venerdì 24 aprile 2015

Sinodo. Una lettera quasi dalla fine del mondo


Questa volta dall'Australia e da Papua Nuova Guinea: "Padre Santo, non si limiti ad ascoltare ma dica anche lei cosa pensa, in aula e fuori. E poi decida"

di Sandro Magister



ROMA, 24 aprile 2015 – Le procedure e il loro controllo sono fattori chiave per indirizzare un sinodo. Lo si è visto nella prima delle due sessioni del sinodo sulla famiglia, lo scorso ottobre:

> La vera storia di questo sinodo. Regista, esecutori, aiuti
 (17.10.2014)

Ad esempio, diversamente da come si era fatto nei sinodi precedenti, nell'assise dello scorso ottobre gli interventi dei padri in aula non furono resi pubblici. Ogni giorno venivano forniti dalla sala stampa vaticana soltanto l'elenco degli intervenuti e un riassunto dei temi toccati, ma senza mai dire chi aveva detto cosa.

Molti padri sinodali protestarono contro quella che ritenevano una censura. Ma inutilmente. Papa Francesco in persona aveva deciso così.

E ha mantenuto ferma tale decisione anche per la prossima e conclusiva sessione del sinodo, spiegandone i motivi nell'intervista dello scorso 13 marzo alla vaticanista Valentina Alazraki, per la rete messicana Televisa:

"Un sinodo senza libertà non è un sinodo. È una conferenza. Invece il sinodo è uno spazio protetto nel quale possa operare lo Spirito Santo. E per questo le persone devono essere libere. Per questo mi oppongo a che siano pubblicate le cose che ognuno dice con nome e cognome. No, non si sappia chi lo ha detto. Non ho problemi che si sappia quello che si è detto, ma non chi lo ha detto, in maniera che si senta libero di dire ciò che vuole".

Ciò non toglie che la macchina del sinodo non è intoccabile e da qui a ottobre può essere ancora modificata. Lo stesso Francesco ne ha auspicato una migliore funzionalità, alla luce del principio della collegialità episcopale "cum Petro e sub Petro".

Ed è ciò che suggerisce il teologo australiano Paul A. McGavin, in trasferta in Papua Nuova Guinea, nella lettera aperta al papa pubblicata qui di seguito.

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PENSIERI PER IL PROSSIMO SINODO ORDINARIO

Lettera aperta a papa Francesco

di Paul A. McGavin



Caro Santo Padre,

Sono stato turbato dalla modalità e dalla mentalità della resistenza che lei ha dovuto affrontare nel suo desiderio di dialogare sul cammino della Chiesa nella nostra epoca presente. Quali che siano le riserve su aspetti della sua maniera di governare, capisco che nella divina Provvidenza è lei il papa in questo frangente della storia sacra di cui Dio è l'autore. Questo mi induce a scriverle con franchezza riguardo al prossimo sinodo ordinario.


Reattività psicologica


A mio avviso, un problema cruciale delle reazioni al sinodo straordinario è stata la psicologia di quelle persone che non accettano di leggere o ascoltare pacificamente ciò che è effettivamente detto o scritto. Quando vedo reazioni vendicative nella blogosfera e la veemenza dei pronunciamenti di alcune conferenze, mi rendo conto che abbiamo a che fare con una reattività psicologica che fa temere. Il solo parlare di "comunione ai divorziati risposati" diventa aprire le porte alle unioni omosessuali, aprire le porte alle ordinazioni femminili, aprire le porte a tutti i tipi di confusione e relativismo che pervadono la nostra epoca. Troppo spesso si nota una incapacità psicologica di impegnarsi in discussioni serene su tali questioni difficili, dimostrata in espressioni come “bisogna togliere questo dal tavolo di discussione”.

Nel dispiegarsi delle questioni controverse, nel corso degli ultimi due anni, la sua tendenza è stata quella di asserire più che di spiegare, e tanto meno di dialogare. In modo particolare questo problema si è espresso nel sinodo straordinario. Le parole d'ordine di dialogo e sinodalità sono state utilizzate, ma lei, Santo Padre, ha più ascoltato che dialogato, e nel tirare le somme lei ha asserito e basta.

Per quanto riguarda la questione intricata del divorzio, del nuovo matrimonio e della comunione sacramentale, per me è sensato dire che "non è sufficiente considerare il problema solo dal punto di vista e dalla prospettiva della Chiesa come istituzione sacramentale”. A mio avviso, abbiamo bisogno di un pensiero e di un ragionamento globali, entro l'eredità complessiva e l'autorità della Chiesa. Evidentemente altri non pensano così, e vogliono chiudere ogni discussione. Ci sono molti – tra cui molti vescovi – che non capiscono il senso di questa sua conclusione: "Nessun intervento [sinodale] ha messo in discussione le verità fondamentali del sacramento del matrimonio."

