui « contiennent » sa propre identité afin de la rendre plus forte et plus féconde dans la confrontation fraternelle de la transversalité. Une Europe qui dialogue seulement entre ses groupes d’appartenance fermés reste à mi-chemin ; on a besoin de l’esprit de jeunesse qui accepte le défi de la transversalité.
Dans cette perspective, j’accueille positivement la volonté du Conseil de l’Europe d’investir dans le dialogue inter-culturel, y compris dans sa dimension religieuse, par les Rencontres sur la dimension religieuse du dialogue interculturel. Il s’agit d’une occasion propice pour un échange ouvert, respectueux et enrichissant entre personnes et groupes de diverses origine, tradition ethnique, linguistique et religieuse, dans un esprit de compréhension et de respect mutuel.
Ces rencontres semblent particulièrement importantes dans le contexte actuel multiculturel, multipolaire, à la recherche de son propre visage pour conjuguer avec sagesse l’identité européenne formée à travers les siècles avec les instances provenant des autres peuples qui se manifestent à présent sur le continent.
C’est dans cette logique qu’il faut comprendre l’apport que le christianisme peut fournir aujourd’hui au développement culturel et social européen dans le cadre d’une relation correcte entre religion et société. Dans la vision chrétienne, raison et foi, religion et société sont appelées à s’éclairer réciproquement, en se soutenant mutuellement et, si nécessaire, en se purifiant les unes les autres des extrémismes idéologiques dans lesquelles elles peuvent tomber. La société européenne tout entière ne peut que tirer profit d’un lien renouvelé entre les deux domaines, soit pour faire face à un fondamentalisme religieux qui est surtout ennemi de Dieu, soit pour remédier à uLes thèmes d’actualité, dans lesquels je suis convaincu qu’il peut y avoir un enrichissement mutuel, où l’Église catholique – particulièrement à travers le Conseil des Conférences Épiscopales d’Europe (CCEE) – peut collaborer avec le Conseil de l’Europe et offrir une contribution fondamentale, sont très nombreux. Avant tout, à la lumière de tout ce que je viens de dire, il y a le domaine d’une réflexion éthique sur les droits humains, sur lesquels votre Organisation est souvent appelée à se pencher. Je pense particulièrement aux thèmes liés à la protection de la vie humaine, questions délicates qui ont besoin d’être soumises à un examen attentif, qui tienne compte de la vérité de tout l’être humain, sans se limiter à des domaines spécifiques médicaux, scientifiques ou juridiques.
De même, ils sont nombreux, les défis du monde contemporains qui requièrent une étude et un engagement commun, à commencer par l’accueil des migrants, qui ont besoin d’abord et avant tout de l’essentiel pour vivre, mais principalement que leur dignité de personnes soit reconnue. Il y a ensuite le grave problème du travail, surtout en ce qui concerne les niveaux élevés de chômage des jeunes dans beaucoup de pays – une vraie hypothèque pour l’avenir – mais aussi pour la question Je souhaite vivement que s’instaure une nouvelle collaboration sociale et économique, affranchie de conditionnements idéologiques, qui sache faire face au monde globalisé, en maintenant vivant ce sens de solidarité et de charité réciproques qui a tant caractérisé le visage de l’Europe grâce à l’action généreuse de centaines d’hommes et de femmes – dont certains sont considérés saints par l’Église catholique – qui, au cours des siècles, se sont dépensés pour développer le continent, tant à travers l’activité d’entreprise qu’à travers des œuvres éducatives, d’assistance et de promotion humaine. Surtout ces dernières représentent un point de référence important pour les nombreux pauvres qui vivent en Europe. Combien il y en a dans nos rues ! Ils demandent non seulement le pain pour survivre, ce qui est le plus élémentaire des droits, mais ils demandent aussi à redécouvrir la valeur de leur propre vie, que la pauvreté tend à faire oublier, et à retrouver la dignité conférée par le travail.
Enfin, parmi les thèmes qui sollicitent notre réflexion et notre collaboration, il y a la protection de l’environnement, de notre bien-aimée Terre qui est la grande ressource que Dieu nous a donnée et qui est à notre disposition non pour être défigurée, exploitée et avilie, mais pour que nous puissions y vivre avec dignité, en jouissant de son immense beauté.
Monsieur le Secrétaire général, Madame la Présidente, Excellences, Mesdames et Messieurs,
Le bienheureux Paul VI a défini l’Église « experte en humanité » .  Dans le monde, à l’imitation du Christ, malgré les péchés de ses enfants, elle ne cherche rien d’autre que de servir et de rendre témoignage à la vérité . Rien d’autre que cet esprit ne nous guide dans le soutien du chemin de l’humanité.
Avec cette disposition d’esprit, le Saint-Siège entend continuer sa propre collaboration avec le Conseil de l’Europe, qui revêt aujourd’hui un rôle fondamental pour forger la mentalité des futures générations d’Européens. Il s’agit d’effectuer ensemble une réflexion dans tous les domaines, afin que s’instaure une sorte de « nouvelle agorà », dans laquelle chaque instance civile et religieuse puisse librement se confronter avec les autres, même dans la séparation des domaines et dans la diversité des positions, animée exclusivement par le désir de vérité et par celui d’édifier le bien commun. La culture, en effet, naît toujours de la rencontre réciproque, destinée à stimuler la richesse intellectuelle et la créativité de ceux qui y prennent part ; et outre le fait que c’est la réalisation du bien, cela est beau. Je souhaite que l’Europe, en redécouvrant son patrimoine historique et la profondeur de ses racines, en assumant sa vivante multipolarité et le phénomène de la transversalité en dialogue, retrouve cette jeunesse d’esprit qui l’a rendue féconde et grande.
Merci !
  
Inglese
Mr Secretary General,
Madame President
Your Excellencies,
Ladies and Gentlemen,
I am happy to address this solemn session which brings together a significant representation of the Parliamentary Assembly of the Council of Europe, representatives of member States, the Judges of the European Court of Human Rights as well as the members of the various institutions which make up the Council of Europe.  Practically all of Europe is present in this hall, with its peoples, its languages, its cultural and religious expressions, all of which constitute the richness of this continent.  I am especially grateful to the Secretary General of the Council of Europe, Mr Thorbjørn Jagland, for his gracious invitation and for his kind words of welcome.  I greet Madame Anne Brasseur, President of the Parliamentary Assembly.  To all of you I offer my heartfelt thanks for your work and for your contribution to peace in Europe through the promotion of democracy, human rights and the rule of law.
This year the Council of Europe celebrates its sixty-fifth anniversary.  It was the intention of its founders that the Council would respond to a yearning for unity which, from antiquity, has characterized the life of the continent.  Frequently, however, in the course of the centuries, the pretension to power has led to the dominance of particularist movements.  We need but consider the fact that, ten years before the Treaty instituting the Council of Europe was signed in London (5 May 1949), there broke out the most lethal and destructive conflict in the memory of these lands.  The divisions it created long continued, as the so-called Iron Curtain split the continent into two, from the Baltic Sea to the Gulf of Trieste.  The dream of the founders was to rebuild Europe in a spirit of mutual service which today too, in a world more prone to make demands than to serve, must be the cornerstone of the Council of Europe’s mission on behalf of peace, freedom and human dignity.
The royal road to peace – and to avoiding a repetition of what occurred in the two World Wars of the last century – is to see others not as enemies to be opposed but as brothers and sisters to be embraced.  This entails an ongoing process which may never be considered fully completed.  This is precisely what the founders grasped.  They understood that peace was a good which must continually be attained, one which calls for constant vigilance.  They realized that wars arise from the effort to occupy spaces, to crystallize processes and to attempt to halt them.  Instead, the founders sought peace, which can be achieved only when we are constantly open to initiating processes and carrying them forward.
