domenica 31 maggio 2015

A Catania Kiko annuncia una grande Convocazione a Roma il 20 giugno a sostegno della famiglia!



Nel corso dell'incontro vocazionale di Catania, Kiko ha annunciato l'appuntamento di Roma


Oggi a Catania, nel corso dell’incontro con gli iniziatori del Cammino Neocatecumenale, Kiko Arguello ha invitato all’appuntamento del prossimo 20 giugno per testimoniare la bellezza della famiglia, di fronte alle nuove ideologie che mirano a distruggere la famiglia naturale.
Il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ed il Cardinale Agostino Vallini, Vicario del Papa per la Diocesi di Roma, hanno dato la propria benedizione all’iniziativa.

*


Un manifesto per dire "no" alle unioni civili

Comitati Sì alla famiglia e Alleanza Cattolica schierati contro le proposte di legge che "preparano" il terreno alle adozioni e al matrimonio omosessuale



Un deciso no alle unioni civili proposte da Renzi. È quanto chiedono i Comitati Sì alla famiglia e Alleanza Cattolica in un manifesto che sarà lanciato nei prossimi giorni sul quotidiano Avvenire e poi su altre testate. "È falso – dichiara Massimo Introvigne, sociologo, presidente dei Comitati Sì alla famiglia e vice responsabile nazionale di Alleanza Cattolica – che le unioni civili costituiscano un’alternativa «moderata» al «matrimonio» omosessuale e alle adozioni."
Tesi sostenuta da molti, soprattutto dopo il referendum in Irlanda, che però cela un inganno. L’Irlanda – continua Introvigne – aveva introdotto le unioni civili nel 2010 e le adozioni nell’aprile 2015. Il referendum ha sancito il cambio di nome di qualcosa che era già identico al matrimonio. Una volta introdotte le unioni civili, la via verso il «matrimonio» è tracciata e ineluttabile".

“Rispettiamo – afferma il presidente dei Comitati Sì alla famiglia – le persone omosessuali in quanto persone. Riconosciamo i diritti e doveri che derivano da ogni convivenza. Sono già garantiti dalle leggi in vigore, che abbiamo proposto di riunire in un testo unico, senza usare l'espressione «unioni civili».
La Corte Europea di Strasburgo ha infatti stabilito che nessun Paese è obbligato a introdurre le unioni civili, ma se lo fa deve includere anche l’adozione. È per questo – conclude Introvigne – che chiediamo a tutti, a partire dalla classe politica: siete favorevoli al «matrimonio» e alle adozioni omosessuali? Sostenete la proposta di legge sulle unioni civili. Siete contrari al «matrimonio» e alle adozioni gay? Non ingannate voi stessi e gli altri, e schieratevi contro le unioni civili di Renzi”.
Zenit

*
Se gli italiani dicono no ai matrimoni gay
di Luigi Santambrogio
L’Europa lo pretende ei l popolo italiano non vede l’ora. Dopo la vittoria dei si al referendum irlandese sulla legalizzazione dei matrimoni gay, pure in Italia le solite fanfare si sono levate a musicare il gaio gingle: ora tocca a noi. Tutte balle, messe i giro dal solito social club gay firiendly della sinistra neo gender e dei diritti extra e tran-sessuali. L’Europa potrebbe anche chiederlo (ci prova), ma il popolo, almeno quello, non pare proprio pronto a  issare l’arcobaleno sui municipi italiani. Lo rivela un sondaggio effettuato dalla Lorien Consulting, pubblicato daItalia Oggi e ripreso (unico giornale a farlo) dal settimanale Tempi. Che dice due cose per niente irlandesi: la maggioranza degli italiani è d’accordo a definire «matrimonio solo l’unione tra un uomo e una donna» e la stragrande maggioranza è contraria alla possibilità di adozione da parte delle coppie omosessuali.
Il sondaggio della Lorien è stato condotto qualche ora dopo dopo l’esito del voto irlandese, dunqueil no all’equiparazione è ancora più significativo perché esercitato controcorrente e a dispetto dell’onda di ritorno mediatica e politica. Le cifre: il 51 per cento giudica negativamente i matrimoni gay, mentre solo il 38 per cento li approva. Tra gli elettori che si auto-definiscono politicamente “moderati” (circa il 69 per cento dei cittadini) la quota dei favorevoli cresce fino al 43 per cento. I sondaggisti tengono a precisare che la stragrande maggioranza degli italiani (76 per cento) ritiene «che si possa definire matrimonio solo l'unione di uomo e donna e che la difesa di questo istituto non significhi essere contro i gay». I favorevoli al matrimonio gay sono invece solo il 40 per cento, percentuale comunque in notevole calo oltretutto (meno 10 per cento) rispetto a un analogo sondaggio effettuato nel marzo scorso. Si possono invece equiparare i diritti delle unioni civili a quelli del matrimonio (56 per cento sul totale degli italiani e 60 per cento per i soli moderati), pur mantenendo due istituti giuridici separati. Esclusa, invece, la possibilità di adozioni da parte delle coppie gay: solo il 24 per cento di favorevoli sul totale e il 18 per cento tra i cattolici praticanti.
Dunque, qualche osservazione conviene farla. Primo: non esiste, se non nella fantasia dei media edelle potenti associazioni gay e Lgbt, un’onda arcobaleno che sta spingendo anche la stragrande maggioranza dei cittadini a chiedere interventi legislativi che introducano i diritto alla parità delle unioni omosessuali al matrimonio tradizionale. Le cifre dicono che queste battaglie non hanno il reale sostegno nella società civile: appartengono a una minoranza chiassosa e a un pugno di sindaci di sinistra a caccia di consensi. Raschiare il barile Lgbt è l’ultima chance per una classe politica e amministrativa (De Magistris a Napoli, Pisapia a Milano e Marino a Roma, tanto per citarne qualcuno) che ha fallito sul piano della buona gestione e del governo delle città. Secondo: il fatto che la maggioranza del campione si sia detta favorevole al riconoscimento dei diritti delle unioni gay, evidentemente indica una cultura non omofoba e di tolleranza sessuale, e forse ignora che la parità è già ampiamente garantita (salvo qualche aggiustamento) dalle leggi già vigenti. Le presunte emergenze omofobiche, quindi, sono quanto di più falso e fantasmatico la sinistra abbia inventato: una messa in scena a soli scopi di bassa macelleria politica. Come la legge Scalfarotto, perseguita solo per estinguere i conti elettorali con le associazioni gay e Lgbt e abolire per legge la libertà di pensiero e di parola, soprattutto quelle dei cattolici. 
Terzo, il tema del riconoscimento dei matrimoni gay non è solo una problema di coppia, apre invece il grande baratro del riconoscimento politico, legislativo e civile dell’indifferenza sessuale. Di conseguenza, della produzione e della manipolazione seriale della vita, della tecno-rapina degli ovuli per la fecondazione, del diritto alla maternità e alla paternità anche in assenza di madri e padri, alla scelta del sesso secondo i desideri e i voleri mai definiti ma continuamente cangianti. Insomma, qui non c’è in ballo solo una distorta concezione della libertà e del diritto a farsi i matrimoni propri (pure un quotidiano come il Foglio pare intellettualmente divertito dall’idea di un referendum all’irlandese), ma di che razza di vita (e di morte) ci stiamo preparando. Eterofobia, unioni gay, fecondazione, mercato degli ovuli e dei gameti, cambio di sesso quando il desiderio urge e il pensiero gender stimola: il catalogo è questo. Per fortuna, pare, gli italiani pare non sono totalmente d’accordo. Qualcuno li prederà sul serio?

