Pubblichiamo la relazione del Patriarca nella conferenza all'Istituto italiano di Cultura di Istanbul per la commemorazione dell’incontro di Gerusalemme
BARTOLOMEO I*ISTANBUL
16 dicembre 2014.
Vostra Eccellenza Signor Ambasciatore Gianpaolo Scarante, Onorevole Mario Giro, Sottosegretario agli Affari Esteri, Onorevole Professor Andrea Riccardi, Stimatissima Professoressa Valeria Martano, Illustri Ospiti, Figli e Fratelli amati nel Signore,
Non sono ancora assopiti gli echi dei giorni benedetti dal Signore, in cui avevamo qui con noi, in questa città di Costantino, nella storica Sede del Primo Trono della Chiesa Ortodossa, il Patriarcato Ecumenico, il nostro amato Fratello, il Vescovo della Antica Roma, Papa Francesco. Giorni benedetti durante i quali abbiamo festeggiato assieme la festa dell'Apostolo Andrea, il Primo Chiamato, il fratello del Corifeo degli Apostoli, Pietro.
E questa visita è seguita ad altri incontri, primo tra i quali il Pellegrinaggio compiuto assieme in Terra Santa, nello scorso mese di maggio, in occasione del Cinquantesimo anniversario dell'Incontro di Gerusalemme tra Papa Paolo VI e il patriarca Ecumenico Atenagora, entrambi di beata memoria.
Ed è questo anniversario che vogliamo commemorare questa sera. Quell'incontro, voluto dal Signore, che nel gennaio 1964 vedeva ritrovarsi dopo secoli di silenzi, di accuse reciproche, due grandissime Guide del Cristianesimo contemporaneo, due figure diverse per certi aspetti, emblematiche, ma certamente sincere nel loro amore verso l'unico Signore e Principe della Pace, Gesù Cristo.
Momenti di quel glorioso avvenimento, con tutto ciò che lo ha preceduto e che lo ha seguito, sono stati analizzati con grande rigore storico dalla Professoressa Valeria Martano, nella sua opera «L’abbraccio di Gerusalemme», così come in altri testi della stessa Autrice, e anche dal Professor Andrea Riccardi - la presenza di entrambi ci onora questa sera -, e li ringraziamo soprattutto per la loro passione sincera per la ricerca storica, analitica, profonda, essenziale.
Permettete quindi anche alla nostra Persona, quale umile successore del Santissimo Patriarca Atenagora, di guardare a quel fatto, che ha cambiato il mondo delle relazioni tra Oriente ed Occidente, principalmente con l'occhio spirituale della fede.
Nella sua filantropia, il Signore ricco di misericordia ha guardato alla debolezza della sua Chiesa e lo Spirito ha soffiato un soffio vitale, nuovo, tale da rivivificare l'atteggiamento tra di noi. E poiché l'intervento dello Spirito Santo nella storia dell'uomo, non priva l'uomo stesso della sua libertà, esso tuttavia lo incoraggia a ricercare le vie di Dio. E così Oriente ed Occidente si sono messi in pellegrinaggio "per condurci, sotto la guida dello Spirito Santo, a tutta la verità". (Gv. 16-13, Dichiarazione Comune).
L'anelito per l'unità percorreva da anni tutto il mondo cristiano. Nelle Conferenze di Losanna (1927) e di Edimburgo (1937) si ponevano le basi del futuro Movimento Ecumenico, ma già due importanti Encicliche del Patriarcato Ecumenico avevano in precedenza posto il problema dell'unità, nel mondo ortodosso. Nel1902 la Enciclica del Patriarca Gioacchino III, oltre a rivolgere un appello per una maggior collaborazione tra le Sante Chiese Ortodosse Autocefale, esprime un caloroso invito «a trovare delle vie di incontro con le due grandi viti del Cristianesimo, la Chiesa Occidentale e quella dei Protestanti». Successivamente, nel 1920, una nuova Enciclica ha grande risonanza nel mondo cristiano, a firma del Locum Tenens del Patriarcato Ecumenico, il Metropolita Doroteo di Brussa e del Santo Sinodo, rivolta «a tutte ovunque le Chiese di Cristo», vero programma di sollecitudine e amore, affinché il comandamento del Signore «ut unum sint», divenisse pietra d'angolo nelle relazioni tra le Chiese. Da molti anni Costantinopoli guarda con attenzione a Roma. Ad accrescere questa attenzione ha contribuito successivamente, in modo radicale, il Delegato Apostolico a Istanbul, Mons. Angelo Roncalli.
