sabato 20 dicembre 2014

Bartolomeo I sull’abbraccio Paolo VI-Atenagora: «Siamo eredi e debitori»



Pubblichiamo la relazione del Patriarca nella conferenza all'Istituto italiano di Cultura di Istanbul per la commemorazione dell’incontro di Gerusalemme

BARTOLOMEO I*ISTANBUL
16 dicembre 2014.

Vostra Eccellenza Signor Ambasciatore Gianpaolo Scarante, Onorevole Mario Giro, Sottosegretario agli Affari Esteri, Onorevole Professor  Andrea  Riccardi, Stimatissima Professoressa  Valeria Martano, Illustri Ospiti, Figli e Fratelli amati nel Signore,
Non sono ancora assopiti gli echi dei giorni benedetti dal Signore, in cui avevamo qui con noi, in questa città di Costantino, nella storica Sede del Primo Trono della Chiesa   Ortodossa, il Patriarcato Ecumenico, il nostro amato Fratello, il Vescovo della Antica  Roma, Papa Francesco. Giorni benedetti durante i quali abbiamo festeggiato assieme la festa dell'Apostolo Andrea, il Primo Chiamato, il fratello del Corifeo degli Apostoli, Pietro.
E questa visita è seguita ad altri incontri, primo tra i quali il Pellegrinaggio compiuto assieme in Terra Santa, nello scorso mese di maggio, in occasione del Cinquantesimo anniversario dell'Incontro di Gerusalemme tra Papa Paolo VI e il patriarca Ecumenico Atenagora, entrambi di beata memoria.

Ed è questo anniversario che vogliamo commemorare questa sera. Quell'incontro, voluto dal Signore, che nel gennaio 1964 vedeva ritrovarsi dopo secoli di silenzi, di accuse reciproche, due grandissime Guide del Cristianesimo contemporaneo, due figure diverse  per certi aspetti, emblematiche, ma certamente sincere nel loro amore verso l'unico Signore  e Principe della  Pace, Gesù Cristo.

Momenti di quel glorioso avvenimento, con tutto ciò che lo ha preceduto e che lo ha  seguito, sono stati analizzati con grande rigore storico dalla Professoressa Valeria Martano,  nella sua opera «L’abbraccio di Gerusalemme», così come in altri testi della stessa Autrice, e anche dal Professor Andrea Riccardi - la  presenza   di  entrambi   ci onora  questa  sera  -, e  li ringraziamo soprattutto per la loro passione sincera per la ricerca storica, analitica, profonda, essenziale.

Permettete  quindi  anche alla nostra  Persona, quale umile successore del Santissimo  Patriarca  Atenagora, di guardare a quel fatto, che ha cambiato il mondo delle relazioni tra Oriente ed Occidente, principalmente con l'occhio spirituale della fede.

Nella sua  filantropia, il Signore ricco di  misericordia ha guardato alla debolezza  della sua Chiesa e lo Spirito ha soffiato un soffio vitale, nuovo, tale da rivivificare l'atteggiamento tra  di noi. E poiché l'intervento dello  Spirito Santo  nella  storia  dell'uomo, non  priva  l'uomo  stesso  della  sua  libertà,  esso tuttavia  lo incoraggia  a ricercare le vie di Dio. E così Oriente  ed Occidente  si sono messi in pellegrinaggio "per  condurci, sotto la guida dello Spirito Santo, a tutta la verità". (Gv. 16-13, Dichiarazione Comune).