Lunedì della IX settimana del Tempo Ordinario




Dal Vangelo secondo Marco 12,1-12. 

Gesù si mise a parlare loro in parabole: «Un uomo piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò un torchio, costruì una torre, poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne andò lontano.
A suo tempo inviò un servo a ritirare da quei vignaioli i frutti della vigna.
Ma essi, afferratolo, lo bastonarono e lo rimandarono a mani vuote.
Inviò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo coprirono di insulti.
Ne inviò ancora un altro, e questo lo uccisero; e di molti altri, che egli ancora mandò, alcuni li bastonarono, altri li uccisero.
Aveva ancora uno, il figlio prediletto: lo inviò loro per ultimo, dicendo: Avranno rispetto per mio figlio!
Ma quei vignaioli dissero tra di loro: Questi è l'erede; su, uccidiamolo e l'eredità sarà nostra.
E afferratolo, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna.
Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e sterminerà quei vignaioli e darà la vigna ad altri.
Non avete forse letto questa Scrittura: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo;
dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri»?
Allora cercarono di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro. E, lasciatolo, se ne andarono.
*

Un altro lunedì apre una nuova settimana importantissima. Certo è dura, come ogni lunedì, e vorremmo che la domenica si estendesse ad ogni giorno della settimana, perché forse c'è, in fondo al cuore, il desiderio di essere già nel Cielo assaggiato nel riposo. Ma questo è il tempo di vivere sino in fondo, sulla terra, la missione che ci è affidata. Il demonio, infatti, non riposa, e continua a sedurre gli uomini come forse mai nella storia. Come Chesterton aveva visto profeticamente, i pagani sono tornati, "mettendo a posto ogni cosa con parole morte, mentre "l’Uomo è trasformato in uno sciocco che non sa chi è il suo signore". Si riconoscono "dalla rovina e dal buio che portano; da masse di uomini devoti al Nulla, diventati schiavi senza un padrone, da un cieco e remissivo mondo idiota; dalla vittoria dell’ignavia e della superstizione, dalla presenza di peccatori che negano l’esistenza del peccato; da questa rovina silenziosa, dalla vita considerata una pozza di fango, dall’onta scesa su Dio e sull’uomo, dalla morte e dalla vita rese un nulla". Fratelli, "gli antichi barbari sono tornati" e hanno bisogno dei cristiani nei quali "la pietra" continui ad "essere scartata" perché "divenga testata d'angolo" della loro vita che sta crollando miseramente. Questa settimana le persone che sono accanto a noi, i "barbari" che si stanno prendendo le scuole dei nostri figli, i giornali, la televisione, il cinema, lo sport e, soprattutto, le menti e i cuori dei giovani, avranno bisogno di vedere quello che "ha fatto e sta facendo il Signore" nella nostra vita perché sia "mirabile" anche "ai loro occhi". Non siamo diversi da loro, anzi. Ed è proprio questa la buona notizia che il mondo sta spettando, l’unica credibile che, accolta, può salvare i barbari. Vanno bene le manifestazioni pubbliche e tutte le iniziative con cui tentiamo di arginare lo tsunami ideologico che si sta avventando. Ma sappiamo bene che “i figli delle tenebre sono più scaltri dei figli della luce”, e per salvare questa generazione non vi è altro modo che offrirgli la “luce” della testimonianza, come accadde al tempo dei primi “barbari”. Scriveva San Paolo: “Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, nei quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle potenze dell'aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. Nel numero di quei ribelli, del resto, siamo vissuti anche tutti noi, un tempo, con i desideri della nostra carne, seguendo le voglie della carne e i desideri cattivi; ed eravamo per natura meritevoli d'ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù” (Ef 2). In queste parole è sintetizzata l'esperienza bimillenaria della Chiesa, e anche oggi è fondamentale che in essa sia offerta a tutti una seria iniziazione cristiana che li accompagni a scoprire e fondare la propria vita sulla "pietra angolare", della quale se ne può rintracciare la fisionomia anche nella parabola del Vangelo. Come Israele, un popolo diverso da ogni altro, scelto per "consegnare i frutti" di un amore che lo ha scelto, salvato, condotto e custodito, nonostante le innumerevoli infedeltà, anche noi siamo stati scelti e "piantati nella vigna", immagine della Chiesa. E anche noi, duri a convertirci come Israele, davanti all’albero che ci chiamava all’obbedienza, abbiamo creduto di poterci appropriare dell’eredità che invece Dio aveva preparato per noi come un dono. Siamo stati nella Chiesa come Israele nella vigna: il demonio ci ha ingannati presentandoci la falsa immagine di un Dio geloso e siamo così diventati ospiti, stranieri, e nemici in casa nostra. Abbiamo creduto che la famiglia nella quale siamo nati, e poi la scuola, il quartiere, e i fatti che abbiamo vissuto avessero dentro il veleno di un Dio ingiusto che non ci amava; e allora, per prenderci l’affetto e la giustizia che ritenevamo ci spettassero, ci siamo appropriati dei doni che Dio ci aveva fatto perché, accolti, potessero divenire il frutto colmo d'amore da consegnargli "a suo tempo". Così si spiega il parossismo della violenza che appare nel Vangelo, lo stesso che affligge tante relazioni, in famiglia, tra gli amici, in ogni ambito della società. Violenza che cresce sino ad uccidere Cristo, l'erede che viene a consegnare i frutti di una vita riscattata, riconciliata e per questo santa. 

Prima di entrare in questa settimana, possiamo chiederci senza ipocrisia che cosa abbiamo fatto dei tanti profeti, delle tante parole, dei segni inviati alla nostra vita, e scopriremo che, proprio come accade oggi nel mondo, li abbiamo“afferrati, bastonati, coperti di insulti e mandati a mani vuote”, e spesso li “abbiamo uccisi” nei nostri cuori per non sentire la verità che ci chiamava a conversione. E, come Israele, tante volte non abbiamo compreso e riconosciuto l'estremo atto d'amore del Padre; non abbiamo accolto il Figlio offertoci come ultima chance, purissima misericordia di un Padre che non si rassegna nel vedere i suoi figli dilapidare la primogenitura. E' vero, siamo stati infedeli, abbiamo ucciso il Figlio che Dio ha mandato a noi “afferrandolo e gettandolo morto fuori della vigna”, ovvero dalla nostra vita, perché chiusi ostinatamente nei nostri giudizi, nel rancore, nell’orgogliosa difesa della nostra giustizia. Lo abbiamo ucciso rifiutando il perdono, ma se siamo qui oggi ad ascoltare questa parola significa che abbiamo sperimentato la ricchezza della misericordia di Dio, più ostinato nell’amore della nostra ostinazione nella superbia! Lo abbiamo “visto come una meraviglia ai nostri occhi”: Dio ha risuscitato suo Figlio in noi e con noi! Per questo, “ora, in Cristo Gesù, non siamo più stranieri né ospiti” nella Chiesa, “ma siamo concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come “pietra angolare” lo stesso Cristo Gesù” (Ef 2). Sì fratelli, nella Chiesa stiamo sperimentando ogni giorno che Dio sta “sterminando quei vignaioli” che sono immagine del nostro uomo vecchio e sta "consegnando" le grazie della “vigna” all’uomo nuovo che sta creando in noi a poco a poco in Cristo. Noi, che “eravamo pagani per nascita, senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo”, noi “che un tempo eravamo i lontani siamo diventati i vicini grazie al sangue di Cristo”. Lo annuncia la nostra vita salvata dall’idolatria, la nostra famiglia e i nostri figli nati in obbedienza alla volontà del Dio della vita. Lo dicono soprattutto le nostre cadute tra le braccia di Cristo, i nostri peccati affogati nelle acque della misericordia della Chiesa. Lo dice la nostra gioia piena che scaturisce dal sentirci amati così come siamo, perché Cristo risorto è “con noi ogni giorno” e stiamo sperimentando il suo “potere” su ogni demonio che attenta alla nostra vita, che ci perdona e ci rialza sempre. Coraggio allora, fratelli, entriamo in questa settimana per “ammaestrare” con l’annuncio e la testimonianza, “tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, immergendo cioè ogni “nuovo barbaro” che incontreremo, nell’amore che ha salvato noi. Solo così potremo “insegnare loro ad osservare” tutte le parole di vita che Gesù ci ha annunciato e sta compiendo in noi. .   