Consequently, the founders voiced their desire to advance slowly but surely with the passage of time, since is it is precisely time which governs spaces, illumines them and makes them links in a constantly expanding chain, with no possibility of return.  Building peace calls for giving priority to actions which generate new processes in society and engage other persons and groups, who can then develop them to the point where they bear fruit in significant historical events.
That is why the founders established this body as a permanent institution.  Pope Paul VI, several years later, had occasion to observe that “the institutions which in the juridical order and in international society have the task and merit of proclaiming and preserving peace, will attain their lofty goal only if they remain continually active, if they are capable of creating peace, making peace, at every moment”.   What is called for is a constant work of humanization, for “it is not enough to contain wars, to suspend conflicts… An imposed peace, a utilitarian and provisional peace, is not enough.  Progress must be made towards a peace which is loved, free and fraternal, founded, that is, on a reconciliation of hearts”;  in other words, to encourage processes calmly, yet with clear convictions and tenacity.
Achieving the good of peace first calls for educating to peace, banishing a culture of conflict aimed at fear of others, marginalizing those who think or live differently than ourselves.  It is true that conflict cannot be ignored or concealed; it has to be faced.  But if it paralyzes us, we lose perspective, our horizons shrink and we grasp only a part of reality.  When we fail to move forward in a situation of conflict, we lose our sense of the profound unity of reality,  we halt history and we become enmeshed in useless disputes.
Tragically, peace continues all too often to be violated.  This is the case in so many parts of the world where conflicts of various sorts continue to fester.  It is also the case here in Europe, where tensions continue to exist.  How great a toll of suffering and death is still being exacted on this continent, which yearns for peace yet so easily falls back into the temptations of the past!  That is why the efforts of the Council of Europe to seek a political solution to current crises is so significant and encouraging.
Yet peace is also put to the test by other forms of conflict, such as religious and international terrorism, which displays deep disdain for human life and indiscriminately reaps innocent victims.  This phenomenon is unfortunately bankrolled by a frequently unchecked traffic in weapons.  The Church is convinced that “the arms race is one of the greatest curses on the human race and the harm it inflicts on the poor is more than can be endured”.   Peace is also violated by trafficking in human beings, the new slavery of our age, which turns persons into merchandise for trade and deprives its victims of all dignity.  Not infrequently we see how interconnected these phenomena are.  The Council of Europe, through its Committees and Expert Groups, has an important and significant role to play in combating these forms of inhumanity.
This being said, peace is not merely the absence of war, conflicts and tensions.  In the Christian vision, peace is at once a gift of God and the fruit of free and reasonable human acts aimed at pursuing the common good in truth and love.  “This rational and moral order is based on a conscientious decision by men and women to seek harmony in their mutual relationships, with respect for justice for everyone”. 
How then do we pursue the ambitious goal of peace?
The path chosen by the Council of Europe is above all that of promoting human rights, together with the growth of democracy and the rule of law.  This is a particularly valuable undertaking, with significant ethical and social implications, since the development of our societies and their peaceful future coexistence depends on a correct understanding of these terms and constant reflection on them.  This reflection is one of the great contributions which Europe has offered, and continues to offer, to the entire world.
In your presence today, then, I feel obliged to stress the importance of Europe’s continuing responsibility to contribute to the cultural development of humanity.  I would like to do so by using an image drawn from a twentieth-century Italian poet, Clemente Rebora.  In one of his poems,  Rebora describes a poplar tree, its branches reaching up to the sky, buffeted by the wind, while its trunk remains firmly planted on deep roots sinking into the earth.   In a certain sense, we can consider Europe in the light of this image.  
Throughout its history, Europe has always reached for the heights, aiming at new and ambitious goals, driven by an insatiable thirst for knowledge, development, progress, peace and unity.  But the advance of thought, culture, and scientific discovery is entirely due to the solidity of the trunk and the depth of the roots which nourish it.  Once those roots are lost, the trunk slowly withers from within and the branches – once flourishing and erect – bow to the earth and fall.  This is perhaps among the most baffling paradoxes for a narrowly scientific mentality: in order to progress towards the future we need the past, we need profound roots.  We also need the courage not to flee from the present and its challenges.  We need memory, courage, a sound and humane utopian vision.
Rebora notes, on the one hand, that “the trunk sinks its roots where it is most true”.   The roots are nourished by truth, which is the sustenance, the vital lymph, of any society which would be truly free, human and fraternal.  On the other hand, truth appeals to conscience, which cannot be reduced to a form of conditioning.  Conscience is capable of recognizing its own dignity and being open to the absolute; it thus gives rise to fundamental decisions guided by the pursuit of the good, for others and for one’s self; it is itself the locus of responsible freedom.
It also needs to be kept in mind that apart from the pursuit of truth, each individual becomes the criterion for measuring himself and his own actions.  The way is thus opened to a subjectivistic assertion of rights, so that the concept of human rights, which has an intrinsically universal import, is replaced by an individualistic conception of rights.  This leads to an effective lack of concern for others and favours that globalization of indifference born of selfishness, the result of a conception of man incapable of embracing the truth and living an authentic social dimension.
This kind of individualism leads to human impoverishment and cultural aridity, since it effectively cuts off the nourishing roots on which the tree grows.  Indifferent individualism leads to the cult of opulence reflected in the throwaway culture all around us.  We have a surfeit of unnecessary things, but we no longer have the capacity to build authentic human relationships marked by truth and mutual respect.  And so today we are presented with the image of a Europe which is hurt, not only by its many past ordeals, but also by present-day crises which it no longer seems capable of facing with its former vitality and energy; a Europe which is a bit tired and pessimistic, which feels besieged by events and winds of change coming from other continents.
To Europe we can put the question: “Where is your vigour?  Where is that idealism which inspired and ennobled your history?  Where is your spirit of curiosity and enterprise?  Where is your thirst for truth, a thirst which hitherto you have passionately shared with the world?
The future of the continent will depend on the answer to these questions.  Returning to Rebora’s image of the tree, a trunk without roots can continue to have the appearance of life, even as it grows hollow within and eventually dies.  Europe should reflect on whether its immense human, artistic, technical, social, political, economic and religious patrimony is simply an artefact of the past, or whether it is still capable of inspiring culture and displaying its treasures to mankind as a whole.  In providing an answer to this question, the Council of Europe with its institutions has a role of primary importance.
I think particularly of the role of the European Court of Human Rights, which in some way represents the conscience of Europe with regard to those rights.  I express my hope that this conscience will continue to mature, not through a simple consensus between parties, but as the result of efforts to build on those deep roots which are the bases on which the founders of contemporary Europe determined to build.
These roots need to be sought, found and maintained by a daily exercise of memory, for they represent the genetic patrimony of Europe.  At the same time there are present challenges facing the continent.  These summon us to continual creativity in ensuring that the roots continue to bear fruit today and in the realization of our vision for the future.  Allow me to mention only two aspects of this vision: the challenge of multipolarity and the challenge of transversality.
The history of Europe might lead us to think somewhat naïvely of the continent as bipolar, or at most tripolar (as in the ancient conception of Rome-Byzantium-Moscow), and thus to interpret the present and to look to the future on the basis of this schema, which is a simplification born of pretentions to power.
But this is not the case today, and we can legitimately speak of a “multipolar” Europe.  Its tensions – whether constructive or divisive – are situated between multiple cultural, religious and political poles.  Europe today confronts the challenge of creatively “globalizing” this multipolarity.  Nor are cultures necessarily identified with individual countries: some countries have a variety of cultures and some cultures are expressed in a variety of countries.  The same holds true for political, religious, and social aggregations.
