mercoledì 25 febbraio 2015

Con Papa Francesco contro le follie gender



di Costanza Miriano
Ho una domanda che mi ronza in testa da tempo. A esser precisi un po’ mi ronza – perché ogni notte vedo Marzullo mentre scrivo, e mi faccio una domanda e mi do una risposta sgranocchiando per non dormire – e un po’ me l’ha fatta ronzare qualcuno. E siccome nella vita ho poche certezze – il rossetto mi sta male; Dio è mio Padre; le scarpe perfette ci sono ma il mio numero è finito – alle domande serie cerco di prestare attenzione, soprattutto se stimo chi me le fa.
E così mi chiedo: è buono dedicare tanto tempo e tante energie a fare incontri e scrivere e parlare sul tema del maschile e del femminile, e sulle implicazioni che la teoria del gender ha sulla questione della famiglia, che è quella che veramente mi sta a cuore? A chi sto ubbidendo? A chi voglio piacere quando faccio questo? Mi sto comportando da cristiana e da figlia della Chiesa quale più di ogni altra cosa desidero essere? E perché nella vulgata è obiettivamente passata l’idea che la difesa dei valori non negoziabili sia di destra, la solidarietà di sinistra? Se noi saremo giudicati sulle volte che avremo dato da mangiare, da bere, visitato i carcerati e soccorso gli orfani, questa parte del mio impegno non serve a niente, almeno non a entrare nel regno? Rischiamo di sembrare i condottieri di chissà quale strampalata battaglia contro qualcuno, e non invece compagni di cammino della tanta gente che non ce la fa esattamente come noi, come io personalmente vorrei tanto essere?
Be’ alla fine le domande sono parecchie più di una, e io purtroppo so rispondere solo alla numero tre. Vorrei tanto piacere a Cristo quando faccio questo, anche se la realtà è che gli piaccio perché sì, e basta. Non certo per qualche merito guadagnato sul campo.
Sono anche certa che alla fine quello che conterà sarà davvero la carità, l’unica cosa che resta, e quindi so bene che la mia amica che trascorre le giornate a imboccare la suocera malata, quella che ha adottato una bambina disabile, il mio amico che non è andato in vacanza per non dover licenziare un dipendente stanno costruendo il regno dei cieli più di me. Ricordo che a fare queste cose sono moltissime delle persone che so anche impegnate nella difesa del buon senso e della ragionevolezza sui temi del genere e della famiglia, solo che della carità che fanno non si mettono a scrivere sui giornali, non parlano delle donne incinte che adottano per cercare di evitare che abortiscano, non scrivono del bene abbondante e generoso che costruiscono, del tempo e dei soldi che regalano.
Detto questo, il fatto che ci sia un bene più grande da fare non esclude necessariamente che ci sia anche un altro bene che io continuo, nonostante le domande, a sentire come mio dovere compiere. La colonizzazione ideologica sui temi del gender, come l’ha definita Papa Francesco, quella che usa metodi da gioventù hitleriana, sempre parole del Papa dipinto come progressista – quindi questa battaglia è anche di sinistra, no? – sta cercando di costruire una società di individui asessuati. Questi individui vengono gradualmente convinti da una massiccia campagna di informazione che mette paura per l’imponenza dei suoi mezzi, per la determinazione e la potenza di fuoco, che possono scegliere da soli la loro identità sessuale. Questo viene ripetuto ogni giorno da tutti i giornali, le tv, il cinema, l’industria dell’intrattenimento in genere (vogliamo parlare dei cartoni per bambini?), gran parte della letteratura contemporanea. Da madre di adolescenti posso con una certa credibilità dire che questa propaganda ha un effetto molto potente su menti e cuori acerbi, nella fase della pubertà, quando la maturazione li rende naturalmente né carne né pesce, quando l’ultima cosa di cui hanno bisogno è dubbio e confusione (per quella sono già riforniti in proprio), e vanno invece rafforzati e confermati nella loro identità. Di certo non vanno mandati, come succede in Olanda e come riferisce il Corriere senza palesare alcuna preoccupazione, in una clinica nella quale la pubertà viene congelata, sospesa, tramite la somministrazione di ormoni (ma non è violenza sui minori?).