L’avvento del Patriarca Ecumenico Atenagora sul trono di Sant’Andrea, sarà foriero di un nuovo anelito alla causa dell'unità. Tutta la vita di questo nostro amato Predecessore è costellata dal dialogo con tutti e a ogni costo. La sua storia personale, la sua capacità di dialogo e di relazione, la sua visione - se vogliamo quasi utopica per quegli anni-, dell'unità delle Chiese, la sua azione profetica, prepareranno il grande incontro di Gerusalemme.
La salita al trono della Antica Roma di Papa Giovanni XXIII, il suo programma, l'attenzione ai "fratelli separati", sono a sua volta forieri di grandi speranze in un mondo che sta rapidamente cambiando e al quale le Chiese Cristiane non possono più, non prestare la dovuta attenzione.
Anche il sogno nostalgico del Patriarca Atenagora per la convocazione di una grande assise inter-cristiana, sembra trovare eco al momento dell'annuncio della convocazione di un Concilio Ecumenico. Egli è certo di trovarsi di fronte alla risposta della Chiesa di Roma alla Enciclica del 1920 e non può che gioire e pensare ad una partecipazione pan-ortodossa a questa Assemblea, nonostante le numerose voci contrarie e contrastanti.
Quando furono più chiare le intenzioni del Concilio Vaticano Secondo, - intenzioni che apparivano un ridimensionamento dell'annuncio di Giovanni XXIII, - il Patriarca Atenagora non abbandona il suo fermo proposito di trovare modi di contatto con la Antica Chiesa di Roma, ed evidenzia tale proposito durante il suo pellegrinaggio prima tra gli Antichi Patriarcati del Medio Oriente e successivamente durante la visita ad alcune Chiese Ortodosse Autocefale e nelle visite dei vari Patriarchi al Fanar. Tanti segni, tante motivazioni di incontro sono il soffio dello Spirito, un soffio nuovo che, - nonostante le voci che da entrambe le parti cercano di smussare i facili entusiasmi, - non può più essere arrestato.
La scomparsa di Giovanni XXIII apre nuovi scenari e anche nuovi interrogativi sulla via dell'incontro. La elezione di papa Paolo VI è subito contrassegnata da un evento, interrotto da secoli e che risponde agli interrogativi: l'invio di lettere ireniche per la sua elezione al trono della Antica Roma ai Patriarchi delle Chiese d'Oriente, come era consuetudine, indica subito un modo nuovo di ricercare il cammino comune.
Papa Paolo VI era conosciuto in Oriente per la sua profonda spiritualità; uomo schivo ma permeato dalla preghiera e dalla Parola di Dio; un vescovo che, - soprattutto negli anni passati sulla Cattedra di Sant’Ambrogio a Milano -, si era fatto conoscere per la sua disciplina amorevole ed evangelica, con se stesso e nei confronti di tutti.
Quando Papa Paolo VI, a tre mesi dalla sua elezione, annuncia di volersi recare in Terra Santa, come pellegrino, alle fonti dell'annuncio evangelico, primo papa nella storia della Chiesa -, il Patriarca Atenagora percepisce subito la portata storica dell'evento, segno della benevolenza di Dio, un soffio della Sua grazia. Egli vede in questo pellegrinaggio la necessità ed il desiderio che tutti i Primati delle Chiese Ortodosse si uniscano a Lui in un grande pellegrinaggio comune, per ritrovarsi insieme a Gerusalemme con i cristiani d'Occidente, alla unica fonte di salvezza, pellegrini nella Città Santa.
Ma i tempi di Dio non sono i tempi degli uomini. Non tutti sono d'accordo col Patriarca Atenagora, come non tutti vedono di buon occhio la scelta di Paolo VI. Ma questi due grandi atleti di Cristo non demordono da quella strada, testimoni del comandamento del Signore.
