venerdì 24 aprile 2015

Accoglienza al primo posto



Come rispondere alle tragedie delle migrazioni. Solidarietà e multilateralismo europei

(Mario Benotti) Forse si poteva fare di più. L’Europa avrebbe potuto dare una risposta più alta e completa (e anche più concreta) alla situazione che, non da oggi, si è venuta a creare nel Mediterraneo. Pur con tutte le sue divisioni interne — il cancelliere tedesco Merkel, dopo il Consiglio europeo straordinario di ieri a Bruxelles, ha fatto notare che su questo tema i ventotto Paesi membri sono e restano molto lontani da un accordo e da una posizione comune — l’Unione europea ha finalmente preso ufficialmente coscienza degli orrori.Ma ha perso l’occasione per comprendere fino in fondo che la tragedia legata alle migrazioni mette in gioco la sua autorità morale e politica e i principi di solidarietà su cui è fondata.
Eppure il Governo italiano ha salutato con favore anche questo primo e timido passo: l’Ue si impegna a triplicare i fondi per la missione Triton — arrivando però a spendere in tutto quello che la sola Italia ha speso per l’operazione Mare Nostrum — salvo poi portare i profughi nel Paese più vicino, quindi di nuovo l’Italia. E pensare che lo stesso Governo italiano alla fine del suo semestre di presidenza, solo quattro mesi fa, aveva posto all’attenzione di tutta l’Europa la necessità di intervenire sulla gestione dei flussi migratori con una serie di raccomandazioni e richieste alle quali, di fatto, non è stato dato alcun seguito.
Occorre però prendere nota anche di un piccolo ulteriore passo in avanti: il mandato conferito dal Consiglio europeo all’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini, di avviare un dialogo approfondito con le Nazioni Unite e con i Paesi dell’Africa. Lo scopo è studiare gli aspetti legali e individuare le soluzioni politiche internazionali per impedire le traversate della morte e catturare gli organizzatori delle reti di sfruttamento di esseri umani. L’opzione dell’affondamento preventivo dei barconi vede già una certa contrarietà in Libia.
Il Governo italiano ha ragione a essere comunque soddisfatto anche solo di questi timidi passi, ma occorre ragionare in termini più approfonditi su una questione che va affrontata in maniera globale. Il punto di partenza deve essere la “questione africana” e il rapporto dell’Europa con questo continente. Occorre invece comprendere cosa sta succedendo in Africa, analizzare quelle realtà soprattutto subsahariane, captare in anticipo i sommovimenti che attraversano città e campagne, ragionare sulle conseguenze del fallimento delle politiche economiche messe in atto per avviarne altre di aiuto allo sviluppo.
L’identità europea deve inoltre confrontarsi con la questione complessa del Mediterraneo, che vede legata a doppio filo la componente politico-strategica a quella umanitaria e di prospettiva di sviluppo. La sicurezza economica e la sicurezza politico-strategica non sono subordinate l’una all’altra, bensì sono complementari. La futura sicurezza del Mediterraneo dipende anche da uno sviluppo florido delle sue economie — con un forte contenuto di carattere sociale — perché le democrazie e i Governi non crescono in presenza di economie deboli e di povertà. Lo sviluppo economico necessita a sua volta di un quadro politico e strategico di sicurezza tale da facilitare l’afflusso di capitali verso l’area mediterranea, che ha grandi potenzialità produttive.
L’emergenza che adesso bisogna affrontare non pone scelte alternative: occorre proseguire una politica di cooperazione sistematica anche se inevitabilmente lenta. Una grande politica mediterranea passa per un rinnovato rapporto fra Paesi euroatlantici e mediterranei.
Un forte contributo a questa operazione potrebbe venire fin da subito dal regno del Marocco, nazione stabile dell’area, che potrebbe divenire un valido interlocutore dell’Europa e che già in tempi lontani aveva sottolineato la necessità di un’azione politica basata sulla multilateralità e su un forte dialogo tra cristiani, ebrei e musulmani quale via politica alla pace.
L’area del Mediterraneo deve vedere lo sviluppo di progetti concreti nel campo della cooperazione internazionale, dell’economia ma anche della cultura e dell’università. Potrebbero sembrare questioni slegate dall’attuale emergenza, ma così non è. Occorre infatti una visione a tutto campo e di lungo termine da parte dell’Unione europea.
La questione del Mediterraneo dimostra che l’Europa si trova di fronte a una crisi che va affrontata senza rinVII. Ed è auspicabile che il coinvolgimento delle Nazioni Unite — da più parti richiesto — sottolinei la necessità di un nuovo multilateralismo nei rapporti internazionali. Anche per risolvere le crisi politiche ed economiche. E il ruolo che l’Europa può svolgere nasce proprio dal suo elemento distintivo fondante: la solidarietà.
È infatti necessaria — dentro e fuori i confini dell’Unione — una solidarietà che vada ben oltre il settore economico. Essa va intesa in senso politico, sociale ed internazionale e potrebbe essere un tratto fondamentale della nascente politica estera europea. Portando con sé il proprio contributo alla più importante delle globalizzazioni, quella dei diritti.
L'Osservatore Romano,