L'anelito  per l'unità  percorreva  da anni tutto il mondo  cristiano. Nelle Conferenze  di Losanna  (1927) e di Edimburgo (1937) si ponevano le basi del futuro  Movimento  Ecumenico, ma già due importanti Encicliche del Patriarcato Ecumenico  avevano in  precedenza  posto  il problema  dell'unità, nel  mondo ortodosso.  Nel1902 la Enciclica del Patriarca Gioacchino III, oltre a rivolgere un appello   per   una   maggior    collaborazione   tra   le  Sante   Chiese   Ortodosse Autocefale, esprime  un  caloroso  invito  «a  trovare  delle vie di incontro  con le due   grandi   viti   del   Cristianesimo,    la   Chiesa   Occidentale    e   quella   dei Protestanti».  Successivamente,  nel   1920,  una   nuova   Enciclica  ha   grande risonanza   nel  mondo   cristiano,  a  firma  del  Locum  Tenens  del  Patriarcato Ecumenico, il Metropolita  Doroteo di Brussa e del Santo Sinodo, rivolta «a tutte ovunque  le  Chiese  di  Cristo»,   vero  programma  di  sollecitudine  e  amore, affinché il comandamento del Signore «ut unum sint», divenisse  pietra d'angolo nelle relazioni tra le Chiese. Da molti anni Costantinopoli guarda  con attenzione a Roma. Ad accrescere   questa  attenzione   ha contribuito successivamente, in modo radicale, il Delegato Apostolico a Istanbul, Mons. Angelo Roncalli.

L’avvento del Patriarca  Ecumenico Atenagora  sul trono  di Sant’Andrea, sarà foriero  di  un  nuovo  anelito  alla causa  dell'unità. Tutta  la vita di questo nostro amato Predecessore è costellata dal dialogo con tutti e a ogni costo. La sua storia personale,  la sua capacità di dialogo e di relazione, la sua visione - se vogliamo quasi utopica  per quegli anni-, dell'unità delle Chiese, la sua azione profetica, prepareranno il grande incontro di Gerusalemme.

La salita  al  trono  della  Antica  Roma  di  Papa  Giovanni   XXIII, il suo programma, l'attenzione ai "fratelli separati", sono a sua volta forieri di grandi speranze  in un mondo che sta rapidamente cambiando e al quale le Chiese Cristiane non possono  più, non prestare la dovuta  attenzione.

Anche il sogno nostalgico del Patriarca Atenagora per la convocazione di una grande  assise inter-cristiana, sembra trovare eco al momento dell'annuncio della convocazione  di un Concilio Ecumenico. Egli è certo di trovarsi  di fronte alla risposta  della Chiesa di Roma alla Enciclica del 1920 e non può che gioire e pensare  ad  una  partecipazione pan-ortodossa a questa  Assemblea,  nonostante le  numerose  voci  contrarie   e  contrastanti.

Quando  furono  più   chiare   le intenzioni  del Concilio Vaticano Secondo, - intenzioni che apparivano un ridimensionamento dell'annuncio di  Giovanni  XXIII, - il Patriarca  Atenagora non abbandona il suo fermo proposito  di trovare modi di contatto  con la Antica Chiesa  di  Roma,  ed  evidenzia   tale  proposito   durante il suo  pellegrinaggio prima tra gli Antichi Patriarcati  del Medio Oriente e successivamente durante la visita ad alcune Chiese Ortodosse Autocefale  e nelle visite dei vari Patriarchi al Fanar. Tanti segni, tante motivazioni di incontro  sono il soffio dello Spirito, un soffio  nuovo  che,  -  nonostante le  voci  che  da  entrambe le  parti  cercano  di smussare  i facili entusiasmi, - non può più essere arrestato.

La  scomparsa  di  Giovanni   XXIII apre  nuovi  scenari  e  anche  nuovi interrogativi sulla via dell'incontro. La elezione di papa  Paolo VI è subito contrassegnata   da   un   evento,   interrotto  da   secoli   e   che   risponde   agli interrogativi: l'invio  di lettere ireniche per la sua elezione  al trono  della Antica Roma ai Patriarchi  delle Chiese d'Oriente, come era consuetudine, indica subito un modo nuovo di ricercare il cammino comune.

Papa Paolo VI era conosciuto  in Oriente  per la sua profonda spiritualità; uomo schivo  ma  permeato dalla  preghiera  e dalla  Parola  di Dio; un  vescovo  che, - soprattutto negli anni passati sulla Cattedra di Sant’Ambrogio  a Milano -, si era fatto conoscere per la sua disciplina  amorevole  ed evangelica, con se stesso e nei confronti di tutti.