Creatively globalizing multipolarity calls for striving to create a constructive harmony, one free of those pretensions to power which, while appearing from a pragmatic standpoint to make things easier, end up destroying the cultural and religious distinctiveness of peoples.
To speak of European multipolarity is to speak of peoples which are born, grow and look to the future.  The task of globalizing Europe’s multipolarity cannot be conceived by appealing to the image of a sphere – in which all is equal and ordered, but proves reductive inasmuch as every point is equidistant from the centre – but rather, by the image of a polyhedron, in which the harmonic unity of the whole preserves the particularity of each of the parts.  Today Europe is multipolar in its relationships and its intentions; it is impossible to imagine or to build Europe without fully taking into account this multipolar reality.
The second challenge which I would like to mention is transversality.  Here I would begin with my own experience: in my meetings with political leaders from various European countries, I have observed that the younger politicians view reality differently than their older colleagues.  They may appear to be saying the same things, but their approach is different.  This is evident in younger politicians from various parties.  This empirical fact points to a reality of present-day Europe which cannot be overlooked in efforts to unite the continent and to guide its future: we need to take into account this transversality encountered in every sector.  To do so requires engaging in dialogue, including intergenerational dialogue.  Were we to define the continent today, we should speak of a Europe in dialogue, one which puts a transversality of opinions and reflections at the service of a harmonious union of peoples.
To embark upon this path of transversal communication requires not only generational empathy, but also an historic methodology of growth.  In Europe’s present political situation, merely internal dialogue between the organizations (whether political, religious or cultural) to which one belongs, ends up being unproductive.  Our times demand the ability to break out of the structures which “contain” our identity and to encounter others, for the sake of making that identity more solid and fruitful in the fraternal exchange of transversality.  A Europe which can only dialogue with limited groups stops halfway; it needs that youthful spirit which can rise to the challenge of transversality.
In light of all this, I am gratified by the desire of the Council of Europe to invest in intercultural dialogue, including its religious dimension, through the Exchange on the Religious Dimension of Intercultural Dialogue.  Here is a valuable opportunity for open, respectful and enriching exchange between persons and groups of different origins and ethnic, linguistic and religious traditions, in a spirit of understanding and mutual respect.
These meetings appear particularly important in the current multicultural and multipolar context, for finding a distinctive physiognomy capable of skilfully linking the European identity forged over the course of centuries to the expectations and aspirations of other peoples who are now making their appearance on the continent.
This way of thinking also casts light on the contribution which Christianity can offer to the cultural and social development of Europe today within the context of a correct relationship between religion and society.  In the Christian vision, faith and reason, religion and society, are called to enlighten and support one another, and, whenever necessary, to purify one another from ideological extremes.  European society as a whole cannot fail to benefit from a renewed interplay between these two sectors, whether to confront a form of religious fundamentalism which is above all inimical to God, or to remedy a reductive rationality which does no honour to man.
There are in fact a number of pressing issues which I am convinced can lead to mutual enrichment, issues on which the Catholic Church – particularly through the Council of Episcopal Conferences of Europe (CCEE) – can cooperate with the Council of Europe and offer an essential contribution.  First and foremost there is, in view of what I have said above, the area of ethical reflection on human rights, which your Organization is often called to consider.  I think in particular of the issues linked to the protection of human life, sensitive issues that demand a careful study which takes into account the truth of the entire human being, without being restricted to specific medical, scientific or juridic aspects.
Similarly, the contemporary world offers a number of other challenges requiring careful study and a common commitment, beginning with the welcoming of migrants, who immediately require the essentials of subsistence, but more importantly a recognition of their dignity as persons.  Then too, there is the grave problem of labour, chiefly because of the high rate of young adults unemployed in many countries – a veritable mortgage on the future – but also for the issue of the dignity of work.
It is my profound hope that the foundations will be laid for a new social and economic cooperation, free of ideological pressures, capable of confronting a globalized world while at the same time encouraging that sense of solidarity and mutual charity which has been a distinctive feature of Europe, thanks to the generous efforts of hundreds of men and women – some of whom the Catholic Church considers saints – who over the centuries have worked to develop the continent, both by entrepreneurial activity and by works of education, welfare, and human promotion.  These works, above all, represent an important point of reference for the many poor people living in Europe.  How many of them there are in our streets!  They ask not only for the food they need for survival, which is the most elementary of rights, but also for a renewed appreciation of the value of their own life, which poverty obscures, and a rediscovery of the dignity conferred by work.
Finally, among the issues calling for our reflection and our cooperation is the defence of the environment, of this beloved planet earth.  It is the greatest resource which God has given us and is at our disposal not to be disfigured, exploited, and degraded, but so that, in the enjoyment of its boundless beauty, we can live in this world with dignity.
Mr Secretary General, Madame President, Your Excellencies, Ladies and Gentlemen,
Pope Paul VI called the Church an “expert in humanity”.   In this world, following the example of Christ and despite the sins of her sons and daughters, the Church seeks nothing other than to serve and to bear witness to the truth.   This spirit alone guides us in supporting the progress of humanity.
In this spirit, the Holy See intends to continue its cooperation with the Council of Europe, which today plays a fundamental role in shaping the mentality of future generations of Europeans.  This calls for mutual engagement in a far-ranging reflection aimed at creating a sort of new agorá, in which all civic and religious groups can enter into free exchange, while respecting the separation of sectors and the diversity of positions, an exchange inspired purely by the desire of truth and the advancement of the common good.  For culture is always born of reciprocal encounter which seeks to stimulate the intellectual riches and creativity of those who take part in it; this is not only a good in itself, it is also something beautiful.  My hope is that Europe, by rediscovering the legacy of its history and the depth of its roots, and by embracing its lively multipolarity and the phenomenon of a transversality in dialogue, will rediscover that youthfulness of spirit which has made this continent fruitful and great.
Thank you!

 
Spagnolo
Señor Secretario General, Señora Presidenta,
Excelencias, Señoras y Señores
Me alegra poder tomar la palabra en esta Convención que reúne una representación significativa de la Asamblea Parlamentaria del Consejo de Europa, de representantes de los países miembros, de los jueces del Tribunal Europeo de los derechos humanos, así como de las diversas Instituciones que componen el Consejo de Europa. En efecto, casi toda Europa está presente en esta aula, con sus pueblos, sus idiomas, sus expresiones culturales y religiosas, que constituyen la riqueza de este Continente. Estoy especialmente agradecido al Secretario General del Consejo de Europa, Sr. Thorbjørn Jagland, por su amable invitación y las cordiales palabras de bienvenida que me ha dirigido. Saludo también a la Sra. Anne Brasseur, Presidente de la Asamblea Parlamentaria. Agradezco a todos de corazón su compromiso y la contribución que ofrecen a la paz en Europa, a través de la promoción de la democracia, los derechos humanos y el estado de derecho.
En la intención de sus Padres fundadores, el Consejo de Europa, que este año celebra su 65 aniversario, respondía a una tendencia ideal hacia la unidad, que ha animado en varias fases la vida del Continente desde la antigüedad. Sin embargo, a lo largo de los siglos, han prevalecido muchas veces las tendencias particularistas, marcadas por reiterados propósitos hegemónicos. Baste decir que, diez años antes de aquel 5 de mayo de 1949, cuando se firmó en Londres el Tratado que estableció el Consejo de Europa, comenzaba el conflicto más sangriento y cruel que recuerdan estas tierras, cuyas divisiones han continuado durante muchos años después, cuando el llamado Telón de Acero dividió en dos el Continente, desde el mar Báltico hasta el Golfo de Trieste. El proyecto de los Padres fundadores era reconstruir Europa con un espíritu de servicio mutuo, que aún hoy, en un mundo más proclive a reivindicar que a servir, debe ser la llave maestra de la misión del Consejo de Europa, en favor de la paz, la libertad y la dignidad humana.
