sabato 28 febbraio 2015

Estremismi che feriscono la Chiesa



Dalla lettura troppo rigida dei testi patristici il rischio di un fondamentalismo ortodosso. 

(Giovanni Zavatta) «È ora che i gerarchi ortodossi e i responsabili laici proclamino in maniera generale che ricorrere ai Padri della Chiesa non significa aderire servilmente a un insieme di proposizioni fossilizzate, usate per autopromuoversi. L’importanza dei Padri risiede nel loro sincero e profondo mettersi alla ricerca di Dio e nella loro volontà di condividerlo con il mondo. La lettura fondamentalista dei Padri e della Bibbia non conduce a Dio ma all’idolatria». In un articolo pubblicato alcuni giorni fa su «Parlons d’orthodoxie» (blog collettivo e piattaforma libera di discussione della Chiesa ortodossa russa in Francia), George Demacopoulos, docente di Teologia storica e direttore cofondatore del Centro studi cristiano ortodosso alla Fordham University di New York, lancia un grido d’allarme: «In questi ultimi anni sia chierici sia monaci ortodossi stanno facendo dichiarazioni che riflettono un approccio “fondamentalista” ai Padri della Chiesa. Se i dirigenti della Chiesa ortodossa non si uniscono per denunciare tale tendenza, l’intera Chiesa ortodossa rischia di essere trascinata da questi estremisti».
La tesi di Demacopoulos — che dal patriarcato di Costantinopoli è stato insignito dell’onorificenza più alta, quella di arconte — è ampiamente condivisa da Vladimir Golovanow, noto analista del blog (legato alla diocesi di Chersoneso e quindi al patriarcato di Mosca): se non si impedisce la radicalizzazione della corrente fondamentalista, l’ortodossia «rischia di andare verso un nuovo importante scisma come quello dei Vecchi credenti che trecentocinquant’anni fa si separarono dalla Chiesa russa», in segno di protesta contro le riforme ecclesiastiche introdotte dal patriarca Nikon. Il timore, dunque, è «totalmente giustificato» e si riflette anche nei risultati di un sondaggio lanciato su «Parlons d’orthodoxie»: solo il sette per cento dei lettori ritiene che l’unità della Chiesa ortodossa sia sufficientemente visibile e chiaramente affermata oggi; tutti gli altri hanno risposto di no, spiegando che la Chiesa ortodossa ha difficoltà a manifestarla e che l’unità è nascosta da un autocefalismo esacerbato.
Nessuno mette in discussione che il rispetto per i Padri della Chiesa (da san Basilio il Grande a san Gregorio il Teologo, a san Massimo il Confessore) sia una delle pietre angolari dell’ortodossia e che il loro pensiero resti guida essenziale per la vita e la fede dei cristiani ortodossi, ma ridurre — afferma Demacopoulos — «tutto l’insegnamento a un sotto-insieme di assiomi teologici, e misurare l’accettazione degli altri secondo quei criteri», è profondamente sbagliato. L’igumeno Pierre Meschtcherinov, del monastero di San Daniele a Mosca, citato da Golovanow, è sulla stessa lunghezza d’onda quando parla di “sottocultura normativa”, di ecclesiologia superficiale, di pietà liturgica rigida, di pratiche di direzione spirituale autoritarie. Occorrerebbe invece «analizzare in modo critico le formulazioni dei Padri, separare l’essenza delle Chiese dalle contingenze politiche-economiche-ideologiche attuali, e liberarsi dal peso della storia per comprendere la Chiesa in maniera più personale». In estrema sintesi, si vuole una lettura dei Padri della Chiesa aperta alla riflessione e in cerca di risposte alle sfide del mondo attuale.
Secondo Demacopoulos, l’errore intellettuale più grande del fondamentalismo ortodosso risiede nel presupposto che i Padri della Chiesa fossero d’accordo su tutte le questioni teologiche ed etiche. Errore legato all’ipotesi che, nel tempo, la teologia ortodossa non sia mai cambiata. L’esperto segnala altre false argomentazioni: che la comunità monastica sia sempre stata il guardiano dell’insegnamento ortodosso; che i Padri della Chiesa fossero anti-intellettuali; che l’adesione ai loro insegnamenti implichi necessariamente il rifiuto di tutto ciò che proviene dall’Occidente. Ecco allora che la (giusta) pretesa di proteggere la fede ortodossa dalla corruzione della modernità si estende, fino a scagliarsi contro chiunque (persone, istituzioni, interi rami della Chiesa ortodossa) «non soddisfi le norme autoproclamate dell’insegnamento ortodosso». Fa parte di queste manifestazioni fondamentaliste l’«inquietudine» della comunità monastica del Monte Athos provocata dalla visita di Papa Francesco al Phanar il 29-30 novembre 2014 e dal suo abbraccio con il patriarca di Costantinopoli, espressa recentemente in una lettera indirizzata allo stesso Bartolomeo. Posizioni che influiscono negativamente anche sul dialogo ecumenico, nutrite come sono — osserva padre Vladimir Zelinskij, dell’arcivescovado per le Chiese ortodosse russe in Europa occidentale (esarcato del patriarcato ecumenico) — dall’«ossessione della purezza confessionale, sempre unita alla pesante ideologia delle vecchie diffidenze, ferite, offese, rancori, ostilità». Quando, scrive Papa Francesco nell’Evangelii gaudium, «siamo noi che pretendiamo la diversità e ci rinchiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, provochiamo la divisione e, d’altra parte, quando siamo noi che vogliamo costruire l’unità con i nostri piani umani, finiamo per imporre l’uniformità, l’omologazione. Questo non aiuta la missione della Chiesa» (n. 131).
In un’epoca in cui tanti giovani si disinteressano totalmente della propria appartenenza religiosa — conclude Demacopoulos — «i progressi dell’ideologia fondamentalista nelle parrocchie conducono a una situazione dove i nostri ragazzi sono portati a scegliere fra estremismo religioso e assenza totale di religione».
Alexandre Schmemann, uno dei più importanti teologi ortodossi del ventesimo secolo, scriveva che «la teologia ortodossa deve conservare i suoi fondamenti patristici ma anche andare al di là dei Padri se vuole rispondere a una nuova situazione creata da secoli di sviluppo filosofico. E in questa nuova sintesi di ricostruzione, la tradizione filosofica occidentale (fonte e madre della filosofia religiosa russa del XIX e XX secolo), più di quella ellenica, deve fornire alla teologia un quadro concettuale». Si tratta di «“trasporre” la teologia in un’altra “chiave” e tale trasposizione è considerata il compito specifico e la vocazione della teologia russa».
L'Osservatore Romano