Cosa avvenne poi a Gerusalemme lo conosciamo bene, molto è stato scritto, la commozione, l'amore vicendevole, l'entusiasmo generale, anche se erano i primi timidi passi. Non ripercorreremo questa sera tutto questo, ma vogliamo invece soffermarci brevemente sul momento più privato, vissuto da queste due grandi figure della Chiesa. Ed è quel momento così intimo che, - per quelle vie che il Signore ci conduce -, per un disguido tecnico, è diventato pubblico. Il colloquio privato tra Papa Paolo VI ed il Patriarca Atenagora nella Delegazione Apostolica di Gerusalemme presenta una visione tutta spirituale, di fede profonda, di abbandono ai disegni di Dio, precursore di tempi nuovi, fulcro di tutti gli interventi ufficiali dell'incontro di Gerusalemme nel gennaio 1964.
E questo colloquio, poi conosciuto dal mondo, è la vera commemorazione di quello storico incontro. Il ripercorrerlo ci indica la portata dell’avvenimento.
Il primo atteggiamento è di stupore, la certezza «di trovarsi alla presenza di Dio, ...di fare la volontà di Dio, ...di parlare con Dio». Quasi in modo inconscio questi due grandi Padri del Cristianesimo attuale sanno di essere l'un l'altro al cospetto di Dio, una emozione talmente forte da esclamare: «Mi vengono le lacrime agli occhi…» (Atenagora). Soli, l'uno a fianco dell'altro, consci della loro responsabilità di fronte alle rispettive Chiese, al mondo, ma soprattutto rispettosi l'uno dell'altro. Commossi, non come si commuove il mondo, ma con una intima commozione. Certi di essere alla presenza di Dio, hanno un solo desiderio: «di andare avanti…», «…di fare avanzare le vie di Dio» (Paolo VI). «Abbiamo lo stesso desiderio…», «La Provvidenza ci ha scelto per intenderei…».
Non sono espressioni della diplomazia o della cortesia ecclesiastica. Esse sono il compimento di ciò che altri hanno abbozzato prima e altri ancora continueranno dopo. Ma quel momento è lo spartiacque tra il «già e non ancora». È il cammino verso il Golgota, non facile certamente, impervio, ma che alla Crocifissione ha fatto seguire la Resurrezione dopo tre giorni.
Segue la lealtà, la fiducia, l'essere l'uno a fianco dell'altro. Non vi è traccia in loro del vecchio linguaggio, ormai superato dalla preghiera del cuore. E' la preghiera del fratello per il fratello; preghiera che si fa cammino, intrinseca nel cuore di entrambi. Il Patriarca chiamerà Paolo VI «megalokardos», il Papa dal grande cuore. È il cuore che li fa strumento dell'azione dello Spirito Santo, obbedienti alla volontà di Dio. Entrambi scelti da Dio. Entrambi a loro modo coscienti anche di essere soli, di doversi scrollare una difficile eredità: "Una suscettibilità, una mentalità... una psicologia", ma fiduciosi.
Non vi è traccia di umano egoismo in loro, ma solo desiderio di servire Gesù Cristo. E appare già il poi... «studiare assieme…» e quindi il Corpo di Cristo, la Chiesa, entrambi certi di voler comprendere anche nei punti in disaccordo, «… quello che deriva dal Vangelo, dalla volontà di Dio e dalla autentica Tradizione».
Questo dialogo è tutto improntato sulla volontà di servire, nell'amore di Gesù Cristo, nell'ascolto l'uno dell'altro. E questo amore di fare la volontà di Gesù Cristo è talmente forte che non ha «alcuna umana ambizione di prevalere, di avere gloria, vantaggi, ma di servire».
Questi pochi pensieri di queste grandi colonne delle nostre Chiese sono la eredità spirituale dell'incontro di Gerusalemme. Nulla più potrà essere come prima. Sono state tolte le rispettive scomuniche, ci sono stati incontri a Roma e a Costantinopoli; è iniziato il dialogo teologico; vi è stata la restituzione di Sante Reliquie e Sante Icone.