Por otro lado, el camino privilegiado para la paz – para evitar que se repita lo ocurrido en las dos guerras mundiales del siglo pasado –  es reconocer en el otro no un enemigo que combatir, sino un hermano a quien acoger. Es un proceso continuo, que nunca puede darse por logrado plenamente. Esto es precisamente lo que intuyeron los Padres fundadores, que entendieron cómo la paz era un bien que se debe conquistar continuamente, y que exige una vigilancia absoluta. Eran conscientes de que las guerras se alimentan por los intentos de apropiarse espacios, cristalizar los procesos y tratar de detenerlos; ellos, por el contrario, buscaban la paz que sólo puede alcanzarse con la actitud constante de iniciar procesos y llevarlos adelante.
Afirmaban de este modo la voluntad de caminar madurando con el tiempo, porque es precisamente el tiempo lo que gobierna los espacios, los ilumina y los transforma en una cadena de crecimiento continuo, sin vuelta atrás. Por eso, construir la paz requiere privilegiar las acciones que generan nuevo dinamismo en la sociedad e involucran a otras personas y otros grupos que los desarrollen, hasta que den fruto en acontecimientos históricos importantes.
Por esta razón dieron vida a este Organismo estable. Algunos años más tarde, el beato Pablo VI recordó que «las mismas instituciones que en el orden jurídico y en el concierto internacional tienen la función y el mérito de proclamar y de conservar la paz alcanzan su providencial finalidad cuando están continuamente en acción, cuando en todo momento saben engendrar la paz, hacer la paz».  Es preciso un proceso constante de humanización, y «no basta reprimir las guerras, suspender las luchas (...); no basta una paz impuesta, una paz utilitaria y provisoria; hay que tender a una paz amada, libre, fraterna, es decir, fundada en la reconciliación de los ánimos».  Es decir, continuar los procesos sin ansiedad, pero ciertamente con convicciones claras y con tesón.
Para lograr el bien de la paz es necesario ante todo  educar para ella, abandonando una cultura del conflicto, que tiende al miedo del otro, a la marginación de quien piensa y vive de manera diferente. Es cierto que el conflicto no puede ser ignorado o encubierto, debe ser asumido. Pero si nos quedamos atascados en él, perdemos perspectiva, los horizontes se limitan y la realidad misma sigue estando fragmentada. Cuando nos paramos en la situación conflictual perdemos el sentido de la unidad profunda de la realidad,  detenemos la historia y caemos en desgastes internos y en contradicciones estériles.
Por desgracia, la paz está todavía demasiado a menudo herida. Lo está en tantas partes del mundo, donde arrecian furiosos conflictos de diversa índole. Lo está aquí, en Europa, donde no cesan las tensiones. Cuánto dolor y cuántos muertos se producen todavía en este Continente, que anhela la paz, pero que vuelve a caer fácilmente en las tentaciones de otros tiempos. Por eso es importante y prometedora la labor del Consejo de Europa en la búsqueda de una solución política a las crisis actuales.
Pero la paz sufre también por otras formas de conflicto, como el terrorismo religioso e internacional, embebido de un profundo desprecio por la vida humana y que mata indiscriminadamente a víctimas inocentes. Por desgracia, este fenómeno se abastece de un tráfico de armas a menudo impune. La Iglesia considera que «la carrera de armamentos es una plaga gravísima de la humanidad y perjudica a los pobres de modo intolerable».  La paz también se quebranta por el tráfico de seres humanos, que es la nueva esclavitud de nuestro tiempo, y que convierte a las personas en un artículo de mercado, privando a las víctimas de toda dignidad. No es difícil constatar cómo estos fenómenos están a menudo relacionados entre sí. El Consejo de Europa, a través de sus Comités y Grupos de Expertos, juega un papel importante y significativo en la lucha contra estas formas de inhumanidad.
Con todo, la paz no es solamente ausencia de guerra, de conflictos y tensiones. En la visión cristiana, es al mismo tiempo un don de Dios y fruto de la acción libre y racional del hombre, que intenta buscar el bien común en la verdad y el amor. «Este orden racional y moral se apoya precisamente en la decisión de la conciencia de los seres humanos de buscar la armonía en sus relaciones mutuas, respetando la justicia en todos».
Entonces, ¿cómo lograr el objetivo ambicioso de la paz?
El camino elegido por el Consejo de Europa es ante todo el de la promoción de los derechos humanos, que enlaza con el desarrollo de la democracia y el estado de derecho. Es una tarea particularmente valiosa, con significativas implicaciones éticas y sociales, puesto que de una correcta comprensión de estos términos y una reflexión constante sobre ellos, depende el desarrollo de nuestras sociedades, su convivencia pacífica y su futuro. Este estudio es una de las grandes aportaciones que Europa ha ofrecido y sigue ofreciendo al mundo entero.
Así pues, en esta sede siento el deber de señalar la importancia de la contribución y la responsabilidad europea en el desarrollo cultural de la humanidad. Quisiera hacerlo a partir de una imagen tomada de un poeta italiano del siglo XX, Clemente Rebora, que, en uno de sus poemas, describe un álamo, con sus ramas tendidas al cielo y movidas por el viento, su tronco sólido y firme, y sus raíces profundamente ancladas en la tierra.  En cierto sentido, podemos pensar en Europa a la luz de esta imagen.
A lo largo de su historia, siempre ha tendido hacia lo alto, hacia nuevas y ambiciosas metas, impulsada por un deseo insaciable de conocimientos, desarrollo, progreso, paz y unidad. Pero el crecimiento del pensamiento, la cultura, los descubrimientos científicos son posibles por la solidez del tronco y la profundidad de las raíces que lo alimentan. Si pierde las raíces, el tronco se vacía lentamente y muere, y las ramas – antes exuberantes y rectas – se pliegan hacia la tierra y caen. Aquí está tal vez una de las paradojas más incomprensibles para una mentalidad científica aislada: para caminar hacia el futuro hace falta el pasado, se necesitan raíces profundas, y también se requiere el valor de no esconderse ante el presente y sus desafíos. Hace falta memoria, valor y una sana y humana utopía.
Por otro lado – observa Rebora – «el tronco se ahonda donde es más verdadero».  Las raíces se nutren de la verdad, que es el alimento, la linfa vital de toda sociedad que quiera ser auténticamente libre, humana y solidaria. Además, la verdad hace un llamamiento a la conciencia, que es irreductible a los condicionamientos, y por tanto capaz de conocer su propia dignidad y estar abierta a lo absoluto, convirtiéndose en fuente de opciones fundamentales guiadas por la búsqueda del bien para los demás y para sí mismo, y la sede de una libertad responsable.
También hay que tener en cuenta que, sin esta búsqueda de la verdad, cada uno se convierte en medida de sí mismo y de sus actos, abriendo el camino a una afirmación subjetiva de los derechos, por lo que el concepto de derecho humano, que tiene en sí mismo un valor universal, queda sustituido por la idea del derecho individualista. Esto lleva al sustancial descuido de los demás, y a fomentar esa globalización de la indiferencia que nace del egoísmo, fruto de una concepción del hombre incapaz de acoger la verdad y vivir una auténtica dimensión social.
