giovedì 29 gennaio 2015

Maestro di dialogo


di Daniele Premoli
«Ogni generazione si sceglie per istinto i suoi santi, che saranno non quel che il popolo vuole bensì quello di cui il popolo abbisogna. Perciò ecco il paradosso della storia: ogni generazione viene convertita dal Santo che più maggiormente la contraddice». Con queste parole, Gilbert Keith Chesterton introduceva il suo breve saggio su San Tommaso d’Aquino, di cui ricorre oggi la memoria. Punta irraggiungibile di intelligenza, unita al forte amore per la Verità, egli può essere davvero esempio per il nostro tempo.
I nostri tempi sembrano infatti dominati dall’incapacità di dialogo. La stessa parola “dialogo” è spesso equivocata, confusa con una sorta di irenismo (per cui ogni opinione vale l’altra), o buonismo (per cui non si può mai dire che l’opinione dell’altro sia sbagliata). Al contrario, anche la parola “confronto” è divenuta sinonimo di chiusura, e qualsiasi opinione contraria al mio pensiero è automaticamente sbagliata.
Abbiamo come alternative solo queste due? Non esiste una terza via?
Vediamo cosa ci può insegnare San Tommaso. Giovane professore, egli esordiva nella sua lezione inaugurale tracciando il ritratto dello studente ideale. Questi doveva essere disponibile all’ascolto, e dunque umile. Scriverà altrove: «Voglio che tu sia tardo nel parlare e restio a scendere nei luoghi pubblici», poiché per insegnare occorre prima «porsi alla scuola di un maestro». E lui stesso, alunno di Sant’ Alberto Magno, fu soprannominato dai compagni “bue muto”, per la sua corporatura ma anche per la sua impressionante silenziosità. Il suo silenzio non era certo motivato da mancanza di intelligenza, ma nasceva dalla volontà di nascondersi. La sua impressionante capacità intellettuale si rivelò solo per caso, quando un suo compagno di studi, impietosito, decise di dargli ripetizioni notturne. Fu così che si accorse delle capacità del maldestro Tommaso, ricevendo da questi la preghiera di mantenere il segreto sulla sua scoperta. Imparare significa innanzitutto ascoltare. La premessa necessaria al dialogo è ovviamente la formazione della propria identità, che sola può essere confrontata con un’altra. Abolendo invece la nostra identità scompare anche il dialogo.
Soprattutto, egli chiede ai suoi alunni la «rettitudine del giudizio, perché giudichino quello che ascoltano». Desidera che essi esercitino il proprio giudizio, senza accogliere acriticamente, ma nemmeno chiudendosi nelle proprie posizioni. San Tommaso chiede un vero e proprio amore per la verità, che supera le nostre personali simpatie. «Non guardare chi è colui che parla, ma tieni a mente tutto ciò che di buono egli dice», poiché «il vero, chiunque sia colui che lo affermi, viene dallo Spirito Santo». Al Doctor Angelicus importava soprattutto la verità, non la sua provenienza, e là dove essa si trova riceveva da lui tutto il suo riconoscimento. Non si tratta di una semplice conoscenza intellettuale. Ciò che ha mosso San Tommaso è stato lo spirito critico di chi intende distinguere il vero dal falso; questo metodo dunque non può essere percorso da chi sia indifferente alla verità. È esattamente questa ciò che san Tommaso ricercava in Aristotele e negli altri autori a cui si è avvicinato: «non mira a conoscere quello che gli uomini hanno pensato, ma quale sia la verità». Oggigiorno, invece, siamo tutti preoccupati dal sapere a che partito appartiene il tale, più che da cosa ha detto o se è vero ciò che afferma.
Da cosa può scaturire questa libertà di spirito, che gli permise di confrontarsi con un autore a quel tempo guardato con sospetto, come Aristotele?
Ciò che sta alla base della riflessione di San Tommaso è il realismo, ovvero l’ascolto della verità mostrata dalla realtà: non razionalismo, né chiusura mentale. È ancora Chesterton, con la sua acutezza ed ironia, ad aiutarci a comprendere questo punto. «Il sistema del d’Aquino parte dal punto di vista universale che un uovo è un uovo. Ora, un hegeliano replicherà che un uomo è una gallina, perché resto fa parte dell’infinito processo del Divenire; il seguace di Berkeley sosterrà che la frittata esiste come esistono i sogni, visto che il sogno si può dire causa della frittata come la frittata è causa del sogno; il pragmatico crederà che il miglior partito da trarre da un nuovo e quello di dimenticare che esso sia stato un uovo e ricordare soltanto la frittata. Ma il tomista non ha bisogno di guastarsi il cervello per evitare di guastare le sue uova, né di guardare le uova in cagnesco, né di chiudere gli occhi per meglio evitare una nuova semplificazione delle uova. Dominatore, nella luce sfavillante della fraternità umana, egli constaterà che le uova non sono galline, né sogni, né supposizioni; bensì cose attestate dall’autorità dei sensi, che è di Dio». È il famoso concetto di ragione di cui parlava Benedetto XVI: «largo perché non è limitato agli spazi della cosiddetta ragione empirico-scientifica, ma aperto a tutto l’essere e quindi anche alle questioni fondamentali e irrinunciabili del vivere umano; fiducioso perché la ragione umana, soprattutto se accoglie le ispirazioni della fede cristiana, è promotrice di una civiltà che riconosce la dignità della persona, l’intangibilità dei suoi diritti e la cogenza dei suoi doveri»
Si tratta dunque di adeguare il pensiero alla realtà, e non il contrario come spesso avviene.
Infine, San Tommaso ci insegna il segreto nel rapporto con gli altri. Vediamo spesso come la maggior difficoltà nel confronto sia la mancanza di un rapporto umano con l’interlocutore. Ma, «come la lucerna non può spendere se non viene prima accesa con il fuoco, così la lucerna dello spirito non può splendere se prima non arde e si infiamma del fuoco della carità. E perciò, l’ardore precede l’illuminazione, perché, mediante il fuoco della carità, viene comunicata la conoscenza della verità».
Tutto questo affermato nel XIII secolo, ovvero nel pieno della notte medievale.