Papa Paolo VI con il Concilio Vaticano II ha fatto vivere una nuova primavera alla Chiesa in Occidente e il Patriarca Atenagora, con la sua tenace pazienza, ha portato le Chiese Ortodosse a una più profonda sinfonia. Siamo eredi e debitori di quell’incontro.
Il pellegrinaggio che abbiamo fatto insieme con Papa Francesco a Gerusalemme, nell'anniversario di quell'inizio, ci ha portato a pregare assieme al Santo Sepolcro, alla Basilica della Anastasis, e da lì a parlare insieme al mondo. La nostra dichiarazione congiunta qaGerusalemme come ora a Costantinopoli, sono un inno di gioia al Dio Tre volte Santo e un impegno ancora maggiore sulla via spirituale, indicata dai nostri santi Predecessori, ed una testimonianza che il nostro incontro vuole solo fare la volontà del Signore, fare dialogo, rispettare l'uomo, il creato, il cosmo.
A coloro che ancora vedono pericoli nel dialogo, chiusi nella paura dell'altro, nel quale cercano la pagliuzza senza vedere la trave nel loro occhio, rispondiamo con l'esempio dei nostri Predecessori, che hanno avuto il coraggio di percorrere la via stretta.
Il dialogo è libertà, non è perdita di identità, per questo «la Verità ci rende liberi» e a questa Verità è chiamata la sinfonia delle nostre Sante Chiese Ortodosse a riunirsi - a Dio piacendo - in questa Città, già sede di Concili Ecumenici - nel Grande e Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa nell'anno 2016, per proclamare insieme il dovere di continuare il dialogo nella verità, affinché "tutti siano uno».
*
Paolo e Atenagora, un abbraccio tra fratelli
Avvenire
Vostra Eccellenza Signor Ambasciatore Gianpaolo Scarante, Onorevole Mario Giro, Sottosegretario agli Affari Esteri, Onorevole Professor Andrea Riccardi, Stimatissima Professoressa Valeria Martano, Illustri Ospiti, Figli e Fratelli amati nel Signore,
Non sono ancora assopiti gli echi dei giorni benedetti dal Signore, in cui avevamo qui con noi, in questa città di Costantino, nella storica Sede del Primo Trono della Chiesa Ortodossa, il Patriarcato Ecumenico, il nostro amato Fratello, il Vescovo della Antica Roma, Papa Francesco. Giorni benedetti durante i quali abbiamo festeggiato assieme la festa dell'Apostolo Andrea, il Primo Chiamato, il fratello del Corifeo degli Apostoli, Pietro.
E questa visita è seguita ad altri incontri, primo tra i quali il Pellegrinaggio compiuto assieme in Terra Santa, nello scorso mese di maggio, in occasione del Cinquantesimo anniversario dell'Incontro di Gerusalemme tra Papa Paolo VI e il patriarca Ecumenico Atenagora, entrambi di beata memoria.
Ed è questo anniversario che vogliamo commemorare questa sera. Quell'incontro, voluto dal Signore, che nel gennaio 1964 vedeva ritrovarsi dopo secoli di silenzi, di accuse reciproche, due grandissime Guide del Cristianesimo contemporaneo, due figure diverse per certi aspetti, emblematiche, ma certamente sincere nel loro amore verso l'unico Signore e Principe della Pace, Gesù Cristo.
Momenti di quel glorioso avvenimento, con tutto ciò che lo ha preceduto e che lo ha seguito, sono stati analizzati con grande rigore storico dalla Professoressa Valeria Martano, nella sua opera «L’abbraccio di Gerusalemme», così come in altri testi della stessa Autrice, e anche dal Professor Andrea Riccardi - la presenza di entrambi ci onora questa sera -, e li ringraziamo soprattutto per la loro passione sincera per la ricerca storica, analitica, profonda, essenziale.
Permettete quindi anche alla nostra Persona, quale umile successore del Santissimo Patriarca Atenagora, di guardare a quel fatto, che ha cambiato il mondo delle relazioni tra Oriente ed Occidente, principalmente con l'occhio spirituale della fede.
