giovedì 30 aprile 2015

Francesco e il creato da custodire



In attesa della pubblicazione dell'enciclica sulla globalizzazione e l'ecologia, ecco un compendio di ciò che il Papa ha già detto su questo argomento

ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO



«Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, abbiamo degli obblighi verso tutti e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi» scriveva Paolo VI nell'enciclica «Populorum progressio» (1967), un testo troppo spesso dimenticato. Per Francesco, il primo Papa ad aver scelto il nome del Poverello di Assisi, la difesa del creato è una priorità. L'enciclica dedicata a questi temi è ormai finita e per giugno si attende  la sua pubblicazione.

Ripercorriamo alcuni discorsi e catechesi che Francesco ha già dedicato a questo tema, citando in conclusione anche qualche affermazione di Papa Ratzinger. Il 5 giugno 2013, nella Giornata Mondiale dell’Ambiente, un evento promosso dalle Nazioni Unite, il Pontefice argentino aveva affrontato nell'udienza generale il tema della salvaguardia ambientale. «Il mio pensiero va alle prime pagine della Bibbia, al Libro della Genesi, dove si afferma che Dio pose l’uomo e la donna sulla terra perché la coltivassero e la custodissero - afferma il Pontefice -.E mi sorgono le domande: Che cosa vuol dire coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando? Il verbo “coltivare” mi richiama alla mente la cura che l’agricoltore ha per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione! Coltivare e custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti».

Francesco ha citato il predecessore Benedetto XVI ricordando che più volte egli ha richiamato tutti a «questo compito affidatoci da Dio Creatore», che richiede «di cogliere il ritmo e la logica della creazione». «Noi invece - ha aggiunto Papa Bergoglio - siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; no, non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Stiamo perdendo l’atteggiamento dello stupore, della contemplazione, dell’ascolto della creazione; e così non riusciamo più a leggervi quello che Benedetto XVI chiama “il ritmo della storia di amore di Dio con l’uomo”».

Perché avviene questo?, si è chiesto il Papa. «Perché pensiamo e viviamo in modo orizzontale, ci siamo allontanati da Dio, non leggiamo i suoi segni». Francesco ha spiegato che «”coltivare e custodire” non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani. I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in pericolo, ma questo è certo! La persona umana oggi è in pericolo! Ecco l’urgenza dell’ecologia umana!».

E il pericolo, ha spiegato ancora il Pontefice nel suo discorso, è «grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia. La Chiesa lo ha sottolineato più volte; e molti dicono: sì, è giusto, è vero… ma il sistema continua come prima, perché ciò che domina sono le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica». 
Quindi Francesco, parlando a braccio, ha aggiunto: «Quello che comanda oggi non è l’uomo, è il denaro: il denaro, i soldi comandano! Dio, Nostro Padre, ha dato il compito di custodire la terra non ai soldi, a noi: gli uomini e le donne! Noi abbiamo questo compito!».

«Così – ha proseguito – uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità…». Perciò: «Se una notte di inverno, qui, in Piazza Ottaviano, per esempio, muore una persona, quella non è notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è notizia. Sembra normale! Non può essere questo! E queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di freddo per la strada, non c’è notizia… Al contrario di questo, per esempio, un abbassamento di dieci punti nelle Borse di alcune città, costituisce una tragedia. Quello che muore non è notizia, ma se calano di dieci punti le Borse è una tragedia. Così le persone vengono “scartate”. Noi, le persone, veniamo scartati, come se fossimo rifiuti».

Questa cultura dello scarto, avverte Bergoglio, «tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare... Questa cultura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione. Una volta i nostri nonni erano molto attenti a non gettare nulla del cibo avanzato. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici».

Francesco ha quindi ricordato che il cibo che si butta via è come se «fosse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame! Invito tutti a riflettere sul problema della perdita e dello spreco del cibo per individuare vie e modi che, affrontando seriamente tale problematica, siano veicolo di solidarietà e di condivisione con i più bisognosi». Infatti «pochi giorni fa, nella Festa del Corpus Domini – ha sottolineato il Pontefice – abbiamo letto il racconto del miracolo dei pani: Gesù dà da mangiare alla folla con cinque pani e due pesci. E la conclusione del brano è importante: “Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi avanzati: dodici ceste”. Gesù chiede ai discepoli che nulla vada perduto: niente scarti! E c’è questo fatto delle dodici ceste: perché dodici? Che cosa significa? Dodici è il numero delle tribù d’Israele, rappresenta simbolicamente tutto il popolo. E questo ci dice che quando il cibo viene condiviso in modo equo, con solidarietà, nessuno è privo del necessario, ogni comunità può andare incontro ai bisogni dei più poveri».

Perciò, ha spiegato ancora il Papa Bergoglio, ecologia umana ed ecologia ambientale camminano insieme. «Vorrei allora che prendessimo tutti il serio impegno di rispettare e custodire il creato, di essere attenti ad ogni persona, di contrastare la cultura dello spreco e dello scarto, per promuovere una cultura della solidarietà e dell’incontro».