Appunti per leggere la cronaca e la storia con gli occhi della fede...

Attentati di Londra 2005

Correva l'anno 2005

di Enrico Cattaneo

Fare memoria è anche un modo per leggere la storia e comprendere meglio il nostro presente. Penso ai giovani che oggi hanno vent’anni, e dieci anni fa erano ancora dei ragazzi che non potevano sapere e comprendere tutto quello che allora accadeva. 
L’anno 2005 è stato molto importante per la Chiesa Cattolica. Infatti il 2 aprile, terminava il suo viaggio terreno il Papa Giovanni Paolo II (Karol Jósef Wojtyła), all’età di 85 anni, dopo un pontificato durato 26 anni, 5 mesi e 17 giorni, uno dei più lunghi della storia dei 264 papi di Roma. Era il sabato, vigilia della II domenica di Pasqua, che egli stesso volle che fosse chiamata “Domenica della divina Misericordia”. Nove anni più tardi, il 27 aprile 2014, egli sarebbe stato proclamato santo da Papa Francesco, assieme a papa Giovanni XXIII (clicca qui). L’8 aprile si svolsero i suoi funerali, alla presenza dei principali capi di Stato di tutto il mondo. L’omelia fu tenuta dal card. Ratzinger. Nei giorni precedenti si calcola che una folla dai 3 ai 5 milioni di persone abbiano reso omaggio al suo feretro. Quell’anno la Pasqua cattolica era caduta il 27 marzo, e la consueta Via Crucis al Colosseo nel Venerdì Santo fu guidata dal card. J. Ratzinger, mentre Giovanni Paolo II era già molto grave. Fu in quella circostanza che l’allora Prefetto della Congregazione della Fede scrisse quelle parole che suonarono a molti troppo severe: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!». E ancora: «Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti». Poteva sembrare una critica al pontificato di Giovanni Paolo II, ma non è possibile pensarlo; era piuttosto la constatazione di quanto nella Chiesa fosse venuta meno l’obbedienza sincera e piena al Magistero, dal momento che molti, più o meno direttamente, stavano in realtà “remando contro”.
Il 19 aprile proprio il Card. Joseph Ratzinger veniva eletto Papa alla quarta votazione, assumendo il nome di Benedetto XVI. Nel suo primo messaggio ai cardinali elettori, Benedetto XVI disse: «Se è enorme il peso della responsabilità che si riversa sulle mie povere spalle, è certamente smisurata la potenza divina su cui posso contare». In quell’anno, Giovanni Paolo II nell’ottobre del 2004 aveva indetto l’Anno dell’eucaristia, che sarebbe terminato nell’ottobre del 2005. Nel frattempo a Colonia (Germania) dal 16 al 21 agosto si tenne la XX Giornata Mondiale della Gioventù, che aveva come tema “Siamo venuti per adorarlo”, ed ebbe la presenza di papa Benedetto XVI. Nella veglia con i giovani, il Papa disse queste forti parole: «I santi... sono i veri riformatori... Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo. Nel secolo appena passato abbiamo vissuto le rivoluzioni, il cui programma comune era di non attendere più l'intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani il destino del mondo. E abbiamo visto che, con ciò, sempre un punto di vista umano e parziale veniva preso come misura assoluta d'orientamento. L'assolutizzazione di ciò che non è assoluto ma relativo si chiama totalitarismo. Non libera l'uomo, ma gli toglie la sua dignità e lo schiavizza. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l'amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore?».
A proposito di santi, nel 2005 Giovanni Paolo II non fece nessuna canonizzazione. Invece Benedetto XVI ne fece cinque (il 23 ottobre):  Giuseppe Bilczewski (1860-1923), arcivescovo di Leopoli; Gaetano Catanoso (1879-1963), sacerdote, fondatore delle Suore Veroniche del Volto SantoZygmunt Gorazdowski(1845-1920), sacerdote, fondatore delle Suore di San GiuseppeAlberto Hurtado (1901-1952), sacerdote gesuita, cileno, fondatore del movimento Hogar de Cristo; Felice da Nicosia (1715-1787), laico professo dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini.
Intanto la Chiesa cattolica in Italia dal 21 al 29 maggio del 2005 aveva celebrato il suo XXIVCongresso Eucaristico Nazionale, con il tema “Senza la domenica non possiamo vivere”. Intervennero molti relatori, tra i quali i cardinali Ruini (allora Presidente della CEI), Betori (allora Segretario generale), Kasper (allora presidente del Pontif. Cons. Unità dei Cristiani) e Tettamanzi (allora arcivescovo di Milano). Nella giornata conclusiva intervenne anche Benedetto XVI, il quale nell’omelia finale disse tra l’altro queste parole: «L’Eucaristia – ripetiamolo – è sacramento dell’unità. Ma purtroppo i cristiani sono divisi, proprio nel sacramento dell’unità. Tanto più dobbiamo, sostenuti dall’Eucaristia, sentirci stimolati a tendere con tutte le forze a quella piena unità che Cristo ha ardentemente auspicato nel Cenacolo. Proprio qui, a Bari, felice Bari, città che custodisce le ossa di San Nicola, terra di incontro e di dialogo con i fratelli cristiani dell’Oriente, vorrei ribadire la mia volontà di assumere come impegno fondamentale quello di lavorare con tutte le energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo. Sono cosciente che per questo non bastano le manifestazioni di buoni sentimenti. Occorrono gesti concreti che entrino negli animi e smuovano le coscienze, sollecitando ciascuno a quella conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso sulla via dell’ecumenismo. Chiedo a voi tutti di prendere con decisione la strada di quell’ecumenismo spirituale, che nella preghiera apre le porte allo Spirito Santo, che solo può creare l’unità». 
Per quanto riguarda i cattolici italiani, il 22 febbraio 2005 spirava a Milano a 83 anni don Luigi Giussani, il fondatore di “Comunione e Liberazione”. Le esequie nel duomo di Milano furono presiedute il 24 febbraio proprio dall’inviato di Giovanni Paolo II, il Card. Ratzinger, il quale tenne anche l’omelia. In occasione del settimo anniversario della morte, il 22 febbraio 2012 è stato dato l'annuncio della formale richiesta di Nihil obstat alla Santa Sede per dare inizio alla fase diocesana del processo per la causa di beatificazione e canonizzazione di don Luigi Giussani. Dopo l'ottenimento del Nihil obstat, dal 13 aprile 2012 Luigi Giussani è Servo di Dio.
Nel 2005 i cattolici italiani sono stati coinvolti nella questione riguardante la cosiddetta Legge 40del 19 febbraio 2004 sulla “procreazione medicalmente assistita” (FIVET). Questa legge era finalizzata a «favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall'infertilità umana [...] qualora non vi siano altri metodi efficaci per rimuovere le cause di sterilità o di infertilità». Nell’articolo 2 poi si afferma che lo Stato promuove «ricerche sulle cause patologiche, psicologiche, ambientali e sociali dei fenomeni della sterilità e dell'infertilità» e favorisce «gli interventi necessari per rimuoverle nonché per ridurne l'incidenza», ma nel rispetto di «tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Alle tecniche di procreazione assistita possono accedere solo «coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi». È vietato il ricorso a tecniche di fecondazione eterologa ed è vietata l'eugenetica.
La legge prevede un limite di produzione di embrioni «comunque non superiore a tre» e con l'obbligo di «un unico e contemporaneo impianto». L'articolo 14 vieta la crioconservazione degli embrioni, per ridurre il soprannumero di embrioni creato in corso di procreazione assistita. La crioconservazione è però consentita per temporanea e documentata causa di forza maggiore, non prevedibile al momento della fecondazione. La promulgazione di questa legge 40 fu vista dalla minoranza parlamentare (di cultura radical-liberale) come una bruciante sconfitta, e così propose un referendum popolare per abrogarla e tornare così alla più totale anarchia. Il referendum fu accettato dalla Corte Costituzionale, e pose i cattolici in un serio dilemma.