Nella sua filantropia, il Signore ricco di misericordia ha guardato alla debolezza della sua Chiesa e lo Spirito ha soffiato un soffio vitale, nuovo, tale da rivivificare l'atteggiamento tra di noi. E poiché l'intervento dello Spirito Santo nella storia dell'uomo, non priva l'uomo stesso della sua libertà, esso tuttavia lo incoraggia a ricercare le vie di Dio. E così Oriente ed Occidente si sono messi in pellegrinaggio "per condurci, sotto la guida dello Spirito Santo, a tutta la verità". (Gv. 16-13, Dichiarazione Comune).
L'anelito per l'unità percorreva da anni tutto il mondo cristiano. Nelle Conferenze di Losanna (1927) e di Edimburgo (1937) si ponevano le basi del futuro Movimento Ecumenico, ma già due importanti Encicliche del Patriarcato Ecumenico avevano in precedenza posto il problema dell'unità, nel mondo ortodosso. Nel1902 la Enciclica del Patriarca Gioacchino III, oltre a rivolgere un appello per una maggior collaborazione tra le Sante Chiese Ortodosse Autocefale, esprime un caloroso invito «a trovare delle vie di incontro con le due grandi viti del Cristianesimo, la Chiesa Occidentale e quella dei Protestanti». Successivamente, nel 1920, una nuova Enciclica ha grande risonanza nel mondo cristiano, a firma del Locum Tenens del Patriarcato Ecumenico, il Metropolita Doroteo di Brussa e del Santo Sinodo, rivolta «a tutte ovunque le Chiese di Cristo», vero programma di sollecitudine e amore, affinché il comandamento del Signore «ut unum sint», divenisse pietra d'angolo nelle relazioni tra le Chiese. Da molti anni Costantinopoli guarda con attenzione a Roma. Ad accrescere questa attenzione ha contribuito successivamente, in modo radicale, il Delegato Apostolico a Istanbul, Mons. Angelo Roncalli.
L’avvento del Patriarca Ecumenico Atenagora sul trono di Sant’Andrea, sarà foriero di un nuovo anelito alla causa dell'unità. Tutta la vita di questo nostro amato Predecessore è costellata dal dialogo con tutti e a ogni costo. La sua storia personale, la sua capacità di dialogo e di relazione, la sua visione - se vogliamo quasi utopica per quegli anni-, dell'unità delle Chiese, la sua azione profetica, prepareranno il grande incontro di Gerusalemme.
La salita al trono della Antica Roma di Papa Giovanni XXIII, il suo programma, l'attenzione ai "fratelli separati", sono a sua volta forieri di grandi speranze in un mondo che sta rapidamente cambiando e al quale le Chiese Cristiane non possono più, non prestare la dovuta attenzione.
Anche il sogno nostalgico del Patriarca Atenagora per la convocazione di una grande assise inter-cristiana, sembra trovare eco al momento dell'annuncio della convocazione di un Concilio Ecumenico. Egli è certo di trovarsi di fronte alla risposta della Chiesa di Roma alla Enciclica del 1920 e non può che gioire e pensare ad una partecipazione pan-ortodossa a questa Assemblea, nonostante le numerose voci contrarie e contrastanti.
Quando furono più chiare le intenzioni del Concilio Vaticano Secondo, - intenzioni che apparivano un ridimensionamento dell'annuncio di Giovanni XXIII, - il Patriarca Atenagora non abbandona il suo fermo proposito di trovare modi di contatto con la Antica Chiesa di Roma, ed evidenzia tale proposito durante il suo pellegrinaggio prima tra gli Antichi Patriarcati del Medio Oriente e successivamente durante la visita ad alcune Chiese Ortodosse Autocefale e nelle visite dei vari Patriarchi al Fanar. Tanti segni, tante motivazioni di incontro sono il soffio dello Spirito, un soffio nuovo che, - nonostante le voci che da entrambe le parti cercano di smussare i facili entusiasmi, - non può più essere arrestato.
