mercoledì 24 dicembre 2014

Non c'è posto per loro. Tratto da una storia wera...

Il Natale dei cristiani in Siria sotto le bombeViolenze brutali contro i cristiani del Medio Oriente
di Massimo Introvigne
Il 23 dicembre è stata resa pubblica la lettera di Papa Francesco ai cristiani del Medio Oriente, formalmente datata 21 dicembre. I media si sono affrettati a commentare l'accento alla minaccia «di dimensioni prima inimmaginabili» costituita dal Califfato e l'invito rinnovato a chi nell'islam pensa di avere titolo a definire il «vero» contenuto della propria religione perché condanni senza ambiguità il terrorismo e la persecuzione delle minoranze religiose. Si tratta di aspetti certamente importanti, ma (come per il discorso del 22 dicembre alla Curia Romana) non si afferra davvero il cuore del Magistero di Papa Francesco se non se ne coglie la dimensione spirituale. Il tempo della persecuzione richiede certo una risposta della comunità internazionale «con ogni tipo di iniziativa»: ma deve anche essere vissuto, dagli stessi perseguitati e da tutta la Chiesa, come un «appello alla santità», una chiamata alla preghiera, ai Sacramenti e a una vita cristiana più coerente e fervorosa.
Il Papa parte da una citazione della Seconda Lettera ai Corinti di San Paolo: «Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio» (2 Cor 1,3-4). Parole tanto adatte al Medio Oriente cristiano, dove «alle note dei canti natalizi si mescoleranno le lacrime e i sospiri». Davvero «l'afflizione e la tribolazione non sono mancate purtroppo nel passato anche prossimo del Medio Oriente».
Le tribolazioni non sono recenti, ma si sono aggravate a causa di un fenomeno nuovo: «l’operatodi una più recente e preoccupante organizzazione terrorista, di dimensioni prima inimmaginabili, che commette ogni sorta di abusi e pratiche indegne dell’uomo, colpendo in modo particolare alcuni di voi che sono stati cacciati via in maniera brutale dalle proprie terre, dove i cristiani sono presenti fin dall’epoca apostolica». Né questa organizzazione terroristica, che il documento non nomina ma che è evidentemente l'Isis, il cosiddetto Califfato, se la prende solo con i cristiani: ci sono «anche altri gruppi religiosi ed etnici che pure subiscono la persecuzione», la quale ormai non risparmia neppure i bambini. «Questa sofferenza grida verso Dio e fa appello all’impegno di tutti noi, nella preghiera e in ogni tipo di iniziativa». 
Le persecuzioni - lo ha insegnato lo stesso Gesù Cristo - possono «fortificare la fede e la fedeltà»,purché si rimanga uniti e non si dimentichino la preghiera e i sacramenti. «L’unità voluta dal nostro Signore è più che mai necessaria in questi momenti difficili; è un dono di Dio che interpella la nostra libertà e attende la nostra risposta». Sono pure necessari «i Sacramenti, la preghiera» perché la persecuzione è sempre «un forte appello alla santità della vita». E la persecuzione colpisce insieme cattolici e ortodossi, favorendo quell'ecumenismo della sofferenza e del sangue che il Papa ha messo al centro del suo viaggio apostolico in Turchia. «Le sofferenze patite dai cristiani», scrive Francesco, «portano un contributo inestimabile alla causa dell’unità. È l’ecumenismo del sangue, che richiede fiducioso abbandono all’azione dello Spirito Santo».
La presenza dei cristiani giova anche agli ebrei e ai musulmani ed «è preziosa per il Medio Oriente.Siete un piccolo gregge, ma con una grande responsabilità nella terra dove è nato e si è diffuso il cristianesimo. Siete come il lievito nella massa. Prima ancora di tante opere della Chiesa nell’ambito scolastico, sanitario o assistenziale, da tutti apprezzate, la ricchezza maggiore per la Regione sono i cristiani, siete voi». Qualche volta sembra che ogni tentativo di dialogo sia vano e perfino inutile. Ma in realtà lo«sforzo di collaborare con persone di altre religioni, con gli ebrei e con i musulmani, è un altro segno del Regno di Dio. Il dialogo interreligioso è tanto più necessario quanto più difficile è la situazione. Non c’è un’altra strada». Il dialogo, anzi, «è anche il migliore antidoto alla tentazione del fondamentalismo religioso, che è una minaccia per i credenti di tutte le religioni».