Il 13 gennaio 2014, nella Sala Regia del palazzo apostolico, nel suo primo discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Francesco ha avvertito che «bisogna rispettare la natura, perché quando viene maltrattata non perdona». Inoltre «l’avido sfruttamento delle risorse ambientali rappresenta una ferita alla pace nel mondo».

Ricordando le vittime del tifone Hayan, che ha colpito le Filippine nel novembre 2013 causando più di cinquemila vittime, il Pontefice ha voluto sottolineare il tema della tutela dell’ambiente come tutela del Creato. «Abbiamo avuto davanti ai nostri occhi gli effetti devastanti di alcune recenti catastrofi naturali, va chiamata in causa la responsabilità di ciascuno, affinché si perseguano politiche rispettose della nostra Terra, che è la casa di ognuno di noi». Perché, ha ricordato, «Dio perdona sempre, noi perdoniamo a volte; la natura non perdona mai quando viene maltrattata». Domenica 9 febbraio 2014 Francesco è tornato sul tema della custodia e del rispetto per il creato. Parole motivate dall'ondata di maltempo che ha investito varie parti del mondo. Il Papa ha pregato «per quanti stanno soffrendo danni e disagi a causa di calamità naturali, in diversi Paesi» e ha osservato che la natura «ci sfida ad essere solidali e attenti alla custodia del creato, anche per prevenire, per quanto possibile, le conseguenze più gravi».

Del resto l'attenzione al creato era già stata espressa dal pontefice nella messa per l'inizio del pontificato, il 19 marzo 2013, quando aveva esortato non solo i cristiani, ma tutti gli uomini e le donne a «custodire l’intero creato, la bellezza del creato», e ad «avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo». Inoltre il 21 maggio 2014, durante l'udienza generale Francesco ha ribadito il suo grido d'allarme: «Dobbiamo salvaguardare l’ambiente o la natura ci distruggerà». E ha lanciato un forte monito: «L’uomo custodisca e salvaguardi l’ambiente o sarà  la stessa natura che lui distrugge ad annientarlo».

Il Papa, in quella stessa occasione, ha ricordato la responsabilità dell’uomo quando ha detto che «Il dono della scienza dello Spirito Santo che ci aiuta a non cadere in alcuni atteggiamenti eccessivi o sbagliati rispetto al Creato» e che il primo di questi errori è costituito dal rischio di considerarci padroni del Creato: non è una proprietà di cui possiamo spadroneggiare a nostro piacimento, tanto meno una proprietà solo di alcuni, di pochi. Ma è un dono che Dio ci ha dato affinché ne abbiamo cura e lo utilizziamo a beneficio di tutti, sempre con grande rispetto e gratitudine». Francesco ha esortato i fedeli a «Custodire il Creato, non padroneggiarlo. Noi siamo i custodi del Creato ma quando lo sfruttiamo distruggiamo anche il segno d’amore di Dio: è come dirgli che il Creato non mi piace, che mi piace solo me stesso. Ecco il peccato! La custodia del Creato è  la custodia del dono di Dio che non va mai distrutto. Non dimenticatelo».

Papa Francesco ha ora concluso il lavoro sull'enciclica dedicata alla tutela del creato, allo sviluppo e alle ricadute sui poveri dello sfruttamento selvaggio della terra. Vale la pena di ricordare come il tema si stato presente anche in diversi interventi di Benedetto XVI. In particolare, nell'enciclica «Caritas in veritate», affrontato nella seconda parte del capitolo quarto, ai paragrafi 48-52. «Il tema dello sviluppo è oggi fortemente collegato anche ai doveri che nascono dal rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale», scrive Papa Ratzinger, ricordando che «la natura è espressione di un disegno di amore e di verità» e quindi «anch’essa è una vocazione». Benedetto citava «le questioni legate alla cura e alla salvaguardia dell’ambiente» che «devono oggi tenere in debita considerazione le problematiche energetiche». Ricordava che «l’incetta delle risorse naturali, che in molti casi si trovano nei Paesi poveri, genera sfruttamento e frequenti conflitti tra le nazioni e al loro interno». Poi faceva presente che «all’uomo è lecito esercitare un governo responsabile sulla natura per custodirla, metterla a profitto e coltivarla anche in forme nuove e tecnologie avanzate in modo che essa possa degnamente accogliere e nutrire la popolazione che la abita. C’è spazio per tutti su questa terra».

Sarà dunque necessario, concludeva Papa Ratzinger, «rafforzare quell’alleanza tra essere umano e ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio». Anche qui, come negli interventi del suo successore Francesco, emerge l'ancoraggio biblico dello sguardo della Chiesa cattolica su questo tema. «Le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente - ricordava Benedetto XVI nella sua enciclica - influiscono sulle modalità con cui tratta se stesso e viceversa».