Este individualismo nos hace humanamente pobres y culturalmente estériles, pues cercena de hecho esas raíces fecundas que mantienen la vida del árbol. Del individualismo indiferente nace el culto a la opulencia, que corresponde a la cultura del descarte en la que estamos inmersos. Efectivamente, tenemos demasiadas cosas, que a menudo no sirven, pero ya no somos capaces de construir auténticas relaciones humanas, basadas en la verdad y el respeto mutuo. Así, hoy tenemos ante nuestros ojos la imagen de una Europa herida, por las muchas pruebas del pasado, pero también por la crisis del presente, que ya no parece ser capaz de hacerle frente con la vitalidad y la energía del pasado. Una Europa un poco cansada y pesimista, que se siente asediada por las novedades de otros continentes.
Podemos preguntar a Europa: ¿Dónde está tu vigor? ¿Dónde está esa tensión ideal que ha animado y hecho grande tu historia? ¿Dónde está tu espíritu de emprendedor curioso? ¿Dónde está tu sed de verdad, que hasta ahora has comunicado al mundo con pasión?
De la respuesta a estas preguntas dependerá el futuro del Continente. Por otro lado – volviendo a la imagen de Rebora – un tronco sin raíces puede seguir teniendo una apariencia vital, pero por dentro se vacía y muere. Europa debe reflexionar sobre si su inmenso patrimonio humano, artístico, técnico, social, político, económico y religioso es un simple retazo del pasado para museo, o si todavía es capaz de inspirar la cultura y abrir sus tesoros a toda la humanidad. En la respuesta a este interrogante, el Consejo de Europa y sus instituciones tienen un papel de primera importancia.
Pienso especialmente en el papel de la Corte Europea de los Derechos Humanos, que es de alguna manera la «conciencia» de Europa en el respeto de los derechos humanos. Mi esperanza es que dicha conciencia madure cada vez más, no por un mero consenso entre las partes, sino como resultado de la tensión hacia esas raíces profundas, que es el pilar sobre los que los Padres fundadores de la Europa contemporánea decidieron edificar.
Junto a las raíces – que se deben buscar, encontrar y mantener vivas con el ejercicio cotidiano de la memoria, pues constituyen el patrimonio genético de Europa –, están los desafíos actuales del Continente, que nos obligan a una creatividad continua, para que estas raíces sean fructíferas hoy, y se proyecten hacia utopías del futuro. Permítanme mencionar sólo dos: el reto de la multipolaridad y el desafío de la transversalidad.
La historia de Europa puede llevarnos a concebirla ingenuamente como una bipolaridad o, como mucho, una tripolaridad (pensemos en la antigua concepción: Roma - Bizancio - Moscú), y dentro de este esquema, fruto de reduccionismos geopolíticos hegemónicos, movernos en la interpretación del presente y en la proyección hacia la utopía del futuro.
Hoy las cosas no son así, y podemos hablar legítimamente  de una Europa multipolar. Las tensiones – tanto las que construyen como las que disgregan – se producen entre múltiples polos culturales, religiosos y políticos. Europa afronta hoy el reto de «globalizar» de modo original esta multipolaridad. Las culturas no se identifican necesariamente con los países: algunos de ellos tienen diferentes culturas y algunas culturas se manifiestan en diferentes países. Lo mismo ocurre con las expresiones políticas, religiosas y asociativas.
Globalizar de modo original la multipolaridad comporta el reto de una armonía constructiva, libre de hegemonías que, aunque pragmáticamente parecen facilitar el camino, terminan por destruir la originalidad cultural y religiosa de los pueblos.
Hablar de la multipolaridad europea es hablar de pueblos que nacen, crecen y se proyectan hacia el futuro. La tarea de globalizar la multipolaridad de Europa no se puede imaginar con la figura de la esfera – donde todo es igual y ordenado, pero que resulta reductiva puesto que cada punto es equidistante del centro –, sino más bien con la del poliedro, donde la unidad armónica del todo conserva la particularidad de cada una de las partes. Hoy Europa es multipolar en sus relaciones y tensiones; no se puede pensar ni construir Europa sin asumir a fondo esta realidad multipolar.
El otro reto que quisiera mencionar es la transversalidad. Comienzo con una experiencia personal: en los encuentros con políticos de diferentes países de Europa, he notado que los jóvenes afrontan la realidad política desde una perspectiva diferente a la de sus colegas más adultos. Tal vez dicen cosas aparentemente semejantes, pero el enfoque es diverso. Esto ocurre en los jóvenes políticos de diferentes partidos. Y es un dato que indica una realidad de la Europa actual de la que no se puede prescindir en el camino de la consolidación continental y de su proyección de futuro: tener en cuenta esta transversalidad que se percibe en todos los campos. No se puede recorrer este camino sin recurrir al diálogo, también intergeneracional. Si quisiéramos definir hoy el Continente, debemos hablar de una Europa dialogante, que sabe poner la transversalidad de opiniones y reflexiones al servicio de pueblos armónicamente unidos.
Asumir este camino de la comunicación transversal no sólo comporta empatía intergeneracional, sino metodología histórica de crecimiento. En el mundo político actual de Europa, resulta estéril el diálogo meramente en el seno de los organismos (políticos, religiosos, culturales) de la propia pertenencia. La historia pide hoy la capacidad de salir de las estructuras que «contienen» la propia identidad, con el fin de hacerla más fuerte y más fructífera en la confrontación fraterna de la transversalidad. Una Europa que dialogue únicamente dentro de los grupos cerrados de pertenencia se queda a mitad de camino; se necesita el espíritu juvenil que acepte el reto de la transversalidad.
En esta perspectiva, acojo favorablemente la voluntad del Consejo de Europa de invertir en el diálogo intercultural, incluyendo su dimensión religiosa, mediante los Encuentros sobre la dimensión religiosa del diálogo intercultural. Es una oportunidad provechosa para el intercambio abierto, respetuoso y enriquecedor entre las personas y grupos de diverso origen, tradición étnica, lingüística y religiosa, en un espíritu de comprensión y respeto mutuo.
Dichos encuentros parecen particularmente importantes en el ambiente actual multicultural, multipolar, en busca de una propia fisionomía, para combinar con sabiduría la identidad europea que se ha formado a lo largo de los siglos con las solicitudes que llegan de otros pueblos que ahora se asoman al Continente.
En esta lógica se incluye la aportación que el cristianismo puede ofrecer hoy al desarrollo cultural y social europeo en el ámbito de una correcta relación entre religión y sociedad. En la visión cristiana, razón y fe, religión y sociedad, están llamadas a iluminarse una a otra, apoyándose mutuamente y, si fuera necesario, purificándose recíprocamente de los extremismos ideológicos en que pueden caer. Toda la sociedad europea se beneficiará de una reavivada relación entre los dos ámbitos, tanto para hacer frente a un fundamentalismo religioso, que es sobre todo enemigo de Dios, como para evitar una razón «reducida», que no honra al hombre.
Estoy convencido de que hay muchos temas, y actuales, en los que puede haber un enriquecimiento mutuo, en los que la Iglesia Católica – especialmente a través del Consejo de las Conferencias Episcopales de Europa (CCEE) – puede colaborar con el Consejo de Europa y ofrecer una contribución fundamental. En primer lugar, a la luz de lo que acabo de decir, en el ámbito de una reflexión ética sobre los derechos humanos, sobre los que esta Organización está frecuentemente llamada a reflexionar. Pienso particularmente en las cuestiones relacionadas con la protección de la vida humana, cuestiones delicadas que han de ser sometidas a un examen cuidadoso, que tenga en cuenta la verdad de todo el ser humano, sin limitarse a campos específicos, médicos, científicos o jurídicos.