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Le organizzazioni cattoliche sulle stragi dei migranti in mare. 

«Piccoli passi di un’Europa incerta e timorosa ad affrontare il dramma delle morti, il flusso di duecentomila migranti dal Nord Africa, le centinaia di migliaia di persone in fuga da guerra e terrorismo»: è il commento critico di monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, sul vertice straordinario del Consiglio europeo svoltosi ieri, giovedì, a Bruxelles.
«Dei migranti l’Europa si è preoccupata di velocizzare i controlli, le schedature per un rimpatrio veloce dei non aventi diritto alla protezione internazionale, con il rischio anche di una semplificazione delle procedure di riconoscimento dei richiedenti asilo, ma — ha osservato — non si è impegnata in un rafforzamento del piano di accoglienza dei rifugiati in tutti i Paesi europei».

In Italia, nel frattempo, si susseguono gli appelli al Governo da parte delle organizzazioni cattoliche affinché si ponga fine al più presto alla strage di migranti e si trovi una soluzione per le migliaia di disperati che approdano nel Paese. In un comunicato congiunto sottoscritto, fra gli altri, da Caritas, Azione cattolica, Acli, Focsiv e Pax Christi, viene ricordato che le centinaia di migliaia di profughi che premono alle frontiere dell’Europa, spinti da guerre e fame, «sono persone, nostri fratelli», e che «un intervento armato, fosse anche circoscritto, metterebbe a rischio i Paesi europei della sponda mediterranea, inclusa l’Italia, per eventuali ritorsioni di ogni genere da parte di formazioni estremiste».
Le organizzazioni cattoliche chiedono, in estrema sintesi, tre interventi mirati: una politica «nuova e originale» con la costruzione di un’agenzia europea per le migrazioni; l’attivazione urgente di un’azione europea «per arrivare alla stabilizzazione della Libia, attraverso la formazione di un governo di unità nazionale»; l’intercettazione dei flussi prima che arrivino i profughi, attraverso la costituzione di corridoi umanitari e uffici riconosciuti dall’Onu, che diano visti umanitari in Egitto, Tunisia, Marocco, Algeria e, laddove sia necessario, il conferimento da parte dell’Unione europea dello status di rifugiato modificando l’accordo di Dublino».
Sulla stessa lunghezza d’onda si pone l’arcivescovo di Monreale, monsignor Michele Pennisi: «Che senso ha bombardare i barconi di migranti? Dai Paesi di provenienza dei natanti — ha detto il presule in una dichiarazione ripresa dall’Adnkronos — le bombe sarebbero prese come una dichiarazione di guerra. Poi, se a bordo dovessero esserci profughi, l’operazione si configurerebbe come un crimine contro l’umanità. A prescindere da chi dovesse compierlo».
Dall’inizio dell’anno a oggi, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, sono 1.750 i migranti morti nel Mediterraneo. «La scelta di lasciare i Paesi di origine e quelli di transito — spiega padre Jemil Araya, missionario comboniano, impegnato al Cairo nell’assistenza a migranti e rifugiati — viene presa deliberatamente, nonostante si conoscano bene i rischi della traversata. I migranti sono consapevoli di quello che accade in Europa, ma l’unica scelta che hanno è tra vivere nella miseria e nell’insicurezza e tentare di attraversare il mare».
L'Osservatore Romano