La scomparsa di Giovanni XXIII apre nuovi scenari e anche nuovi interrogativi sulla via dell'incontro. La elezione di papa Paolo VI è subito contrassegnata da un evento, interrotto da secoli e che risponde agli interrogativi: l'invio di lettere ireniche per la sua elezione al trono della Antica Roma ai Patriarchi delle Chiese d'Oriente, come era consuetudine, indica subito un modo nuovo di ricercare il cammino comune.
Papa Paolo VI era conosciuto in Oriente per la sua profonda spiritualità; uomo schivo ma permeato dalla preghiera e dalla Parola di Dio; un vescovo che, - soprattutto negli anni passati sulla Cattedra di Sant’Ambrogio a Milano -, si era fatto conoscere per la sua disciplina amorevole ed evangelica, con se stesso e nei confronti di tutti.
Quando Papa Paolo VI, a tre mesi dalla sua elezione, annuncia di volersi recare in Terra Santa, come pellegrino, alle fonti dell'annuncio evangelico, primo papa nella storia della Chiesa -, il Patriarca Atenagora percepisce subito la portata storica dell'evento, segno della benevolenza di Dio, un soffio della Sua grazia. Egli vede in questo pellegrinaggio la necessità ed il desiderio che tutti i Primati delle Chiese Ortodosse si uniscano a Lui in un grande pellegrinaggio comune, per ritrovarsi insieme a Gerusalemme con i cristiani d'Occidente, alla unica fonte di salvezza, pellegrini nella Città Santa.
Ma i tempi di Dio non sono i tempi degli uomini. Non tutti sono d'accordo col Patriarca Atenagora, come non tutti vedono di buon occhio la scelta di Paolo VI. Ma questi due grandi atleti di Cristo non demordono da quella strada, testimoni del comandamento del Signore.
Cosa avvenne poi a Gerusalemme lo conosciamo bene, molto è stato scritto, la commozione, l'amore vicendevole, l'entusiasmo generale, anche se erano i primi timidi passi. Non ripercorreremo questa sera tutto questo, ma vogliamo invece soffermarci brevemente sul momento più privato, vissuto da queste due grandi figure della Chiesa. Ed è quel momento così intimo che, - per quelle vie che il Signore ci conduce -, per un disguido tecnico, è diventato pubblico. Il colloquio privato tra Papa Paolo VI ed il Patriarca Atenagora nella Delegazione Apostolica di Gerusalemme presenta una visione tutta spirituale, di fede profonda, di abbandono ai disegni di Dio, precursore di tempi nuovi, fulcro di tutti gli interventi ufficiali dell'incontro di Gerusalemme nel gennaio 1964.
E questo colloquio, poi conosciuto dal mondo, è la vera commemorazione di quello storico incontro. Il ripercorrerlo ci indica la portata dell’avvenimento.
Il primo atteggiamento è di stupore, la certezza «di trovarsi alla presenza di Dio, ...di fare la volontà di Dio, ...di parlare con Dio». Quasi in modo inconscio questi due grandi Padri del Cristianesimo attuale sanno di essere l'un l'altro al cospetto di Dio, una emozione talmente forte da esclamare: «Mi vengono le lacrime agli occhi…» (Atenagora). Soli, l'uno a fianco dell'altro, consci della loro responsabilità di fronte alle rispettive Chiese, al mondo, ma soprattutto rispettosi l'uno dell'altro. Commossi, non come si commuove il mondo, ma con una intima commozione. Certi di essere alla presenza di Dio, hanno un solo desiderio: «di andare avanti…», «…di fare avanzare le vie di Dio» (Paolo VI). «Abbiamo lo stesso desiderio…», «La Provvidenza ci ha scelto per intenderei…».
Non sono espressioni della diplomazia o della cortesia ecclesiastica. Esse sono il compimento di ciò che altri hanno abbozzato prima e altri ancora continueranno dopo. Ma quel momento è lo spartiacque tra il «già e non ancora». È il cammino verso il Golgota, non facile certamente, impervio, ma che alla Crocifissione ha fatto seguire la Resurrezione dopo tre giorni.