Forse lei, in maniera gesuitica e in forma magisteriale, pensa di dover soprattutto ascoltare, e poi decidere, e anche decidere in un modo ponderato ciò che altri potrebbero vedere come un "compromesso". Ma così andrebbe perduto ciò che lei, e forse lei solo, potrebbe contribuire a dare. La esorto, quindi, a dialogare e a ragionare di più con i suoi interlocutori, per tentare di spiegare come la Chiesa può rimanere fedele alla istituzione fondamentale del matrimonio e insieme rimanere fedele al ministero della riconciliazione ricevuto da Cristo.


Un cambiamento nel processo sinodale


Per ottenere questo occorre ragionare e conversare, e ciò richiede un cambiamento radicale nei processi sinodali. In breve, discutere con i responsabili dell'organizzazione del prossimo sinodo ordinario su come il processo può essere sostanzialmente cambiato ai fini di un processo di dialogo e di apprendimento.

Suggerisco che un cambiamento cruciale sarebbe quello di eliminare gli "interventi di 10 minuti" che inducono a fare dichiarazioni secche e combattive. Invece, i vescovi dovrebbero prima riunirsi in gruppi – e non in gruppi nazionali o linguistici. Si reclutino bravi interpreti, in modo che i vescovi possano sedersi in varie sale del Palazzo Apostolico e dialogare, in modo da effettivamente ascoltarsi l'un l'altro e cercare di trovare punti di incontro tra le diverse percezioni e i modi diversi di fedeltà a ciò che la Chiesa ha ricevuto e alle sfide del mondo a cui e in cui la Chiesa annuncia il Vangelo e serve con l'amore e la misericordia di Dio. Poi ogni gruppo elegga un vescovo che abbia il compito di rappresentare correttamente davanti a una sessione plenaria il consenso o la mancanza di consenso all'interno del suo gruppo, con forse una mezz'ora di tempo per parlare.

All'interno di questo processo, lei dovrebbe aggirarsi senza preavviso tra i diversi gruppi, non solo ascoltando, ma anche contribuendo al dialogo. E anche nella seduta plenaria, nei momenti di dialogo, dovrebbe esplicitare quelle che lei pensa siano risposte motivate alle posizioni espresse – anche con la possibilità che si interloquisca direttamente con ciò che lei ritiene di dire. Naturalmente questo ha i suoi rischi, tra cui interessate "fughe" di stampa.

Se non a un parlamento, questo può sembrare pericolosamente simile a un comitato di comando, piuttosto che all'autorità magisteriale. Ma ciò che può "sembrare" e ciò che "è" sono due cose diverse. Non mi piace “il voto a maggioranza" in materia di dottrina. Credo che nella Chiesa dovrebbe valere il "sembrava buono al Spirito Santo e a noi" di Atti 15, 28 e il papa nel guidare e nel confermare i fratelli dovrebbe immettere questi criteri nella sua esortazione post-sinodale.

Ciò non garantisce che tutti saranno d'accordo con quella esortazione. Ma fa crescere notevolmente la probabilità che ciò che scriverà il papa troverà risonanza in più vescovi e fedeli, e offrirà uno strumento grazie al quale la Chiesa nel suo insieme potrà rimanere fedele all’affidamento ricevuto dal Signore e comunicare meglio la sua missione in un mondo disperato e confuso. Non credo che questo accada quando i vescovi parlano in “estratti di 10 minuti" e decidono con voto numerico. A me questo sembra non ecclesiale.


Conversazioni teologiche


Mi sembra che il suo indirizzare a un modello più ecclesiale potrebbe essere agevolato da conversazioni – preferibilmente nel Palazzo Apostolico, e lontano dagli occhi di Casa Santa Marta – nelle quali lei potrebbe sedersi e anche pranzare con gruppi di teologi provenienti da ambienti adeguati e diversi.

Intendo con ciò che tali conversazioni dovrebbero avere una modalità differente rispetto a quelle che si hanno con il prefetto della congregazione per la dottrina della fede. Vostra Santità è abbastanza a suo agio con un discorso "compatto", ma potrebbe anche beneficiare di affinamenti e potature impegnandosi in un discorso teologico più specificamente intellettuale.