Quando Papa Paolo VI, a tre mesi dalla sua elezione, annuncia  di volersi recare  in  Terra  Santa,  come  pellegrino,  alle  fonti  dell'annuncio  evangelico, primo  papa  nella storia  della Chiesa -, il Patriarca  Atenagora percepisce subito la portata  storica  dell'evento, segno  della  benevolenza di Dio, un  soffio della Sua grazia.  Egli vede  in questo  pellegrinaggio la necessità  ed  il desiderio  che tutti   i  Primati   delle   Chiese   Ortodosse  si  uniscano   a  Lui   in un   grande pellegrinaggio comune,  per ritrovarsi  insieme a Gerusalemme con i cristiani d'Occidente, alla unica fonte di salvezza, pellegrini nella Città Santa.

Ma  i  tempi  di  Dio  non  sono  i  tempi  degli  uomini.   Non  tutti  sono d'accordo col Patriarca  Atenagora,  come  non  tutti  vedono  di  buon  occhio la scelta  di  Paolo  VI. Ma questi  due  grandi  atleti  di  Cristo  non  demordono da quella strada,  testimoni del comandamento del Signore.

Cosa  avvenne   poi  a Gerusalemme lo  conosciamo  bene,  molto  è stato scritto,  la commozione, l'amore   vicendevole,  l'entusiasmo generale,  anche  se erano  i primi  timidi  passi.  Non  ripercorreremo questa  sera  tutto  questo,  ma vogliamo  invece soffermarci  brevemente sul momento più  privato,  vissuto  da queste due grandi figure della Chiesa. Ed è quel momento così intimo che, - per quelle  vie che il Signore  ci conduce  -, per  un  disguido tecnico, è  diventato pubblico. Il colloquio privato  tra Papa Paolo VI ed il Patriarca  Atenagora  nella Delegazione  Apostolica  di Gerusalemme presenta  una  visione  tutta  spirituale, di fede profonda, di abbandono ai disegni  di Dio, precursore di tempi  nuovi, fulcro di tutti  gli interventi ufficiali dell'incontro di Gerusalemme nel gennaio 1964.

E  questo  colloquio, poi  conosciuto  dal  mondo,   è  la  vera commemorazione di quello storico incontro. Il ripercorrerlo ci indica la portata dell’avvenimento.

Il primo atteggiamento è di stupore,  la certezza «di trovarsi alla presenza di  Dio,  ...di fare  la  volontà  di  Dio, ...di parlare  con  Dio». Quasi  in  modo inconscio questi due grandi  Padri del Cristianesimo attuale sanno di essere l'un l'altro  al  cospetto   di  Dio,  una  emozione   talmente  forte  da  esclamare:  «Mi vengono  le lacrime  agli  occhi…» (Atenagora).  Soli, l'uno  a fianco  dell'altro, consci della loro responsabilità di fronte alle rispettive Chiese, al mondo, ma soprattutto rispettosi  l'uno  dell'altro. Commossi,  non  come  si  commuove  il mondo,  ma con una  intima  commozione.  Certi di essere alla presenza  di Dio, hanno  un  solo  desiderio:  «di  andare  avanti…», «…di fare  avanzare le vie di Dio» (Paolo VI). «Abbiamo lo stesso desiderio…», «La Provvidenza ci ha scelto per intenderei…».

Non sono espressioni della diplomazia o della cortesia ecclesiastica. Esse sono  il compimento di  ciò  che  altri  hanno  abbozzato   prima  e  altri  ancora continueranno dopo.   Ma  quel  momento   è  lo  spartiacque tra  il «già  e  non ancora».  È il cammino  verso il Golgota, non facile certamente,  impervio,  ma che alla Crocifissione ha fatto seguire la Resurrezione dopo tre giorni.

Segue  la  lealtà,  la fiducia,  l'essere  l'uno  a fianco  dell'altro. Non  vi è traccia in loro del vecchio linguaggio,  ormai superato dalla preghiera  del cuore. E' la preghiera  del fratello per il fratello; preghiera  che si fa cammino, intrinseca nel cuore di entrambi. Il Patriarca  chiamerà Paolo VI «megalokardos», il Papa dal grande  cuore. È il cuore che li fa strumento dell'azione dello Spirito Santo, obbedienti  alla volontà di Dio. Entrambi scelti da Dio. Entrambi a loro modo coscienti anche di essere soli, di doversi scrollare una difficile eredità: "Una suscettibilità, una mentalità... una psicologia", ma fiduciosi.

