martedì 24 febbraio 2015

La povera famiglia italiana



di Mario Adinolfi
Oggi apriamo il giornale con una foto straziante che è più esplicativa dei dati statistici che pure in questo articolo citeremo. Racconta una famiglia devastata dal dolore che va a seppellire una bambina neonata uccisa dall’incuria di uno Stato distratto, rimbalzata da tre ospedali siciliani e infine morta perché nessuno se ne è voluto occupare, se non quei genitori che ora la piangono disperati stringendo la bara bianca dell’innocente tra le braccia. Nella foto c’è lo Stato italiano, è l’Italia che lascia sola la famiglia, la isola, l’impoverisce, la sfotte quando numerosa sale sul palco del festival di Sanremo a parlare di Provvidenza e di Cristo, quando solo Cristo ormai presta orecchio e ascolto alle preghiere che si levano. Nella foto c’è l’immancabile smartphone a scattare impietoso l’istantanea del dolore ad uso spettacolare privato.
I dati sono impietosi, li fotografa l’Istat. Secondo il rapporto “Noi Italia” una famiglia su quattro vive una condizione di disagio economico (23,4%), sei milioni di persone vivono in una condizione di povertà assoluta, più di dieci milioni quelle in condizioni di povertà relativa. Una marea umana composta da mamme e da papà che non arrivano alla fine del mese, che non possono comprare un giocattolo ai loro figli, che mangiano a stento per non far mancare almeno lo stretto necessario alla prole. E’ un’Italia non raccontata, ignorata, la famiglia non fa notizia: deve morire una neonata uccisa dall’incuria e allora per ventiquattro ore qualche telegiornale se ne accorgerà, ma già il giorno dopo i funerali tutto resterà come prima.
Con interessante coincidenza di tempi, assieme al rapporto Istat sono arrivati anche i dati della Caritas europea sulla povertà nel nostro continente: 123 milioni di poveri (sempre uno su quattro, i dati si confermano anche a livello europeo). La fantomatica Strategia di Lisbona puntava a portare i poveri sotto quota 100 milioni entro il 2020, invece il risultato che c’è sullo sfondo è che i poveri aumenteranno. Chi pagherà il prezzo più salato? Ancora una volta, la famiglia: dove i genitori perdono il lavoro e i figli non lo trovano, portando la cellula primaria di organizzazione della società sulla soglia della disgregazione, del collasso. Secondo Caritas italiana il rischio povertà riguarda un italiano su tre.
Lasciateci dire che non vediamo sullo sfondo politiche pubbliche che abbiano a cuore il sostegno alla famiglia. La commissione Giustizia del Senato ieri ha concluso le audizioni degli esperti su un progetto di legge importante, noto come ddl Cirinnà. Pensate che sia un ddl per introdurre criteri di maggiore giustizia sociale, per combattere la povertà di mamme e papà nella quotidiana lotta per dare un futuro ai propri figli? No, la senatrice Monica Cirinnà è di sinistra, sì, ma non vede la povertà della famiglia italiana come una priorità. La sua priorità è varare una legge sulle unioni omosessuali legittimando il ricorso all’utero in affitto da parte di coppie omosessuali ricche attraverso la stepchild adoption, istituto giuridico scelto con un nome anglofono affinché non si capisca che serve ad un compagno di partito e di commissione della senatrice Cirinnà che si è andato a comprare un bambino negli Stati Uniti affittando un utero e ora pretende che la legge gli consenta di dichiararlo figlio di due uomini. Questa è la priorità della commissione Giustizia del Senato nel giorno in cui la giustizia sociale è calpestate con certificazione statistica e un quarto delle famiglie italiane in condizione di disagio economico. Loro pensano alle unioni gay. Come Ignazio Marino che toglieva il diritto alle famiglie numerose di inviare gratuitamente al nido il terzo figlio e contemporaneamente si faceva fotografare in fantamatrimoni omosessuali contra legem celebrati al Campidoglio. Ieri, peraltro, a Milano il prefetto Tronca ha avviato le procedure per la cancellazione delle trascrizioni farlocche dei matrimoni gay. Contro la legge non si opera, caro sindaco Pisapia. E la legge che consente il matrimonio gay, l’utero in affitto, la conseguenza compravendita di bambini in Italia ancora non c’è. Il popolo italiano non consente a vedere trasformati i bambini in oggetti da acquistare, perché le persone non sono cose. Le priorità sono altre. La politica si occupi del dolore dei papà e delle mamme, della loro fatica quotidiana. Ricostruisca una scala razionale di priorità. Prima il necessario, poi discutiamo del resto.
24/02/2015, La Croce Quotidiano
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L'urgenza educativa è compito della famiglia

