venerdì 27 febbraio 2015

Sei figli, «la mia unica ricchezza»



di Lucia Bellaspiga
Le case sono popolari, casermoni anonimi che però conservano una sorta di dignità, come se gli occupanti non ci stessero a passare per incivili: poveracci sì, ma il decoro è decoro. E la periferia è quella di Padova, la città del Santo, dell’università tra le più antiche al mondo, anche se il profumo della storia fatica ad arrivare fin qua, oltre le rive del Bacchiglione, lungo il cui argine al tramonto i padovani corrono in tuta o vogano in canoa... Su una sponda la città elegante e operosa, sull’altra i palazzoni popolari.

Ed è tra questi ultimi che saliamo le scale fino alla porta di casa Schiavon (cognome di fantasia). La storia che ci porta lì non è delle più allegre, è una storia di degrado che ha dato tanto da scrivere ai giornali locali, una storia di periferia, in tutti i sensi... Ma quando la porta si spalanca quella che ci investe è una zaffata di allegria. Gianna, 3 anni e i codini d’oro, ci corre incontro come ci conoscesse da sempre, Roberto, 5 anni, la segue a ruota chiassoso come lei, Gaia, 9 anni, fa da mammina e cerca di trattenerli ma anche lei è contenta della visita. Dietro svettano Francesco (così lo hanno chiamato i giornali locali), 13 anni e sorriso stampato in faccia, e Giorgio, 15, paterno e paziente con l’intera nidiata. L’ultimo nato, 6 mesi, è in braccio alla mamma Giada, 36 anni, che appare per ultima insieme al marito Mauro, 39. L’interno è sobrio ma non manca nulla e tutto è lindo. L’impressione è la stessa di certe regioni lontane anni luce dall’opulenza europea, dove i bambini non possiedono smartphone né armadi di giochi, ma con una palla di stracci sono innegabilmente felici. 

La nidiata perde presto interesse per la cronista e si tuffa tutta insieme sul divano dello stanzone... Mauro in passato era metalmeccanico, poi guardiano notturno e corriere, ma da maggio è disoccupato: «Prima lavoravo con il Comune, avrei ripreso a ottobre ma la nuova giunta leghista deve ancora trovare gli accordi con le cooperative... dovevano assumere sessanta persone per sei mesi, a 600 euro mensili, invece...». Giuseppina dava una mano, qualche ora a fare le pulizie nelle case belle, quelle al di là del Bacchiglione, «ma ora non ce la faccio», indica con gli occhi il bimbo che le dorme in braccio... 
È una storia di povertà, indubbiamente, eppure c’è sempre quell’aria "strana", una sorta di allegria che manca in tante case ricche e silenziose. 

La truppa scatta in piedi, si rincorre, inutile invocare un po’ di silenzio: i genitori si scusano, poi si arrendono. Come si tira avanti senza stipendio? «Bella domanda. Per il mangiare la Caritas ogni giovedì ci consegna un pacco di viveri e a volte mi passa un lavoretto, poi c’è l’associazione Famiglie numerose che ci dà una mano, e il patronato. Ma con l’affitto, 137 euro al mese, sono indietro di sei mesi». Non chiede elemosine, vuole lavorare: «Sono il quinto nella lista per i lavori a progetto del Comune, ma i mesi passano e le aziende qui non assumono più nessuno». È la grande crisi del Nordest, quella silente che uccide ogni giorno piccole e medie industrie ma anche persone, imprenditori che quotidianamente sfuggono alla vita per non saperla più affrontare. «Se trovo un lavoretto fuori Padova, com’è capitato in passato, non ho poi i 5 euro di benzina per andarci», si dispera il padre, che solo su una cosa non transige: «Lo scriva, ai miei figli non faccio mancare niente... Leggo che quando uno è povero, anziché dargli aiuto gli tolgono i bambini. Dovrebbero passare sul mio cadavere».

Di loro i media del Veneto si sono occupati per una vicenda di bullismo tra i banchi di scuola, una storia che era piccola e tale doveva rimanere, se non fosse che i giornali hanno parlato di "scuola degli orrori", di "verità agghiacciante". Vittima sarebbe proprio Francesco, che frequenta la III media e ha un lieve deficit intellettivo, tanto che è seguito da insegnante di sostegno e psicologa. «Da mesi sono oggetto di molestie – sostiene Francesco – un compagno vuole che faccia brutte cose, mi minaccia con bigliettini». Bigliettini ora nelle mani degli agenti, che indagano sulle grafie. Il sassolino, mal gestito, è diventato valanga, tra querele, controquerele, baruffe e qualche rissa. «Se la preside avesse accettato di ricevermi e avesse sospeso non dico solo l’altro, dico anche mio figlio, non si sarebbe a questo punto e i due bambini avrebbero fatto pace», sostiene Mauro, «siamo poveri, ma siamo persone anche noi». «Sarà la questura a giudicare», replica inflessibile la preside. 

Peccato. Per Francesco, per il compagno, per la scuola, la vera sconfitta.
Avvenire