A chi vive «in un ambiente a maggioranza musulmana» Francesco chiede di «aiutare i concittadinimusulmani a presentare con discernimento una più autentica immagine dell’Islam, come vogliono tanti di loro, i quali ripetono che l’Islam è una religione di pace e può accordarsi con il rispetto dei diritti umani e favorire la convivenza di tutti». Questa nuova auto-presentazione da parte dell'islam ha però come condizione, per essere credibile, una denuncia non ambigua delle persecuzioni delle minoranze religiose e del terrorismo. «La situazione drammatica che vivono i nostri fratelli cristiani in Iraq, ma anche gli yazidi e gli appartenenti ad altre comunità religiose ed etniche, esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte di tutti i responsabili religiosi, per condannare in modo unanime e senza alcuna ambiguità tali crimini e denunciare la pratica di invocare la religione per giustificarli».
Superando tante difficoltà, il Papa chiede ai laici cristiani del Medio Oriente di impegnarsi nella vitapolitica, di esercitare «il dovere e il diritto di partecipare pienamente alla vita e alla crescita della vostra nazione». Ai pastori Francesco rinnova l'invito a rimanere accanto al gregge nelle difficoltà. Ai giovani ripete le parole di Benedetto XVI nell'esortazione apostolica «Ecclesia in Medio Oriente»: «Non abbiate paura o vergogna di essere cristiani. La relazione con Gesù vi renderà disponibili a collaborare senza riserve con i vostri concittadini, qualunque sia la loro appartenenza religiosa». Agli anziani del Medio Oriente la lettera esprime «stima»: «siete la memoria dei vostri popoli; auspico che questa memoria sia seme di crescita per le nuove generazioni». E il Pontefice saluta quanti operano nelle vaste opere della Chiesa di carattere sociale ed educativo. In particolare, «nell’ambito dell’educazione è in gioco il futuro della società».
Francesco sa che i cristiani del Medio Oriente non possono farcela da soli. Tutta la Chiesa devesostenerli. Ma occorre anche «esortare la Comunità internazionale a venire incontro ai vostri bisogni e a quelli delle altre minoranze che soffrono; in primo luogo, promuovendo la pace mediante il negoziato e il lavoro diplomatico, cercando di arginare e fermare quanto prima la violenza che ha causato già troppi danni». Il Papa condanna nuovamente il traffico di armi e le troppe forme di scetticismo riguardo alla possibilità che nel Medio Oriente si arrivi a una vera pace: scetticismi, scrive, che si combattono anch'essi con la preghiera. 
«La vostra testimonianza», conclude la lettera del Papa ai cristiani del Medio Oriente, «mi fa tantobene. Grazie! Ogni giorno prego per voi e per le vostre intenzioni. Vi ringrazio perché so che voi, nelle vostre sofferenze, pregate per me e per il mio servizio alla Chiesa. Spero tanto di avere la grazia di venire di persona a visitarvi e confortarvi. La Vergine Maria, la Tutta Santa Madre di Dio e Madre nostra, vi accompagni e vi protegga sempre con la sua tenerezza».

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«Natale ad Aleppo sotto le bombe e tra le rovine Ma Dio che nasce è la nostra speranza»
di Giorgio Bernardelli

Si parla sempre di meno della guerra in Siria. La tragedia di Mosul - con le centinaia di migliaia di profughi che vivono un esilio durissimo in Kurdistan - ha portato un altro angolo del Medio Oriente in cima alle preoccupazioni dei cattolici di tutto il mondo. Ma l'effetto collaterale è che stiamo cominciando a dimenticarci che la stessa guerra continua anche là dov'è cominciata. E - dunque - che i cristiani della Siria in queste ore si preparano a vivere il loro quarto Natale consecutivo nella sofferenza. 
E se c'è un angolo dove tutto questo fa ancora più male oggi èAleppo, la seconda città della Siria, la città martire di questo conflitto. Da più di due anni - ormai - il fronte passa dentro i suoi stessi confini, con i quartieri occidentali nelle mani dei “ribelli” che oggi hanno sempre più il volto islamista di Jabat al Nusra e dello Stato islamico. Le notizie su Aleppo da settimane oscillano tra gli annunci dell'inviato dell'Onu Staffan De Mistura, che starebbe cercando di negoziare un cessate il fuoco, e quelli dell'esercito siriano, che parlano di un'imminente offensiva per riprendere il controllo sull'intera città. Ma al di là delle parole per Aleppo la realtà di questo Natale è sempre la stessa: bombardamenti di tutti contro tutti, mancanza di generi di prima necessità, assenza totale di ogni ordine e legge.