Dicendo così, non sto proponendo una "teologia da scrivania”, poiché sono pienamente d'accordo con il suo istinto per una ben fondata teologia pratica. Io propongo che tali conversazioni consentano di affinare quello che lei dice in forma più nitida e precisa, nel quadro di una più ampia comunicazione come papa e dei suoi contatti con i padri sinodali.


Conversazioni psicologiche


Ho una proposta di conversazioni ancora più sorprendenti per aiutare il suo impegno nelle conversazioni sinodali. Penso che si potrebbero anche invitare psicologi di ambienti adeguati e diversi alle conversazioni riservate e ai pranzi nel Palazzo Apostolico.

Perché? Perché, come noto la resistenza al dialogo da lei proposto, noto anche delle prese di posizione che sono psicologiche e/o epistemologiche prima che teologiche. Noto questo nel modo di reagire che procede da una epistemologia ristretta, che comprende soltanto delle letture lineari e a senso unico delle parole del Signore e della loro accoglienza nella Chiesa. Le convinzioni che si esprimono in questo modo spesso ci dicono di più sulle preferenze psicologiche dei loro autori che su quello che la Chiesa ha ricevuto dal Signore.

Non c'è dubbio che tali inquadramenti psicologici e umanistici suonerebbero offensivi per alcuni. Eppure c'è una tendenza umana costante a far sì che la religione si pieghi ai nostri bisogni. Sulla base di osservazioni che lei fa di tanto in tanto, penso di aver compreso che la religione dei farisei, come raffigurata nel Nuovo Testamento, non procede innanzitutto dal loro patrimonio religioso. I farisei sono una tipologia che si registra in tutte le religioni, e questa tipologia definisce la religione in base alle osservanze, e strettamente delimita tali osservanze, e legittima le osservanze come "giustizia".

È difficile rinvenire la religione farisaica nella presentazione che i Vangeli fanno di Nostro Signore. Al contrario, Gesù si trova in conflitto e in contrasto con questo tipo di osservanza religiosa. E dalle Scritture è chiaro che la Chiesa primitiva si trovò in difficoltà e in conflitto nel lottare con questa tendenza umana. Approfondimenti psicologici in un contesto sinodale possono aiutare a parlare in un modo che permetta di essere "ascoltati" con apertura e a portare avanti conversazioni che altrimenti si chiuderebbero.


Ricerca di un consenso teologico condiviso


Scrivendo così, semplifico notevolmente, perché le configurazioni psicologiche e teologiche nella presente discordia sono complesse. Per dirla senza mezzi termini, le personalità intuitive come la sua hanno difficoltà a comprendere le personalità non intuitive, e viceversa. Guardare i problemi in termini di: "Come pensa questa persona, o come pensano queste persone?" aiuta la comprensione delle epistemologie che vengono selezionate per sostenere le preferenze personali. Queste diverse preferenze nel modo di comprendere (epistemologie) portano anche a diversi modi di fare teologia (teologie).

Lei, Santo Padre, non riuscirà ad attrarre i neo-neo-scolastici al suo modo di pensare. Né riuscirà ad attrarre i modernisti e relativisti agguerriti. Ma capire meglio i diversi modi altrui di pensare le permetterebbe di spiegare il modo di pensare che è suo, come è espresso nei suoi discorsi teologici e nei suoi impegni sinodali. In breve, l'osservazione psicologica profonda può contribuire a generare un dialogo che può portare a un consenso teologico condiviso durante il processo sinodale.

Ho detto "può portare", non "porterà". Nostro Signore era molto acuto psicologicamente, ma i Vangeli non indicano sempre esiti non-conflittuali. I Vangeli mostrano anche che Gesù non riusciva a capire perché i suoi interlocutori non lo capissero: "Sei un maestro di Israele, e non capisci queste cose?” (Gv 3, 10); "Filippo, sono stato con te tutto questo tempo, e tu non mi hai conosciuto?" (Gv 14, 9).

Io però credo che Vostra Santità acquisterebbe nuove conoscenze di ampio respiro grazie a degli incontri periodici, colloquiali e confidenziali, con un gruppo variegato di teologi e con un gruppo variegato di psicologi per esplorare i loro punti di vista sulle configurazioni teologiche e psicologiche già incontrate nel processo sinodale.

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N.B. – Le note che corredano la lettera sono disponibili nella versione inglese della stessa.

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Paul A. McGavin è sacerdote dell'arcidiocesi australiana di Canberra e Goulburn, già capo della School of Business dell'University of New South Wales e preside del consiglio accademico della facoltà, poi sacerdote e parroco, e oggi cappellano dell'University of Canberra, autore di apprezzati saggi.

La foto lo ritrae in Papua Nuova Guinea, dove è in viaggio.