La Legge 40 infatti non si basava certamente sui principi morali della dottrina cattolica, che peraltro in questo campo non fa che applicare la legge naturale, cioè sostenere il concepimento per via naturale (solo all’interno della quale è possibile un intervento di assistenza medica) e il rispetto della vita umana, compresa quella dell’embrione. Ora votare per l’abrogazione della Legge 40 avrebbe significato il ritorno alla discrezionalità più assoluta, mentre votare per il suo mantenimento avrebbe significato dare un’approvazione a ciò che in coscienza i cattolici e gli uomini di retta ragione non potevano approvare. I vescovi, guidati dal Card. Ruini, suggerirono allora la via dell’astensione. Così quando il 12 e 13 giugno 2005 si tenne il referendum, partecipò solo il 25,9% degli aventi diritto, perciò non fu raggiunto il quorum e la Legge 40 rimase. È in quel contesto che nacque l’Associazione Scienza e Vita. Negli anni successivi però ci pensarono i pronunciamenti della Corte Costituzionale a smantellarla, così che oggi si può dire che ben poco di quella legge sia rimasto in piedi (leggi qui).
Su queste tematiche, è bene ricordare che in Spagna, sotto il governo del socialista Zapatero, con la legge n. 13/2005, approvata dalle Cortes Generales il 30 giugno 2005 ed entrata in vigore il 3 luglio dello stesso anno, nell’ordinamento spagnolo si è modificato il diritto di famiglia, in quanto è stata estesa, per la prima volta nel Paese iberico, la possibilità di contrarre matrimonio civile anche alle coppie omosessuali (c.d. ‘matrimonio omosessuale’).
Per completare la panoramica dei principali avvenimenti del 2005, ricordiamo che il 15 gennaio fu eletto Abu Mazen alla presidenza dell'Autorità Nazionale Palestinese, carica precedentemente ricoperta fino alla morte dal leader palestinese Yāser Arafāt. Abu Mazen è il primo presidente palestinese nominato sulla base dell'esito di una tornata elettorale. Pur essendo il suo mandato scaduto il 23 novembre 2008, egli è ancora in carica, poiché ha prorogato unilateralmente la durata del suo mandato al 15 gennaio 2009, in base ad una clausola costituzionale, e poi è rimasto al suo posto alla scadenza di tale proroga.
Il 30 gennaio il popolo iracheno scelse i 275 rappresentanti della nuova Assemblea Nazionale Irachena (a maggioranza sciita). Questo voto rappresentò la prima elezione generale dall'invasione statunitense dell'Iraq nel 2003 e fu un passo importante nel passaggio del controllo del paese della coalizione occidentale agli Iracheni, ma di fatto la guerra intestina tra sunniti e sciiti e quella contro la coalizione occidentale non fece che intensificarsi, fino all’attuale situazione disastrosa, con l’ISIS che occupa gran parte del nord Iraq.
Il 7 luglio avvennero a Londra alcuni attentati suicidi in contemporanea su bus e metro, causando 55 morti e 700 feriti. Essi furono rivendicati dall’organizzazione terroristica islamica Al-Qaida. Il 23 luglio a Sharm el-Sheick, località turistica sul Mar Rosso (Egitto) un attentato suicida di matrice islamica provocò 88 morti e circa 150 feriti. In agosto, gli ultimi coloni israeliani lasciano la striscia di Gaza.
In Africa anche nel 2005, carestie, malattie come malaria e AIDS, guerre civili hanno generato milioni di profughi e rifugiati. Ampie zone del Sudan, della Repubblica Democratica del Congo, dell’Uganda e del Burundi sono state sconvolte da drammatici conflitti nei quali le vittime principali sono stati i civili, e in particolare donne e bambini. Altre tensioni sono nate da conflitti sulla distribuzioni delle risorse, in particolare petrolifere come in alcune zone della Nigeria. In Kenya il 14 luglio fu assassinato monsignor Luigi Locati, vescovo di Isiolo, un uomo forse troppo buono, che però dava fastidio a qualcuno
Può forse essere interessante ricordare che nel febbraio 2005 fu progettato YouTube e messo in rete nell’aprile. Guardando ora a questi ultimi dieci anni, si può dire che il mondo è profondamente cambiato, e certamente non in meglio. Basta ricordare la crisi economica scoppiata nel 2007/8; le cosiddette “primavere arabe” (Tunisia, Egitto, Libia, Siria...) con la caduta dei “dittatori” e quello che ne è seguito; la nascita dell’ISIS (= Islamic State of Iraq and Syria), con le sue decapitazioni, deportazioni, massacri; la diffusione della sua ideologia in Africa (Somalia, Nigeria, Mali...); il martirio dei cristiani; il dramma dei profughi nel Mediterraneo... Era stato profeta Benedetto XVI quando proprio nel 2005 disse che la dittatura del relativismo era la sfida principale che la Chiesa e l'umanità avrebbero dovuto affrontare.
Tutti questi avvenimenti del 2005 avvennero mentre il Presidente degli Stati Uniti era George W. Bush, quello della Russia, Vladimir Putin; in Italia il Capo dello Stato era Carlo Azelio Ciampi, il Presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi e Antonio Fazio era Governatore della Banca d’Italia (fino al 29 dicembre, quando gli subentrò Mario Draghi).

Ma per noi il vero Padrone del mondo era ed è il nostro Signore Gesù Cristo, Re di giustizia e di pace, al quale sia gloria ora e per sempre. A Lui si devono tutti gli atti di bontà, di altruismo, dedizione, di impegno per la verità, la giustizia, la solidarietà, tutte cose che non rientrano nelle cronache e nei libri di storia, ma che contribuiscono a rendere il mondo più umano e più divino.