Non vi è traccia di umano  egoismo in loro, ma solo desiderio  di servire Gesù Cristo.  E appare già il poi... «studiare assieme…» e quindi  il Corpo  di Cristo,  la  Chiesa,  entrambi   certi  di  voler  comprendere anche  nei  punti  in disaccordo,  «… quello  che deriva  dal  Vangelo,  dalla  volontà  di  Dio e dalla autentica Tradizione».

Questo dialogo  è tutto improntato sulla volontà di servire, nell'amore di Gesù Cristo, nell'ascolto l'uno  dell'altro. E questo  amore  di fare la volontà  di Gesù Cristo è talmente  forte che non ha «alcuna  umana  ambizione  di prevalere, di avere gloria, vantaggi, ma di servire».

Questi  pochi  pensieri   di  queste  grandi   colonne  delle  nostre  Chiese  sono  la eredità  spirituale dell'incontro di Gerusalemme. Nulla  più  potrà  essere  come prima. Sono state tolte le rispettive  scomuniche, ci sono stati incontri a Roma e a Costantinopoli; è iniziato  il dialogo  teologico; vi è stata  la restituzione di Sante Reliquie e Sante Icone.

Papa  Paolo  VI con  il Concilio  Vaticano  II ha  fatto  vivere  una  nuova primavera alla Chiesa  in Occidente  e il Patriarca  Atenagora, con la sua  tenace pazienza,  ha portato le Chiese Ortodosse a una  più profonda sinfonia. Siamo eredi e debitori di quell’incontro.

Il pellegrinaggio che abbiamo  fatto insieme  con Papa Francesco a Gerusalemme, nell'anniversario di quell'inizio, ci ha portato a pregare  assieme al Santo  Sepolcro,  alla  Basilica della  Anastasis,  e  da  lì a  parlare   insieme  al mondo.   La  nostra   dichiarazione  congiunta  qaGerusalemme  come   ora   a Costantinopoli, sono  un  inno  di  gioia al Dio Tre  volte Santo  e un  impegno ancora  maggiore  sulla  via spirituale, indicata  dai nostri  santi  Predecessori,  ed una testimonianza che il nostro  incontro  vuole solo fare la volontà  del Signore, fare dialogo, rispettare l'uomo, il creato, il cosmo.

A  coloro  che  ancora  vedono   pericoli  nel  dialogo,   chiusi  nella  paura dell'altro, nel quale cercano  la pagliuzza  senza  vedere  la trave nel loro occhio, rispondiamo con l'esempio dei nostri Predecessori,  che hanno  avuto il coraggio di percorrere la via stretta.

Il dialogo  è libertà,  non  è perdita  di identità,  per  questo  «la  Verità ci rende  liberi» e a questa  Verità è chiamata  la sinfonia  delle nostre Sante Chiese Ortodosse a  riunirsi  - a Dio  piacendo  - in  questa  Città,  già sede  di  Concili Ecumenici - nel Grande  e Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa nell'anno 2016, per  proclamare insieme il dovere  di continuare il dialogo  nella verità, affinché "tutti  siano uno».

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Paolo e Atenagora, un abbraccio tra fratelli   
Avvenire
 
(Andrea Riccardi) Nessun negoziato. Nessun risultato, se vogliamo, solo un abbraccio a Gerusalemme tra Paolo VI e Atenagora. Già il viaggio di Paolo VI in Terra Santa aveva un valore simbolico: una Chiesa centrata su Gerusalemme, sulle radici evangeliche e bibliche, sulla forza debole delle sue povere origini. Non il ritorno a Roma (che veniva chiesto ai cristiani non cattolici), ma il papa di Roma che si disloca a Gerusalemme: ma così non poteva essere senza l’incontro con il patriarca. Non solo per superare secoli di inimicizia, ma soprattutto quell’ignoranza dell’altro che caratterizzava la mentalità di allora. Non poteva esserci ritorno alle radici senza l’abbraccio.