También hay numerosos retos del mundo contemporáneo que precisan estudio y un compromiso común, comenzando por la acogida  de los emigrantes, que necesitan antes que nada lo esencial para vivir, pero, sobre todo, que se les reconozca su dignidad como personas. Después tenemos todo el grave problema del trabajo, especialmente por los elevados niveles de desempleo juvenil que se produce en muchos países – una verdadera hipoteca para el futuro –,  pero también por la cuestión de la dignidad del trabajo.
Espero ardientemente que se instaure una nueva colaboración social y económica, libre de condicionamientos ideológicos, que sepa afrontar el mundo globalizado, manteniendo vivo el sentido de la solidaridad y de la caridad mutua, que tanto ha caracterizado el rostro de Europa, gracias a la generosa labor de cientos de hombres y mujeres –  algunos de los cuales la Iglesia Católica considera santos – que, a lo largo de los siglos, se han esforzado por desarrollar el Continente, tanto mediante la actividad empresarial como con obras educativas, asistenciales y de promoción humana. Estas últimas, sobre todo, son un punto de referencia importante para tantos pobres que viven en Europa. ¡Cuántos hay por nuestras calles! No sólo piden pan para el sustento, que es el más básico de los derechos, sino también redescubrir el valor de la propia vida, que la pobreza tiende a hacer olvidar, y recuperar la dignidad que el trabajo confiere.
En fin, entre los temas que requieren nuestra reflexión y nuestra colaboración está la defensa del medio ambiente, de nuestra querida Tierra, el gran recurso que Dios nos ha dado y que está a nuestra disposición, no para ser desfigurada, explotada y denigrada, sino para que, disfrutando de su inmensa belleza, podamos vivir con dignidad.
Señora Presidenta, señor Secretario General, Excelencias, Señoras y Señores,
El beato Pablo VI calificó a la Iglesia como «experta en humanidad».  En el mundo, a imitación de Cristo, y no obstante los pecados de sus hijos, ella no busca más que servir y dar testimonio de la verdad.  Nada más, sino sólo este espíritu, nos guía en el alentar el camino de la humanidad.
Con esta disposición, la Santa Sede tiene la intención de continuar su colaboración con el Consejo de Europa, que hoy desempeña un papel fundamental para forjar la mentalidad de las futuras generaciones de europeos. Se trata de realizar juntos una reflexión a todo campo, para que se instaure una especie de «nueva agorá», en la que toda instancia civil y religiosa pueda confrontarse libremente con las otras, si bien en la separación de ámbitos y en la diversidad de posiciones, animada exclusivamente por el deseo de verdad y de edificar el bien común. En efecto, la cultura nace siempre del encuentro mutuo, orientado a estimular la riqueza intelectual y la creatividad de cuantos participan; y esto, además de ser una práctica del bien, es belleza. Mi esperanza es que Europa, redescubriendo su patrimonio histórico y la profundidad de sus raíces, asumiendo su acentuada multipolaridad y el fenómeno de la transversalidad dialogante, reencuentre esa juventud de espíritu que la ha hecho fecunda y grande.
Gracias.

Portoghese
Senhor Secretário-Geral, Senhora Presidente,
Excelências, Senhoras e Senhores!
Sinto-me feliz por poder tomar a palavra nesta Sessão que vê reunida uma representação significativa da Assembleia Parlamentar do Conselho da Europa, os representantes dos países membros, os juízes do Tribunal Europeu dos Direitos do Homem, bem como as diferentes instituições que compõem o Conselho da Europa. De facto, quase toda a Europa está aqui presente, com os seus povos, as suas línguas, as suas expressões culturais e religiosas, que constituem a riqueza deste Continente. De modo particular agradeço ao Secretário-Geral do Conselho da Europa, Senhor Thorbjørn Jagland, o convite gentil e as amáveis palavras de boas-vindas que me dirigiu. Saúdo também a Senhora Anne Brasseur, Presidente da Assembleia Parlamentar. De coração agradeço a todos o empenhamento profuso e a contribuição prestada à paz na Europa através da promoção da democracia, dos direitos humanos e do estado de direito.
Na intenção de seus Pais fundadores, o Conselho da Europa –que celebra este ano o seu sexagésimo quinto aniversário – dava resposta àquela tensão ideal para a unidade que tem animado, repetidamente, a vida do Continente desde a antiguidade. Ao longo dos séculos, porém, muitas vezes prevaleceram ímpetos particularistas conotados com as diversas vontades hegemónicas que se iam sucedendo. Basta pensar que dez anos antes daquele 5 de Maio de 1949, quando se assinou em Londres o Tratado que instituía o Conselho da Europa, tivera início o mais sangrento e dilacerante conflito que estas terras recordam e cujas divisões perduraram por muitos anos sucessivos com a chamada cortina de ferro que dividia em dois o Continente desde o Mar Báltico até ao Golfo de Trieste. O projecto dos Pais fundadores era reconstruir a Europa num espírito de mútuo serviço, que ainda hoje, num mundo mais inclinado a reivindicar do que a servir, deve constituir o fecho da abóbada da missão do Conselho da Europa em favor da paz, da liberdade e da dignidade humana.
Aliás o caminho privilegiado para a paz – para evitar que volte a acontecer o que sucedeu nas duas guerras mundiais do século passado – é reconhecer no outro, não um inimigo a combater, mas um irmão a acolher. Trata-se de um processo contínuo, que não se pode jamais dar como plenamente alcançado. Isto mesmo intuíram os Pais fundadores quando compreenderam que a paz era um bem que se devia conquistar continuamente e exigia uma vigilância absoluta. Estavam cientes de que as guerras se alimentam da vontade de apoderar-se dos espaços, cristalizar os processos e procurar detê-los; eles, ao invés, procuravam a paz, que se pode realizar apenas com a constante disposição de iniciar processos e levá-los por diante.
Afirmavam, assim, a vontade de caminhar maturando no tempo, porque é precisamente o tempo que governa os espaços, iluminando-os e transformando-os numa cadeia de crescimento contínuo que não volta atrás. Por isso, a construção da paz exige privilegiar as acções que geram novos dinamismos na sociedade e envolvem outras pessoas e grupos que hão-de desenvolvê-los até frutificar em importantes acontecimentos históricos .
Foi por esta razão que eles deram vida a este Organismo estável. Como recordava alguns anos depois o Beato Paulo VI, «as próprias instituições que, na ordem jurídica e no concerto internacional, têm a função e o mérito de proclamar e de conservar a paz, alcançam o seu próvido objectivo se estiverem a operar continuamente, se souberem a cada momento gerar a paz, fazer a paz» . É preciso um caminho constante de humanização, pelo que «não basta conter a guerra, suspender as lutas, (...) não basta uma Paz imposta, uma Paz utilitária e provisória. É necessário tender para uma Paz amada, livre e fraterna, isto é, fundada sobre a reconciliação dos espíritos» . Por outras palavras, é preciso levar por diante os processos sem ansiedade, mas certamente com convicções claras e tenacidade.
Para conquistar o bem da paz é preciso, antes de mais nada, educar para ela, desterrando uma cultura do conflito que visa amedrontar o outro, marginalizar quem pensa ou vive de forma diferente. É verdade que o conflito não pode ser ignorado ou dissimulado; deve ser aceitado. Mas, se ficamos bloqueados nele, perde-se perspectiva, os horizontes reduzem-se e a própria realidade fica fragmentada. Quando estagnamos na situação de conflito, perdemos o sentido da unidade profunda da realidade , paramos a história e caímos no desgaste interior de contradições estéreis.