Più forte di ogni male



Art07_03
di Costanza Miriano
Quando ho fatto la cresima (devo usare il passato remoto? Avevo 19 anni, 25 anni fa, e questa è una notizia che mi coglie un po’ alla sprovvista) alla fine della cerimonia ci regalarono una rosa, e un versetto della Bibbia. Quella che mi è capitata – bisognava pescare da un cestino, e dichiaro solennemente di non avere sbirciato, o più precisamente di non esserci riuscita – è stata: questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi, e la vostra gioia sia piena, dal Vangelo di Giovanni. Vorrei poter dire che è diventata il mio manifesto. Le cose che Gesù mi dice mi interessano perché c’è una profonda convenienza. E cioè perché danno gioia. Gioia piena. Lo abbiamo scelto anche come Vangelo per le nozze.
Quando si entra, si cerca di entrare nella logica del Signore, ogni atto è segnato dalla gioia, anche quello che momentaneamente sembra contenere un seme di morte. È questa la linea che percorre tutti gli interventi del Cardinal Bassetti, raccolti nel suo libro La gioia della carità, Marcianum Press. Lettura che consiglio anche perché i proventi del libro saranno devoluti al Fondo di solidarietà delle Chiese umbre per le famiglie in difficoltà. Ma non solo per questo. Leggerlo è stato fare un tuffo nella ricchezza della Chiesa umbra, nel carisma di un uomo di Dio nato in anni e condizioni difficili che gli hanno lasciato il cuore spalancato alle esigenze dei poveri. Alla luce di queste esigenze il Cardinale rilegge tutte le situazioni nelle quali è chiamato a dire una parola. Una fra tutte, la beatificazione di Madre Speranza Gesù.
Scelgo di parlare di lei perché è nel suo santuario che ho fatto tutti i ritiri fino alla cresima, ed è nel suo santuario che, in confessionale, ho ricevuto le parole di misericordia più struggenti, materne, grondanti amore pazzo che mi sia mai capitato di sentirmi rivolgere. I sacerdoti formati nel santuario dell’Amore misericordioso di Colvalenza (vicino Todi, Perugia) vengono formati alla misericordia acrobatica, estrema, sfacciata. È stato questo l’annuncio che Madre Speranza, suora spagnola catapultata nel centro dell’Umbria, Gesù ha incaricato di portare al mondo. I suoi scritti, come ricorda il cardinal Bassetti, iniziano spesso con “Gesù mi ha detto…”, e le sue esperienze mistiche sono un tesoro che attende ancora di essere svelato. Il suo messaggio è che il Padre è un Padre buono che ama con un amore sconvolgente tutti i suoi figli; un Padre sempre pronto ad accogliere, a braccia aperte, quelli che a lui si rivolgono.
Prima di accordarmi questa misericordia, però, Padre Arsenio, che è stato il mio padre spirituale da piccolina, ascoltava con estrema serietà le mie confessioni, e aggrottava la fornte con un’espressione addolorata al sentire i miei peccati ma con un dolore vero e profondo, anche se oggi stento a immaginare cosa potesse addolorarlo così tanto quando avevo, che so dieci, dodici anni. Ma più si pulisce, a quell’epoca penso di poter dire che ero abbastanza decente, più si vede lo sporco… Questo per dire che la misericordia parte sempre dal vedere la miseria. Certi che l’amore è più forte di ogni male.

L'attesa dell'innocente


Scene dalla vita di Giobbe, Anonimo fiammingo 1480-90 (particolare)


di Luigino Bruni
Le grida delle vittime aumentano la loro forza quando sono ripetute. Nel suo discorso finale Giobbe continua a ripetere le sue domande e le sue grida, difende per l’ennesima volta la sua innocenza, lancia ancora una volta il suo urlo verso il cielo: il povero non è povero perché è colpevole. Un uomo può essere povero, sventurato e innocente. E se è innocente, qualcuno deve aiutarlo a rialzarsi. Dio per primo, se vuole essere diverso dagli idoli. Il vero delitto di cui si sono spesso macchiate anche le religioni è uccidere i poveri convincendoli che sono colpevoli e che hanno meritato le loro condizioni sventurate; e così noi siamo giustificati nella nostra indifferenza, alla quale cerchiamo di associare anche Dio. Girando per Nairobi (da dove sto scrivendo queste righe) l’urlo di Giobbe è assordante; le nostre mancate risposte mascherate dalle ideologie riecheggiano ovunque. Solo in compagnia di Giobbe si può camminare nelle "periferie del capitalismo" sregolato sperando di restare un po’ giusti. Riconoscerlo lungo le strade, accostarsi alle sue ferite, e tentare almeno di fare silenzio per ascoltare fino in fondo il suo grido. 

Gli amici di Giobbe hanno smesso di parlare. Lui resta di nuovo solo sul suo mucchio di letame, ferito nel corpo e affondato dentro un buio del cuore che solo Elohim potrebbe rischiarare pronunciando parole diverse da quelle che gli hanno attribuito i suoi interlocutori, i ruffiani di Dio, i nemici della vittima e dello sventurato. Elohim, però, non arriva. La sua assenza sta diventando la presenza più ingombrante al centro del dramma. Giobbe lo ha invocato, lo ha querelato, lo ha chiamato in causa come giudice di ultima istanza per difenderlo da Dio stesso, ha persino pronunciato un primo giuramento di innocenza; ma Elohim non arriva nell’aula del "tribunale", non parla, non risponde. E in questa attesa di un Dio diverso che tarda a venire, sul mucchio di letame di Giobbe giunge la "nostalgia": «Potessi tornare com’ero ai mesi andati … quando Dio proteggeva la mia tenda, quando l’Onnipotente stava ancora con me e i miei ragazzi mi circondavano» (29,2-5). È una nostalgia che acuisce il suo dolore. È gioioso ricordare la primavera durante l’inverno quando si crede o si spera che la primavera di ieri sta per ritornare domani. Ma quando l’inverno non sboccia in una nuova primavera, quando la notte non genera una nuova alba perché è l’ultima notte, il ricordo dei tempi della luce e dei germogli aumenta solo la sofferenza nel freddo di quell’ultimo inverno. È doloroso il ricordo della giovinezza nella vecchiaia se non abbiamo accanto almeno un bambino nel quale sentiamo rivivere una nostra futura giovinezza, tutta diversa, tutta e solo gratuità. La nostalgia che salva è solo la nostalgia di futuro.

Ma in quell’ultimo ricordo dei giorni delle benedizioni ci sono molte altre cose. Innanzitutto Giobbe ci trova una un’ulteriore ultima prova della sua innocenza e giustizia: «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo. Padre io ero per i poveri». E con la poesia a cui ci sta abituando, aggiunge: «Ho stretto un patto con i miei occhi, di non fissare lo sguardo su nessuna ragazza» (29,15-16; 31,1). E come tesi gemella a quella della sua innocenza, rincontriamo poi la sua accusa a Dio, sempre più chiara, sempre più forte, sempre più scandalosa e mirabile: «Mi ha gettato nel fango: sono diventato come polvere e cenere. Io grido a te, ma tu non mi rispondi, insisto, ma tu non mi dai retta» (30,19-23). Il Dio biblico è un Dio vicino al povero, che risponde all’innocente che lo invoca; è prossimo alle vittime, corre in aiuto di chi grida. Il Dio che sta conoscendo Giobbe no: Giobbe grida e Dio non arriva.