Basta sfogliare i giornali, dove la non demarcabilità tra i sessi viene sostenuta a ogni occasione, indirettamente o direttamente, come nelle due pagine del Corriere della Sera sulla cosiddetta disforia di genere che secondo loro interesserebbe cinquantamila persone in Italia (quanti di questi casi interessano adolescenti lasciati senza punti di riferimento culturali e familiari negli anni cruciali?). Il quotidiano ci spiega che c’è anche un terzo e quarto genere, siete indietro voi che pensavate che fossero solo due. Tra parentesi vi informo che io, l’ho appena appreso, sono una cisgender, cioè una persona in cui identità, ruolo di genere e sesso biologico corrispondono. Che scema. Ho sempre pensato di essere una femmina. E come se non bastasse c’è anche ogni giorno su quasi tutti i giornali un’infinita serie di articoli volti a raccontare le differenze tra maschi e femmine in modo negativo, e a farlo più o meno implicitamente (solo oggi: l’apologia degli asili nido come meravigliosa conquista femminile, i maschi in gonna, le mamme felici solo se libere di lavorare, gli uomini che sono buoni solo se femminilizzati, come se non potesse esserci una virilità forte e autorevole senza essere cattiva o violenta: Joseph Ratzinger smaschera il giochetto benissimo nella sua prefazione a Il nuovo disordine mondiale).
Ma perché tanta ostinazione in questa propaganda contro la natura umana? Il problema dell’identità riguarda davvero così tante persone? E’ davvero una priorità del paese? Chi sono i veri fissati? Quelli che vanno in giro nelle parrocchie a parlare di maschi e femmine, o quelli che colonizzano giornali e tv, che impongono libri di testo a scuola, che vincolano finanziamenti ai paesi poveri all’accettazione delle teorie del gender, come hanno denunciato anche all’ultimo Sinodo molti vescovi, tra cui gli africani? Chi sono i veri fissati? Ma soprattutto, mi ripeto, perché tanta ostinazione?
Creare individui asessuati, monadi prive di vincoli e legami, famiglie fluide e aperte, è intrinsecamente utile al sistema economico in cui viviamo, basato com’è sulla creazione di bisogni indotti, che richiedono al sistema di continuare a crescere per non morire. Un sistema al quale è profondamente funzionale un individuo privo di certezze, privo di una rete sociale e familiare e stabile, e quindi a ben vedere più facile preda di bisogni e manipolazioni. Non sono un’economista quindi su questo terreno già mi sono addentrata troppo, per cui tralascio anche la questione del lavoro femminile di massa che pure mi pare profondamente collegata. Ma in fondo in fondo io credo che non sia neanche questo il vero cuore del problema.
Io credo che alla fine di tutto il vero bersaglio sia la creaturalità dell’uomo. Quello che i contemporanei proprio non possono tollerare è di essere determinati da qualcun altro. Che l’identità sessuale sia qualcosa che riceviamo alla nascita e che non ci possiamo scegliere, non perché sia giusto o sbagliato ma semplicemente perché è così, come il fatto che abbiamo due braccia e due gambe, anche se ci piacerebbe volare. Alla fine, al fondo di tutto, in discussione è l’idea del limite. E quindi l’idea di Dio.
Io capisco l’allergia al limite, ce l’ho anche io, e sapeste le cavolate che ho fatto. A nessuno di noi piace averne, vogliamo credere tutti al volontarismo di stampo anglosassone, all’efficientismo capitalista, al where there’s a will there’s a way. Ma non è così. A volte vogliamo una cosa, la vogliamo disperatamente e saremmo disposti a buttare tutto il resto, ma non la possiamo avere. Semplicemente perché è così. Siamo limitati, siamo creature. Ma la buona notizia, il Vangelo, è che la morte non ha l’ultima parola. Cristo è risorto. Il limite non ha l’ultima parola su di noi, non perché lo superiamo ma proprio quando lo accogliamo. Quando accettiamo di perdere la nostra vita cominciamo a vivere. La buona notizia è che questo limite ci custodisce. È per noi, è per il nostro vero bene, perché nostro Padre, l’Onnipotente, più intimo a noi di noi stessi, ci ama profondamente e ci vuole salvare.
Per questo credo che occuparsi di questi temi – l’uomo maschio e femmina a immagine di Dio – sia il cuore del discorso culturale dei nostri giorni. Non è certo la questione delle unioni civili o delle adozioni agli omosessuali il cuore del problema, anche perché interessa lo zero virgola qualcosa della popolazione. A essere in ballo è l’uomo creatura. E quello che mi sembra di annunciare alzandomi in piedi ogni volta che posso non è certo che sono contro le unioni civili, ma l’amore infinito di Dio per ognuno dei suoi figli, qualsiasi identità egli ella esso percepisca. Mi sembra di annunciare che per questo ogni vita non si può toccare perché non ci appartiene, neanche la nostra.
Certo, questo non ci esime dal dovere e dalla gioia della solidarietà. Ma crediamo che anche annunciare alle persone che sono amate sia fare loro un grande bene. Il problema è farlo con dolcezza, con delicatezza, senza offendere, senza ferire, ma farlo. Anche questo, mi pare, è cercare di mettersi vicini, al fianco dell’umanità sofferente, smarrita, limitata e ferita, farlo da poveri uomini e povere donne quali siamo ovviamente anche noi cristiani, per il solo fatto di essere umani, dunque limitati. Felicemente limitati.
25/02/2015, La Croce Quotidiano