Con le sue 45 chiese Aleppo era il cuore del cristianesimo siriano, la terza città con il maggior numero di cristiani nell'intero mondo arabo (dopo il Cairo e Beirut). La metà di loro - ormai - se ne sono andati. E quelli che restano? Come vivranno loro questo Natale 2014? La risposta l'hanno offerta in queste ore due testimonianze giunte proprio da questa grande città ferita della Siria. La prima è un articolo che il vescovo caldeo di Aleppo, il gesuita Antoine Audo, ha scritto per il quotidiano inglese The Telegraph. Un racconto in cui lo stesso presule racconta di dover oggi gettare nella stufa il legno delle sedie per poter scaldarsi nel freddo dell'inverno.?«Farò del mio meglio per diffondere speranza in questo Natale», spiega mons. Audo, «ma è difficile celebrare quando la tua città è in rovina. La vigilia non celebreremo la Messa di mezzanotte, come eravamo soliti fare: è troppo pericoloso per la gente uscire nelle strade di notte. Ci ritroveremo alle cinque del pomeriggio, sufficientemente presto perché tutti possano tornare a casa in sicurezza. Il giorno di Natale prima organizzavamo una grande cena alla Cattedrale e alla sera si danzava. Adesso non possiamo farlo. Non possiamo permetterci il cibo e troveremmo difficile dare voce alla gioia quando accanto a noi c'è così tanta sofferenza».
Eppure è davvero Natale anche per i cristiani di Aleppo. «Nelle nostre chiese stiamo lavorando sodo per prepararci», continua il vescovo caldeo. «Abbiamo organizzato concerti di cori, presepi e alberi di Natale. Nonostante la paura e la violenza, crediamo che la pace sia possibile, e stiamo pregando e attendendo. Tutti siamo stanchi, ma ciascuno sta facendo ciò che può per vivere, cercando la luce che viene dal cielo e non dalla terra. Nonostante tutte le difficoltà, Aleppo è la casa dove sono nato e dove sono cresciuto. La gente a volte teme per la mia sicurezza, mi dice che non è prudente camminare per strada vestito da vescovo, ma io non ho paura».
«Che cosa mi dà speranza in questo Natale?», si domanda ancora monsignor Audo. «La compassione della gente che si prende cura l'uno dell'altro. I piccoli segni di umanità che vedo nelle persone che condividono quel poco che hanno. La solidarietà dei miei fratelli e delle mie sorelle in giro per il mondo. Più di ogni altra cosa, a darmi speranza è la mia fede. Prego al mattino e leggo la Parola di Dio: questo mi convince che possiamo ancora andare avanti».
Lo stesso intreccio di dolore e speranza alimentata dalla fede la si ritrova anche nella lettera di Natale inviata da fratel Georges Sabre, dei Maristi di Aleppo. Fratel Georges è un'altra delle tante voci che attraverso la testimonianza della vita quotidiana di una comunità cristiana aiutano a capire la portata del dramma che questa città sta vivendo. Nella sua ultima lettera, rilanciata integralmente dal sito oraprosiria.blogspot.it, racconta ad esempio la storia di Soubhi, un giovane di 28 anni, che, sfollato nella propria città dopo che il suo quartiere era stato invaso dai ribelli, si era spostato a Kfarbo, un villaggio cristiano vicino alla città di Hama. Pensava di trovare lavoro e invece ha trovato là l'appuntamento con la morte.
«Per il solo fatto di rimanere in Aleppo», scrive fratel Georges, «le persone devono pagare ulterioritributi: un abbonamento alle reti di generatori elettrici, il gas che viene distribuito con parsimonia, benzina e combustibili per riscaldamento mancanti... Un'altra minaccia è annunciata e avrà conseguenze molto gravi sulla vita quotidiana delle persone: moltissime organizzazioni internazionali stanno riducendo drasticamente la loro assistenza alla popolazione siriana... Ma quest'aiuto è essenziale: soprattutto in termini di prodotti alimentari di base...».
Si capisce bene il perché della corsa all'emigrazione: «Riferendosi all'esodo in massa dei cristiani»,continua il religioso Marista, «un vicario episcopale mi ha detto ieri: "Da due mesi trascorro il mio tempo a firmare i certificati di battesimo, in arabo, francese, inglese e altre lingue. Questo certificato verrà aggiunto ad altri documenti quando le persone si presenteranno presso gli sportelli dei consolati...”». Eppure anche dentro tutta questa sofferenza, il volto della speranza inaspettatamente riaffiora. Succede ad esempio nelle 600 famiglie assistite dai giovani volontari coordinati di Maristi (e sostenuti da tanti benefattori di tutto il mondo). Oppure nella cura di tanti feriti, o nell'educazione dei ragazzi che, anche in mezzo a questo inferno, non si ferma. È il volto di una Presenza che si fa carne anche nel cuore di questa Aleppo. «”Solo Dio è capace di tutto...”. È stato questo il commento di una signora a cui avevo appena consegnato un medicinale di importanza vitale per la sopravvivenza del figlio. Utilizzando queste stesse parole», conclude la sua lettera fratel Georges, «auguro che il Signore della pace e dell'amore ci faccia scoprire nuovi percorsi, i sentieri della speranza e del dono di sé».