Se la Bibbia ci ha voluto mostrare un Dio che non risponde a Giobbe, è possibile trovare una verità nel Dio che non risponde quando dovrebbe farlo. Se guardiamo bene il mondo scopriamo che Dio continua a non rispondere a Giobbe che grida. È questo Dio muto quello che i poveri della terra conoscono. Allora, forse, se vogliamo sperare di incontrare "veramente" lo spirito di Dio nel mondo, e non restare catturati da qualche idolo fuori e dentro le religioni, dobbiamo scoprirlo dentro le grida senza risposta, dobbiamo cercarlo dove non c’è. Le ultime parole di Giobbe contengono poi un immenso "giuramento di innocenza" (se ho fatto questo delitto, mi colga questo male…). Giobbe lo aveva già pronunciato (27,1-7), ma ora diventa più solenne, finale, estremo. Un ultimo giuramento che contiene una perla, uno dei messaggi più grandi e rivoluzionari di tutto il libro e di tutti i libri. Nelle sue ultime parole scopriamo in che cosa consista veramente per Giobbe l’innocenza : -«Se il mio cuore si lasciò sedurre da una donna, altri si corichino con mia moglie… Se ho rifiutato ai poveri quanto desideravano, se ho lasciato languire gli occhi della vedova, se da solo ho mangiato il mio tozzo di pane, senza che ne mangiasse anche l’orfano … mi si stacchi la scapola dalla spalla e si rompa al gomito il mio braccio … Se ho riposto la mia speranza nell’oro e all’oro fino ho detto: "Tu sei la mia fiducia"’… Se, vedendo il sole risplendere e la luna avanzare smagliante, si è lasciato sedurre in segreto il mio cuore e con la mano alla bocca ho mandato un bacio ...» (31,5-10;16-28). Maltrattare e non soccorrere i poveri, l’adulterio, e le molte forme di idolatria (ricchezza e astri): sono questi i reati e i delitti più gravi per Giobbe, per tutti.

Ma a un certo punto Giobbe aggiunge qualcosa che a prima vista ci lascia molto perplessi, stupiti, turbati. Sembra che Giobbe alla fine della sua arringa pronunci una ammissione di colpevolezza: «Non ho nascosto come uomo la mia colpa, tenendo celato nel mio petto il mio delitto» (31,33-34). Proprio nell’ultimo atto della sua difesa, a pochi passi dal traguardo si arrende, e seguendo i consigli degli amici ammette di essere colpevole, nega la sua innocenza che era stata il solo bene che aveva salvato nel tracollo totale. È questo il senso di queste parole? No. Giobbe qui ci sta dicendo qualcosa di diverso e molto importante, come sua ultima parola, come un testamento. 

Riconoscendo la colpa , Giobbe conclude i suoi discorsi allargando il territorio dell’innocenza umana fino a comprendervi anche il peccato. L’uomo giusto non è chi non pecca, chi non compie delitti, perché peccare è parte della condizione umana. Giobbe ha sempre negato la teologia economica degli amici che associavano la sua condizione di sventurato al suo peccato. Ora capiamo in pienezza che la giustizia e l’innocenza di Giobbe non consistono nell’assenza di peccati, di cadute morali. Anche Giobbe ha peccato. Si possono commettere peccati e persino delitti restando giusti se non si esce dalla verità su di sé e dalla verità sulla vita. È la menzogna il grande e unico peccato contro il Dio di Giobbe, il peccato di chi sa di sbagliare e tiene "celata nel petto la colpa", perché ammettendola e riconoscendola pubblicamente dimostrerebbe la volontà di conversione, e resterebbe giusto. Ci sono persone ingiuste e non innocenti che ricevono lodi pubbliche e onorificenze civili, e le carceri sono piene di giusti come Giobbe. Dio, se non è un idolo, non è libero di non perdonare il peccato dei giusti. Allora con le sue ultime parole Giobbe ci sta dicendo qualcosa di decisivo per ogni esperienza di fede: anche il peccatore può restare innocente. E se anche il peccatore resta dentro il territorio dell’innocenza, allora ci si può sempre risollevare dopo ogni caduta: innocenti si può tornare. Giobbe lo sa, perché crede e spera solo in questo Dio.

È con questa innocenza sincera, vera, onesta, che Giobbe termina il racconto della sua storia. Ha svolto il suo compito, ha terminato la sua missione. Ha combattuto una buona battaglia. Ha conservato la fede nell’uomo, in Elohim, nella propria dignità, nel proprio onore, nell’innocenza dell’uomo, di ogni uomo. E lo ha fatto per noi, continua a farlo per noi, per includere nel regno degli innocenti anche i peccatori che continuano a essere giusti. Ora può solo attendere che anche Dio faccia la sua parte, aspettare la sua comparsa nell’aula del tribunale della terra. È lì che lo aspetta: «Ecco qui la mia firma! L’Onnipotente mi risponda! … mi presenterei a lui come un principe» (35,35-37). Giobbe ha terminato la sua prova con la dignità dell’uomo libero e vero. E si sente un re, «un principe», e può aspettare Dio a testa alta. Giobbe è nel tempo di avvento, attende ancora Dio; ma ora sa che se verrà sarà diverso da quello della gioventù. Quel primo Elohim è stato spazzato via dallo stesso vento impetuoso che ha cancellato i suoi beni. Ma non ha smesso di attenderlo, continua ad avere nostalgia di Dio, una nostalgia di futuro.

Nelle prove della vita, anche in quelle grandi e tremende, la cosa importante, la sola cosa veramente importante, è arrivare fino alla fine della notte, non smettere di attendere un altro Dio, e giungere a questo incontro decisivo a testa alta. Non tutte le attese di Dio avvengono a testa alta, perché per tenere la testa alta e poter guardare Elohim negli occhi quando arriverà occorre vivere le prove della vita come Giobbe, non accontentandosi di un dio minore e di un uomo peggiore per salvarsi. Giobbe giungendo come un principe alla fine della sua difesa ha continuato ad allargare l’orizzonte dell’umano buono fino a farlo coincidere, sulla linea dell’orizzonte, con il cielo buono del suo Dio.