Segue la lealtà, la fiducia, l'essere l'uno a fianco dell'altro. Non vi è traccia in loro del vecchio linguaggio, ormai superato dalla preghiera del cuore. E' la preghiera del fratello per il fratello; preghiera che si fa cammino, intrinseca nel cuore di entrambi. Il Patriarca chiamerà Paolo VI «megalokardos», il Papa dal grande cuore. È il cuore che li fa strumento dell'azione dello Spirito Santo, obbedienti alla volontà di Dio. Entrambi scelti da Dio. Entrambi a loro modo coscienti anche di essere soli, di doversi scrollare una difficile eredità: "Una suscettibilità, una mentalità... una psicologia", ma fiduciosi.
Non vi è traccia di umano egoismo in loro, ma solo desiderio di servire Gesù Cristo. E appare già il poi... «studiare assieme…» e quindi il Corpo di Cristo, la Chiesa, entrambi certi di voler comprendere anche nei punti in disaccordo, «… quello che deriva dal Vangelo, dalla volontà di Dio e dalla autentica Tradizione».
Questo dialogo è tutto improntato sulla volontà di servire, nell'amore di Gesù Cristo, nell'ascolto l'uno dell'altro. E questo amore di fare la volontà di Gesù Cristo è talmente forte che non ha «alcuna umana ambizione di prevalere, di avere gloria, vantaggi, ma di servire».
Questi pochi pensieri di queste grandi colonne delle nostre Chiese sono la eredità spirituale dell'incontro di Gerusalemme. Nulla più potrà essere come prima. Sono state tolte le rispettive scomuniche, ci sono stati incontri a Roma e a Costantinopoli; è iniziato il dialogo teologico; vi è stata la restituzione di Sante Reliquie e Sante Icone.
Papa Paolo VI con il Concilio Vaticano II ha fatto vivere una nuova primavera alla Chiesa in Occidente e il Patriarca Atenagora, con la sua tenace pazienza, ha portato le Chiese Ortodosse a una più profonda sinfonia. Siamo eredi e debitori di quell’incontro.
Il pellegrinaggio che abbiamo fatto insieme con Papa Francesco a Gerusalemme, nell'anniversario di quell'inizio, ci ha portato a pregare assieme al Santo Sepolcro, alla Basilica della Anastasis, e da lì a parlare insieme al mondo. La nostra dichiarazione congiunta qaGerusalemme come ora a Costantinopoli, sono un inno di gioia al Dio Tre volte Santo e un impegno ancora maggiore sulla via spirituale, indicata dai nostri santi Predecessori, ed una testimonianza che il nostro incontro vuole solo fare la volontà del Signore, fare dialogo, rispettare l'uomo, il creato, il cosmo.
A coloro che ancora vedono pericoli nel dialogo, chiusi nella paura dell'altro, nel quale cercano la pagliuzza senza vedere la trave nel loro occhio, rispondiamo con l'esempio dei nostri Predecessori, che hanno avuto il coraggio di percorrere la via stretta.
Il dialogo è libertà, non è perdita di identità, per questo «la Verità ci rende liberi» e a questa Verità è chiamata la sinfonia delle nostre Sante Chiese Ortodosse a riunirsi - a Dio piacendo - in questa Città, già sede di Concili Ecumenici - nel Grande e Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa nell'anno 2016, per proclamare insieme il dovere di continuare il dialogo nella verità, affinché "tutti siano uno».
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Paolo e Atenagora, un abbraccio tra fratelli
Avvenire
(Andrea Riccardi) Nessun negoziato. Nessun risultato, se vogliamo, solo un abbraccio a Gerusalemme tra Paolo VI e Atenagora. Già il viaggio di Paolo VI in Terra Santa aveva un valore simbolico: una Chiesa centrata su Gerusalemme, sulle radici evangeliche e bibliche, sulla forza debole delle sue povere origini. Non il ritorno a Roma (che veniva chiesto ai cristiani non cattolici), ma il papa di Roma che si disloca a Gerusalemme: ma così non poteva essere senza l’incontro con il patriarca. Non solo per superare secoli di inimicizia, ma soprattutto quell’ignoranza dell’altro che caratterizzava la mentalità di allora. Non poteva esserci ritorno alle radici senza l’abbraccio.