Infelizmente, a paz é ferida ainda muitas vezes. Isto é verdade em muitas partes do mundo, onde enfurecem conflitos de diverso género. É verdade também aqui na Europa, onde não cessam as tensões. Quanto sofrimento e quantos mortos há ainda neste Continente, que anseia pela paz e contudo volta facilmente a cair nas tentações de outrora! Por isso, é importante e encorajador o trabalho do Conselho da Europa na busca de uma solução política para as crises em acto.
Mas a paz é posta à prova também por outras formas de conflito, como o terrorismo religioso e internacional que nutre profundo desprezo pela vida humana e ceifa, de forma indiscriminada, vítimas inocentes. Infelizmente este fenómeno é alimentado por um tráfico de armas, muitas vezes sem qualquer entrave. A Igreja considera que «a corrida aos armamentos é um terrrível flagelo para a humanidade e prejudica os pobres de uma forma intolerável» . A paz é violada também pelo tráfico de seres humanos, a nova escravatura do nosso tempo que transforma as pessoas em mercadoria de troca, privando as vítimas de toda a dignidade. Depois, não raro damo-nos conta de como estão interligados estes fenómenos. O Conselho da Europa, através das suas Comissões e grupos de peritos, desempenha um papel importante e significativo no combate a tais formas de desumanidade.
A paz, porém, não é a simples ausência de guerras, conflitos e tensões. Na óptica cristã, é simultaneamente dom de Deus e fruto da acção livre e racional do homem, que se propõe perseguir o bem comum na verdade e no amor. «Esta ordem racional e moral assenta precisamente na decisão da consciência dos seres humanos de buscar a harmonia nas suas relações recíprocas sobre a base do respeito da justiça para todos» .
Então como perseguir este ambicioso objectivo da paz?
A estrada escolhida pelo Conselho da Europa é, antes de mais nada, a promoção dos direitos humanos, a que se liga o desenvolvimento da democracia e do estado de direito. É um trabalho particularmente precioso, com notáveis implicações éticas e sociais, já que, de um recto entendimento destes termos e de uma reflexão constante sobre eles, depende o desenvolvimento das nossas sociedades, a sua pacífica convivência e o seu futuro. Este estudo é uma das grandes contribuições que a Europa ofereceu e continua a oferecer ao mundo inteiro.
Por isso, nesta sede, sinto o dever de lembrar a importância da contribuição e responsabilidade europeias para o desenvolvimento cultural da humanidade. E gostaria de o fazer partindo de uma imagem que tomo dum poeta italiano do século XX, Clemente Rebora, que, numa das suas poesias , descreve um álamo com os seus ramos erguidos para o céu e movidos pelo vento, o seu tronco sólido e firme e as raízes profundas que penetram na terra. Em certo sentido podemos, à luz desta imagem, imaginar a Europa.
Ao longo da sua história, sempre se ergueu para o alto, para metas novas e ambiciosas, animada por um desejo insaciável de conhecimento, desenvolvimento, progresso, paz e unidade. Mas a elevação do pensamento, da cultura, das descobertas científicas só é possível graças à solidez do tronco e à profundidade das raízes que o alimentam. Se se perdem as raízes, o tronco lentamente se esvai e morre, e os ramos – antes vigorosos e direitos – dobram-se para a terra e caem. Aqui está talvez um dos paradoxos mais incompreensíveis para uma mentalidae científica isolada: para caminhar para o futuro serve o passado, são necessárias raízes profundas e serve também a coragem de não se esconder face ao presente e seus desafios. Servem memória, coragem e utopia sadia e humana.
Entretanto – observa Rebora - «o tronco penetra onde é mais verdadeiro» . As raízes nutrem-se da verdade, que constitui o alimento, a seiva vital de toda e qualquer sociedade que queira ser verdadeiramente livre, humana e solidária. Por outro lado, a verdade faz apelo à consciência, que é irredutível aos condicionamentos e, por isso, é capaz de conhecer a sua própria dignidade e de se abrir ao absoluto, tornando-se fonte das opções fundamentais guiadas pela procura do bem para os outros e para si mesma e lugar duma liberdade responsável .
Além disso, é preciso ter presente que, sem esta busca da verdade, cada um torna-se medida de si mesmo e do seu próprio agir, abrindo a estrada à afirmação subjectivista dos direitos, de tal modo que o conceito de direito humano, que de per si tem valência universal, é substituído pela ideia de direito individualista. Isto leva a ser substancialmente descuidado para com os outros e favorecer a globalização da indiferença, que nasce do egoísmo, fruto duma concepção do homem incapaz de acolher a verdade e viver uma autêntica dimensão social.
Um tal individualismo torna-nos humanamente pobres e culturalmente estéreis, porque corta realmente aquelas raízes fecundas sobre as quais se enxerta a árvore. Do individualismo indiferente nasce o culto da opulência, a que corresponde a cultura do descarte onde estamos imersos. Na realidade, temos demasiadas coisas, muitas vezes desnecessárias, mas já não somos capazes de construir relações humanas autênticas, caracterizadas pela verdade e o respeito mútuo. E assim temos hoje diante dos olhos a imagem duma Europa ferida pelas inúmeras provações do passado, mas também pelas crises do presente que parece incapaz de enfrentar com a vitalidade e a energia de outrora; uma Europa um pouco cansada e pessimista, que se sente assediada pelas novidades provenientes dos outros Continentes.
À Europa, podemos perguntar: Onde está o teu vigor? Onde está aquela tensão ideal que animou e fez grande a tua história? Onde está o teu espírito de curiosidade e empreendimento? Onde está a tua sede de verdade, que comunicaste com paixão ao mundo até agora?
Da resposta a estas perguntas dependerá o futuro do Continente. Aliás, voltando à imagem de Rebora, um tronco sem raízes pode continuar a ter aparência de vida, mas por dentro esvai-se e morre. A Europa deve reflectir se o seu imenso património humano, artístico, técnico, social, político, económico e religioso é um simples legado de museu do passado, ou se ainda é capaz de inspirar a cultura e descerrar os seus tesouros à humanidade inteira. Na resposta a esta questão, tem um papel de primária importância o Conselho da Europa, com as suas instituições.
Penso particularmente no papel do Tribunal Europeu dos Direitos do Homem, que constitui de certo modo a «consciência» da Europa no respeito dos direitos humanos. A minha esperança é que esta consciência mature cada vez mais, não por um mero consenso entre as partes, mas como fruto da tensão para aquelas raízes profundas que constituem os alicerces sobre os quais escolheram edificar os Pais fundadores da Europa contemporânea.
Juntamente com as raízes – que é preciso procurar, encontrar e manter vivas com o exercício diário da memória, pois constituem o património genético da Europa –, existem os actuais desafios do Continente que nos obrigam a uma criatividade contínua, para que estas raízes sejam fecundas nos dias de hoje e se projectem para as utopias do futuro. Permitam-me mencionar dois apenas: o desafio da multipolaridade e o da transversalidade.
A história da Europa pode levar-nos a concebê-la ingenuamente como uma bipolaridade ou, no máximo, um tripolaridade (pensemos na antiga concepção: Roma - Bizâncio - Moscovo) e, dentro deste esquema fruto de reducionismos geopolíticos hegemónicos, movermo-nos na interpretação do presente e na projecção para a utopia do futuro.
Hoje as coisas não estão assim e podemos, legitimamente, falar de uma Europa multipolar. As tensões – tanto aquelas que constroem como as que desagregam – verificam-se entre múltiplos pólos culturais, religiosos e políticos. Hoje, a Europa enfrenta o desafio de «globalizar» de forma original esta multipolaridade. As culturas não se identificam necessariamente com os países: alguns deles têm várias culturas, e algumas culturas exprimem-se em vários países. E o mesmo acontece com as expressões políticas, religiosas e associativas.