l.bruni@lumsa.it

Nessuna persecuzione nel nome di Dio

Fondamentalismo e violenze contro i cristiani


di Bruno Forte
Lo scorso 3 aprile, al termine della via Crucis al Colosseo, seguita da una folla immensa, Papa Francesco ha rivolto una toccante preghiera a Dio, ricordando le ferite di Cristo sofferente riconoscibili in quelle dell'umanità perseguitata. In particolare, Francesco ha fatto riferimento ai cristiani «perseguitati e crocifissi sotto i nostri occhi e spesso con il nostro silenzio complice». In sintonia con queste parole del Papa, i vescovi italiani hanno indetto per sabato 23 maggio, veglia di Pentecoste, una giornata di preghiera nazionale dedicata a coloro che in tutto il mondo soffrono per la mancanza di libertà religiosa, uno dei più elementari diritti umani: “In tutte le chiese si preghi per rompere il muro dell’indifferenza e del cinismo, lontano da ogni strumentalizzazione ideologica o confessionale”. Lo stesso Francesco, riferendosi in altre occasioni ai genocidi del secolo scorso, a cominciare dal massacro armeno del 1915, ha ricordato le persecuzioni e gli stermini di oggi, richiamando su di essi l’attenzione di un mondo che appare fin troppo distratto. Le ferite aperte vanno dall’Iraq alla Siria, dal Pakistan all’Arabia Saudita, dall’Egitto alla Libia, al Mali, alla Nigeria, al Centrafrica, alla Somalia, alla Cina, fino alla lunga «via crucis» del Medio Oriente. Lo stesso anno in corso è iniziato con la strage di 23 cristiani copti, proprio il giorno di Capodanno, nella chiesa dei Due Santi ad Alessandria d'Egitto, paese in cui questi credenti in Cristo stanno rapidamente diminuendo a causa di un inarrestabile esodo, analogo a quello che avviene per i cristiani in Libano. A poca distanza di tempo, lo sgozzamento dei ventuno copti da parte di estremisti islamici in Libia ha gettato un ulteriore, violento fascio di luce su questo dramma in corso. In altri luoghi, come la Siria, l’esodo dei cristiani e non solo di essi è stato accelerato dai gravissimi conflitti in corso. La strage di studenti cristiani all’università di Garissa in Kenya, poi, avvenuta giovedì 2 aprile ad opera dei militanti del movimento somalo Al-Shabaab, ha rappresentato un ennesimo segnale della violenza anticristiana crescente. In maniera accorata Papa Francesco ha invitato la comunità internazionale a non «voltare lo sguardo dall’altra parte». Sicuramente, il tema delle persecuzioni religiose è spinoso e non esente dal rischio di accomunare situazioni molto diverse tra loro, alimentando in alcuni la retorica dello scontro tra le religioni. In riferimento ai conflitti in corso in diversi paesi del Medio Oriente, va anche tenuto presente che la maggioranza delle vittime in quelle zone è musulmana e che il primo obiettivo di molti movimenti estremisti è quasi sempre l’establishment dei paesi islamici stessi, accusato di aver abbandonato la “vera fede”. Va pure ricordato che la stragrande maggioranza dei credenti dell’Islam è formata da gente pacifica, fortemente desiderosa di pace. La violenza del fondamentalismo nasconde in realtà molto spesso una serie di regolamenti di conti tra bande, gruppi e fazioni rivali, sì che l’ispirazione religiosa viene strumentalizzata come copertura per la più efferata criminalità.
Di fronte a questi scenari, la condanna di ogni violenza esercitata in nome di Dio va ribadita senza esitazione alcuna: chi colpisce o uccide un essere umano per motivi pretestuosamente definiti “religiosi”, sta in realtà offendendo nella maniera più grave lo stesso Dio che dice di onorare, perché secondo ogni visione autenticamente religiosa la creatura porta impressa in sé l’immagine del Creatore. La violenza in nome di Dio è pura e semplice bestemmia, che grida al cospetto dell’Eterno: nessuna giustificazione può motivarla, e chi volesse coprirla di una motivazione riconducibile in qualunque modo all’adorazione del Signore o alla ricerca della Sua gloria, starebbe semplicemente negando la figura dell’unico Padre celeste, che abbraccia ciascuna delle Sue creature con la Sua provvidenza e premura. Alla ferma condanna dell’esercizio della violenza per motivi religiosi va aggiunta la necessità di prendere coscienza da parte di tutti i credenti dell’urgenza morale e spirituale di chiedere perdono delle colpe commesse in nome di Dio. In questo senso rimane emblematico l’invito che in occasione del grande giubileo del 2000 Giovanni Paolo II rivolse alla Chiesa a riconoscere le colpe del proprio passato, come pure l’esempio da lui stesso dato in vista di una “purificazione della memoria”. Si trattò di una novità coraggiosa, se si pensa che nell’intera storia della Chiesa solo due precedenti potevano essere indicati. Il primo del papa olandese Adriano VI, che, in un messaggio alla Dieta di Norimberga del 25 novembre 1522, aveva riconosciuto apertamente “gli  abomini, gli abusi [...] e le prevaricazioni” di cui si era resa colpevole “la corte romana” del suo tempo, “malattia [...] profondamente radicata e sviluppata”, estesa “dal capo ai membri”. L’altro è quello di Paolo VI che, nel discorso di apertura della seconda sessione del Concilio Vaticano II, aveva domandato “perdono a Dio [...] e ai fratelli  separati” che si sentissero offesi dalla Chiesa cattolica, dichiarandosi  pronto, da parte sua, a perdonare le offese ricevute. Certamente, per individuare le colpe passate di cui chiedere perdono è necessario coniugare correttamente il giudizio storico e quello teologico. Da solo, il giudizio storico potrebbe giustificare qualunque azione in nome delle circostanze e delle mentalità del tempo, perché, come osservava Benedetto Croce, “la storia non è giustiziera, ma giustificatrice”!  Occorre perciò unire all’indagine critica la valutazione morale, di maniera che là dove si giunga alla convinzione che nel passato è stato compiuto un atto contrario alla verità e alla carità si riconosca la necessità di chiederne perdono a Dio e per quanto possibile di farne ammenda. Il rifiuto di ogni storicismo equivale anche alla rinuncia ad ogni forma di apologetica pregiudiziale: soltanto la verità rende liberi (cf. Gv 8,32)! La purificazione della memoria si compie insomma nel presente e incide in esso anzitutto nello stimolare a non ripetere gli errori passati, a vigilare perché le ferite inferte siano sanate e a promuovere una maggiore corrispondenza della vita dei credenti alle esigenze morali e spirituali. Perciò, nel ribadire che “i cristiani sono invitati a farsi carico, davanti a Dio e agli uomini offesi dai loro comportamenti, delle mancanze da loro commesse”, Giovanni Paolo II significativamente aggiungeva: “Lo facciano senza nulla chiedere in cambio, forti solo dell’amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori”. Solo chi rifiuta ogni violenza e si fa carico onestamente degli errori propri e della propria comunità può anche credibilmente condannare ogni genere di persecuzione e di offesa alla dignità della persona umana, specialmente se commesse in nome di Dio.
Fonte: Il Sole 24 Ore, Domenica 31 Maggio 2015, 1 e 14

Il corpo femminile campo di battaglia del ventunesimo secolo




Al seminario internazionale organizzato dal mensile dell’Osservatore Romano. Spine dorsali di comunità devastate