di R. Cascioli
Di chiacchiere se ne fanno sempre tante in politica e anche la riforma della scuola è annunciata soprattutto da un mare di chiacchiere. Precari da sistemare, il merito da premiare, l’autonomia scolastica: tanti princìpi, tante promesse, poi vedremo tra pochi giorni come il tutto si concretizzerà. 
Ma colpisce che anche nel momento delle parole, delle promesse e dei princìpi c’è un argomento che resta tabù: ovvero il primato della famiglia nell’educazione dei figli. Ce lo ricorda anche la lettera aperta che 23 associazioni hanno scritto e reso pubblica ieri, indirizzata al presidente del Consiglio Matteo Renzi, al ministro dell’Istruzione Stefania Giannini e al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Argomento: l’educazione sessuale nelle scuole. Le 23 associazioni, che hanno dato vita al Comitato Famiglia Educazione Libertà, chiariscono subito il concetto: «L’educazione sessuale sia affidata alla famiglia e non assegnata alla scuola». È un concetto chiave, su cui vale la pena insistere vista la martellante pressione a cui siamo sottoposti per imporre l’ideologia gender nelle scuole, fin dai gradi più bassi.
Gli estensori della lettera chiedono il «rispetto dell’intimità» (che necessita anche l’attenzione per il diverso grado di maturazione del ragazzo); il rispetto del pudore (“esperti” esterni «esprimono brutalmente concetti ed esempi che quasi sempre lasciano sbalorditi, sconcertati e feriti molti giovani studenti»); il rispetto della privacy («Mai come da quando è stata regolata per legge, la privacy è stata violata in modo clamorosamente sistematico»); il rispetto del diritto alla libertà di educazione della famiglia, che è il nodo centrale.
In altre parole, l’educazione sessuale – che tocca la sfera più intima della persona – non può essere affidata agli “esperti”; solo i genitori, che conoscono i loro figli e il loro grado di maturazione, sanno come e quando affrontare l’argomento con i propri figli. E laddove le famiglie sono in difficoltà in questo aspetto educativo, allora esse vanno sostenute – ma non sostituite -  in questo compito.
La lettera aperta è centrata sulla questione urgente dell’educazione sessuale nelle scuole (ma diciamo pure educazione al gender), ma il principio affermato va ben oltre questo aspetto nuovo della vita scolastica. Esso rimanda al tema più generale della libertà di educazione, un tasto dolente per la realtà italiana. È una libertà negata nei fatti, malgrado sia garantita dalla Costituzione.
Eppure nei discorsi del presidente del Consiglio o del ministro dell’Istruzione mai si parla di centralità della famiglia, mai di scuole libere, mai di libertà di educazione. Ma da qui bisogna ripartire se si vuole davvero riformare la scuola. Il governo e il Parlamento, in mano a forze laiciste e stataliste, non lo hanno ancora capito, ma le famiglie cominciano a muoversi da sole. E questo è un bel segnale: in Italia aumentano infatti le esperienze di Homeschooling (scuole parentali), permesse dalla Costituzione, e altre esperienze presenteremo nei prossimi giorni. Non c’è dubbio che con l’intensificarsi degli attacchi alla natura umana che, presto a tardi conquisteranno anche le scuole paritarie, la scuola parentale rappresenti una bella risposta.