Globalizar de forma original a multipolaridade implica o desafio de uma harmonia construtiva, livre de hegemonias que, embora pragmaticamente pareçam facilitar o caminho, acabam por destruir a originalidade cultural e religiosa dos povos.
Falar da multipolaridade europeia significa falar de povos que nascem, crescem e se projectam para o futuro. A tarefa de globalizar a multipolaridade da Europa não a podemos imaginar com a figura da esfera – onde tudo é igual e ordenado, mas redutora porque cada ponto é equidistante do centro –, mas sim com a do poliedro, onde a unidade harmoniosa do todo conserva a singularidade de cada uma das partes. Hoje, a Europa é multipolar nas suas relações e tensões; não se pode pensar nem construir a Europa sem assumir profundamente esta realidade multipolar.
O outro desafio que gostaria de mencionar é a transversalidade. Parto duma experiência pessoal: nos encontros com os políticos de vários países da Europa, pude notar que os políticos jovens encaram a realidade duma perspectiva diferente da dos seus colegas mais idosos. Talvez digam coisas aparentemente semelhantes, mas a abordagem é diferente. Isto verifica-se nos jovens políticos dos diferentes partidos. Este dado empírico indica uma realidade da Europa actual, de que não se pode prescindir no caminho da consolidação do Continente e da sua projecção futura: ter em conta esta transversalidade que se observa em todas as áreas. Isto não se pode conseguir sem recorrer ao diálogo, nomeadamente intergeracional. Se hoje quiséssemos definir o Continente, deveríamos falar duma Europa dialogante que faz com que a transversalidade de opiniões e reflexões esteja ao serviço dos povos harmoniosamente unidos.
Assumir este caminho de comunicação transversal implica não só empatia geracional, mas também metodologia histórica de crescimento. No mundo político actual da Europa, resulta estéril o diálogo circunscrito apenas aos organismos (políticos, religiosos, culturais) a que se pertence. Hoje, a história pede a capacidade de sair para o encontro a partir das estruturas que «contêm» a própria identidade a fim de a tornar mais forte e mais fecunda no confronto fraterno da transversalidade. Uma Europa que dialogue apenas dentro dos grupos fechados a que se pertence fica a meia estrada; há necessidade do espírito juvenil que aceite o desafio da transversalidade.
Nesta perspectiva, congratulo-me com a vontade do Conselho da Europa de investir no diálogo intercultural, incluindo a sua dimensão religiosa, através dos Encontros sobre a dimensão religiosa do diálogo intercultural. Trata-se de uma ocasião profícua para um intercâmbio aberto, respeitoso e enriquecedor entre pessoas e grupos de diferente origem, tradição étnica, linguística e religiosa, num espírito de compreensão e respeito mútuo.
Tais encontros parecem ser particularmente importantes no actual ambiente multicultural, multipolar, em busca de um rosto próprio para conjugar, sapientemente, a identidade europeia formada ao longo dos séculos com as solicitações que chegam dos outros povos que agora assomam ao Continente.
Nesta lógica, se deve entender a contribuição que o cristianismo pode proporcionar, actualmente, ao desenvolvimento cultural e social europeu no âmbito duma correcta relação entre religião e sociedade. Na óptica cristã, razão e fé, religião e sociedade são chamadas a iluminar-se reciprocamente, apoiando-se uma à outra e, se necessário, purificando-se mutuamente dos extremismos ideológicos em que podem cair. A sociedade europeia inteira só pode beneficiar de uma revitalizada conexão entre os dois âmbitos, tanto para enfrentar um fundamentalismo religioso que é inimigo sobretudo de Deus, como para obstar a uma razão «reduzida» que não honra o homem.
Estou convencido de que pode haver mútuo enriquecimento num grande número de temas actuais, em que a Igreja Católica – especialmente através do Conselho das Conferências Episcopais da Europa (CCEE) – pode colaborar com o Conselho da Europa e prestar uma contribuição fundamental. Em primeiro lugar, à luz do que disse anteriormente, temos o âmbito duma reflexão ética sobre os direitos humanos, acerca dos quais muitas vezes a vossa Organização é chamada a reflectir. Penso, em particular, nos temas relacionados com a protecção da vida humana, questões sensíveis que precisam de ser submetidas a um exame cuidadoso que tenha em conta a verdade do ser humano integral, sem se limitar a específicos âmbitos médicos, científicos ou jurídicos.
De igual modo são numerosos os desafios do mundo contemporâneo que necessitam de estudo e de um empenhamento comum, a começar pelo acolhimento dos imigrantes, que precisam primariamente do essencial para viver, mas sobretudo que lhes seja reconhecida a sua dignidade de pessoas. Temos depois o grave problema do trabalho em toda a sua amplitude, especialmente pelos altos níveis de desemprego juvenil que se registam em muitos países – uma real hipoteca que grava sobre o futuro – mas também pela questão da dignidade do trabalho.
Espero vivamente que se instaure uma nova cooperação social e económica, livre de condicionalismos ideológicos, que saiba encarar o mundo globalizado, mantendo vivo o sentimento de solidariedade e caridade mútua que tanto caracterizou o rosto da Europa, graças à obra generosa de centenas de homens e mulheres – alguns considerados Santos pela Igreja Católica – que, ao longo dos séculos, se esforçaram por desenvolver o Continente seja através da actividade empresarial seja com obras de educação, de assistência e de promoção humana. Especialmente estas últimas constituem um importante ponto de referência para os numerosos pobres que vivem na Europa. E há tantos nas nossas estradas! Pedem não só o pão para se sustentarem, que é o mais elementar dos direitos, mas também para se redescobrir o valor da sua vida, que a pobreza tende a fazer esquecer, e reencontrar a dignidade conferida pelo trabalho.
Por fim, entre os temas que requerem a nossa reflexão e a nossa colaboração, temos a defesa do meio ambiente, desta nossa amada Terra, o grande recurso que Deus nos deu e está à nossa disposição, não para ser deturpada, explorada e vilipendiada, mas para que, gozando da sua beleza imensa, possamos viver com dignidade.
Senhora Presidente, Senhor Secretário-Geral, Excelências, Senhoras e Senhores!
O Beato Paulo VI definiu a Igreja «perita em humanidade» . No mundo, à imitação de Cristo, ela – apesar dos pecados dos seus filhos – nada mais procura que servir e dar testemunho da verdade . Nada mais, à excepção deste espírito, nos guia no apoio dado ao caminho da humanidade.
Com esta disposição de espírito, a Santa Sé pretende continuar a colaborar com o Conselho da Europa, que desempenha actualmente um papel fundamental para forjar a mentalidade das futuras gerações de europeus. Trata-se de realizar, juntos, uma reflexão a todo o campo, para que se estabeleça uma espécie de «nova ágora», na qual cada instância civil e religiosa possa livremente confrontar-se com as outras, naturalmente na separação dos âmbitos e na diversidade das posições, animada exclusivamente pelo desejo de verdade e de construir o bem comum. De facto, a cultura nasce sempre do encontro mútuo, tendente a estimular a riqueza intelectual e a criatividade de quantos nele participam; e isto, além de ser a actuação do bem, é beleza. Os meus votos à Europa são de que, redescobrindo o seu património histórico e a profundidade das suas raízes, assumindo a sua viva multipolaridade e o fenómeno da transversalidade dialogante, encontre novamente aquela juventude de espírito que a tornou fecunda e grande.
Obrigado!