mercoledì 25 febbraio 2015

IL TEOLOGO: L'ABORTO, LA SCOMUNICA E L'OSTENSIONE DELLA SINDONE



di Luigi Lorenzetti
Per l’ostensione della Sindone i sacerdoti hanno facoltà di assolvere dalla scomunica connessa all’aborto. Tanti anni fa ho ricevuto l’assoluzione, ma non sapevo di scomuniche. La misericordia di Dio dipende da un vescovo?
Una mamma a metà

Alcuni peccati gravi – tra cui l’aborto – sono puniti con la scomunica. «Chi procura l’aborto, nei casi si raggiunga l’effetto, incorre nella scomunica latae sententiae» (CIC, can. 1398), cioè senza che ci sia bisogno di pronunciarla per ogni singolo caso.
Ovviamente, per incorrervi, si presuppone una decisione compiuta in piena libertà e avvertenza, e con la conoscenza che, al peccato di aborto, è annessa la scomunica o, almeno, una particolare penalità.
Papa Francesco confessa nella Basilica di San Pietro
Papa Francesco confessa nella Basilica di San Pietro

PERCHÉ TALE DISCIPLINA?

  
La scomunica è la pena ecclesiastica più severa: toglie la piena comunione ecclesiale, impedisce di ricevere i sacramenti e, in particolare, l’Eucaristia.

L’assoluzione e la liberazione dalla scomunica è riservata al vescovo o a sacerdoti da lui autorizzati. Perché una simile disciplina? Non è forse un accanimento contro la donna che, spesso, di tale delitto non è l’unica né la maggiore responsabile? La scomunica va compresa nel suo significato spirituale e sociale: coscientizzare sulla gravità del peccato commesso per accogliere l’offerta di riconciliazione e di pace con Dio e con i fratelli.

In questa prospettiva restano insuperabili le parole di Giovanni Paolo II alle donne che hanno abortito: «Se ancora non l’avete fatto apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della riconciliazione». Egli promette: «Vi accorgerete che nulla è perduto e potrete chiedere perdono anche al vostro bambino che ora vive nel Signore» (Evangelium vitae, n. 99).

«E allora come devo considerarmi?», si chiede la lettrice nella lettera qui sintetizzata. Come una persona perdonata e, quindi, capace di alzarsi e camminare nella pace ritrovata. Quando la donna, nel suo dolore e nel suo pentimento, ritrova la via del ritorno a Dio e si avvicina con fede al sacramento della confessione deve essere accolta con infinita bontà, così che possa sperimentare l’amore misericordioso di Dio che salva, libera, e apre un nuovo cammino di speranza. La scomunica può essere rimessa una volta che il colpevole riconosca la sua colpa, purché veramente pentito (CIC, can. 1347,3).

I "CASI RISERVATI" AL VESCOVO

Il ministro della confessione sacramentale, per l’aborto procurato, è il vescovo; oppure il sacerdote che, per ufficio, ha la facoltà (il penitenziere, il cappellano negli ospedali, nelle carceri e sulle navi); oppure ogni sacerdote autorizzato, a tempo indeterminato o per un certo periodo.
Non si tratta di distinzioni arbitrarie: i sacerdoti sono collaboratori del vescovo ed esercitano il potere della riconciliazione secondo l’ufficio da lui ricevuto: è il vescovo il moderatore della disciplina penitenziale.

In via generale, tuttavia, il penitente va dal confessore, ignorando se ha o meno la facoltà di assolvere dai casi riservati, come quello dell’aborto. È necessario cogliere il momento di grazia.

In questo caso ha grande significato la disposizione dell’arcivescovo di Torino, che – per il periodo dell’ostensione della Sindone – ha dato facoltà a tutti i confessori di assolvere dalla scomunica. Ma anche al di là di situazioni straordinarie, bisogna saper cogliere il tempo favorevole al fedele penitente.

LA CHIESA PUNTA ALLA CONVERSIONE

  
Così restano aperte due modalità. La prima è quella di inviare il fedele penitente da un sacerdote che ha la facoltà di assolvere dalla scomunica. Tale modalità può risultare spiritualmente gravosa, in quanto, per tutto il tempo necessario per avvicinare il sacerdote autorizzato, il fedele penitente rimane senza assoluzione.
Nell’avvertenza di tale disagio spirituale, ogni confessore può assolvere dal peccato di aborto, notificando al penitente l’obbligo di ricorrere, entro un mese, sotto pena di ricadere nella censura, al superiore competente o a un sacerdote provvisto della facoltà per fissare congrue penitenze... (cfr. CIC, can. 1357).
È evidente che, così disponendo, la Chiesa non vuole ritardare, al fedele pentito, il perdono e, quindi, anche la remissione della pena. L’eventuale impossibilità di ricorso, entro il mese, non mette in questione il valore della confessione sacramentale celebrata.

Ma non sarebbe opportuno togliere i casi riservati? È più importante coglierne il valore pedagogico e liberarli da ogni interpretazione di tipo vendicativo e meramente punitivo. Ogni sanzione – e pertanto la scomunica per aborto –, proprio perché della Chiesa di Cristo, non ha altro scopo che la conversione dal peccato (funzione medicinale) e, nello stesso tempo, la costruttiva espiazione (funzione espiatoria), oltre che la testimonianza pubblica per l’alto valore della vita (funzione preventiva). 
Famiglia Cristiana