Tre giorni di convegno. Sabato 30 maggio si è svolta la seconda giornata del seminario internazionale sul tema «La Chiesa di fronte alla condizione delle donne oggi» organizzato da «donne chiesa mondo», mensile dell’Osservatore Romano, nella Casina Pio IV in Vaticano. I lavori, trasmessi in diretta streaming, si concludono domenica 31 con la sessione finale e la messa celebrata dal segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin. Insieme a una cronaca, pubblichiamo stralci di due delle relazioni tenute nella mattina di sabato, nella sessione presieduta da Ulla Gudmundson e dedicata al tema della famiglia: «Far durare» di Claude Habib, scrittrice francese studiosa della letteratura del XVIII secolo, che insegna all’università Paris III, e «Le madri, la filiazione biologica, l’adozione» di Nicole Janigro, psicoterapeuta, analista di formazione junghiana e direttore editoriale di «Frenis Zero».(Silvia Gusmano) «Il corpo femminile è il campo di battaglia del ventunesimo secolo». È la dura denuncia di Clotilde Bikafuluka, suora congolese che lavora con il medico Denis Mukwege contro la barbarie dello stupro collettivo come arma di guerra e coordina la fondazione Padre Simone Vavassori a sostegno delle vittime. La sua testimonianza ha avviato venerdì 29 la prima giornata del seminario internazionale sul tema «La Chiesa di fronte alla condizione delle donne oggi» organizzato da «donne chiesa mondo», mensile dell’Osservatore Romano, nella Casina Pio IV in Vaticano. I lavori, che si concludono domenica 31 con la messa celebrata dal segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, sono stati incentrati nella sessione d’apertura, presieduta da Catherine Aubin, sul tema della violenza (famiglia e identità femminile gli altri argomenti trattati): i lavori hanno tracciato un quadro davvero allarmante, pur non rinunciando a letture di fede e speranza. 
Nella Repubblica Democratica del Congo, oltre centomila donne sono state violate negli ultimi cinque anni a causa della guerra. Donne — ha raccontato suor Clotilde mentre le loro immagini colpivano l’uditorio come uno schiaffo — che spesso muoiono per la brutalità dell’abuso, che vengono ripudiate dai mariti, che partoriscono i figli dei loro carnefici. Donne perse, di ogni età, che trovano aiuto solo nella Chiesa e nelle associazioni caritative.
Altrettanto sconvolgente l’intervento di Yudith Pereira Rico, suora spagnola di Gesù-Maria, missionaria per 17 anni in Africa Occidentale e oggi responsabile dell’ufficio internazionale di Solidarity with South Sudan, progetto nato come risposta di diverse congregazioni religiose al grido d’aiuto dei vescovi locali. Anche in Sud Sudan, teatro dal 2013 di una guerra tribale «prossima al genocidio», si colpiscono sempre più brutalmente le donne per punire gli uomini che, a loro volta, le considerano proprietà di valore inferiore al bestiame. Ciò che più sgomenta, tuttavia, è un dato che prescinde dagli orrori del conflitto: il rischio più grande la donna lo corre nella sua stessa casa. Il 40 per cento di madri e figlie sudanesi sono infatti vittime di violenza domestica e a ciò si aggiungano i matrimoni precocissimi, le gravidanze forzate, l’elevatissimo tasso di Aids, l’analfabetismo femminile all’80 per cento.
Eppure, spiega suor Yudith, una speranza latente di cambiamento resiste. C’è la Chiesa locale che lavora instancabilmente e ci sono loro, le donne, spine dorsali di comunità devastate, capaci di supportarsi a vicenda e di rivendicare con forza la pace. Anyeth D’Awol, attivista sudanese, le definisce «eroine di una canzone che non è mai stata cantata», centrando così il punto di quello che Lucetta Scaraffia, coordinatrice di «donne chiesa mondo» e del comitato internazionale promotore del convegno, definisce «un progetto ambizioso»: le donne sono al cuore dei più gravi problemi della società contemporanea e sono loro che possono risolverli, purché si cominci finalmente ad ascoltarle.
È questa la direzione seguita dal mensile femminile vaticano che come ha ricordato il direttore dell’Osservatore Romano nei saluti iniziali portati insieme al vescovo Marcelo Sánchez Sorondo, ha già alle spalle tre anni di vita intensa. Il suo primo numero, uscito con la data del 31 maggio 2012, fu dedicato all’espressione più alta dell’aiuto reciproco fra donne: l’abbraccio tra Maria ed Elisabetta. E la splendida raffigurazione di questo incontro creata allora per il giornale dall’artista Isabella Ducrot, viene oggi riproposta come immagine simbolo del convegno la cui chiusura cade proprio nel giorno della Visitazione. 
Gesù fu il primo femminista della storia, ha ricordato Scaraffia, e Marie Leonel, citata da Giulia Galeotti a chiusura del suo intervento sulla storia dell’aborto, affermò già nel 1931 che non solo si può essere femministe benché cattoliche, ma femministe perché cattoliche. La questione dell’aborto — ha spiegato Galeotti, coordinatrice del servizio culturale dell’Osservatore Romano e curatrice di «donne chiesa mondo» — è una questione di esclusiva pertinenza femminile sino alla Rivoluzione francese, dal momento che il sentire comune, a digiuno di nozioni scientifiche, percepisce il feto non come un’entità autonoma, ma come un’appendice della madre. 
Tutto cambia quando il microscopio prima e strumenti sempre più sofisticati poi, mostrano il feto, ma soprattutto quando la forza degli Stati inizia a dipendere dal numero di cittadini che lavorano, combattono e pagano le tasse, fino a trasformare la maternità in una forma di patriottismo. Lo scenario muta nuovamente con la rivoluzione dei costumi seguita al secondo conflitto mondiale e con l’invenzione della pillola contraccettiva che mette per la prima volta la donna nella condizione di trasformare la gravidanza da destino in libera scelta, rivendicando non solo la fine di un asservimento secolare al genere maschile, ma anche l’aborto come diritto civile.
Gli errori e gli eccessi del femminismo, «tappa fondamentale sulla strada dell’emancipazione», sono stati da tempo riconosciuti da alcune delle sue più autorevoli esponenti, e l’atteggiamento che la Chiesa ha sempre riservato alla questione, preoccupandosi controtendenza del feto come essere a sé dotato di un’anima sin dal concepimento, offre una chiave di lettura più attuale che mai. Sullo stesso tema è intervenuta Caroline Roux, giornalista francese che da oltre vent’anni, nell’ambito di Alliance Vita, assiste le donne che hanno vissuto l’aborto. Dopo aver sottolineato l’importanza di distinguere la situazione dei Paesi in via di sviluppo dai contesti socio-culturali del nord del mondo, Roux ha tracciato l’allarmante quadro di realtà come la Francia che faticano sempre più ad accettare un figlio non programmato e ricorrono all’aborto come contraccettivo.
Un trauma sottovalutato prima e quasi sempre avvertito in profondità dopo. L’aborto inoltre è spesso frutto di una pressione da parte degli uomini che non vogliono la paternità e obbligano o inducono la compagna a una decisione di cui non è convinta. Sconvolgenti inoltre i dati sugli aborti selettivi. L’Europa si è indignata per il “gendercidio” messo in atto in India e in Cina, «ma dovremmo scandalizzarci per quello che accade in Francia, dove il 96 per cento dei feti diagnosticati trisomici vengono abortiti».
Si tratta di un doloroso paradosso che riemerge, seppur in altri termini, nei dati presentati da Mireille Guigaz, ambasciatore francese ed esperta di salute pubblica e sviluppo internazionale, che ha lavorato con diverse agenzie delle Nazioni Unite. Incentrato anch’esso sui Paesi occidentali, l’intervento di Guigaz ha messo in luce come la violenza sulle donne non sia affatto solo un flagello del sud del mondo. Nei contesti di guerra e povertà estrema come quelli africani raggiunge una dimensione mostruosa, ma anche in Europa può a ragione definirsi una pandemia. Ciò che colpisce è il silenzio sui crimini commessi per lo più all’interno delle mura domestiche e l’illusione diffusa che il problema non sia così esteso. 
Al termine della prima giornata di lavori, le relatrici e i relatori sono stati ricevuti all’ambasciata di Spagna presso la Santa Sede. All’incontro ha partecipato il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, che si è intrattenuto a lungo a parlare personalmente con i presenti manifestando vivo interesse e grande apprezzamento per l’iniziativa. L’ambasciatore Eduardo Gutiérrez Sáenz De Buruaga, nel discorso di benvenuto al segretario di Stato, ha parlato delle fruttuose relazioni tra l’ambasciata e L’Osservatore Romano, ricordando che proprio nell’ambasciata di Spagna lo scorso 24 marzo è stata presentata l’edizione in spagnolo di «donne chiesa mondo», che esce con la rivista «Vida Nueva».
L'Osservatore Romano

L'Angelus di Papa Francesco. "Vivere la comunione con Dio e tra noi sul modello di quella trinitaria...




L'Angelus di Papa Francesco. "Vivere la comunione con Dio e tra noi sul modello di quella trinitaria. Siamo chiamati a vivere non gli uni senza gli altri, sopra o contro gli altri, ma gli uni con gli altri, per gli altri, e negli altri

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e buona domenica!
Oggi celebriamo la festa della Santissima Trinità, che ci ricorda il mistero dell’unico Dio in tre Persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La Trinità è comunione di Persone divine le quali sono una con l’altra, una per l’altra, una nell’altra: questa comunione è la vita di Dio, il mistero d’amore del Dio Vivente. E Gesù ci ha rivelato questo mistero. Lui ci ha parlato di Dio come Padre; ci ha parlato dello Spirito; e ci ha parlato di Sé stesso come Figlio di Dio. E così ci ha rivelato questo mistero. E quando, risorto, ha inviato i discepoli ad evangelizzare le genti, disse loro di battezzarle «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). Questo comando, Cristo lo affida in ogni tempo alla Chiesa, che ha ereditato dagli Apostoli il mandato missionario. Lo rivolge anche a ciascuno di noi che, in forza del Battesimo, facciamo parte della sua Comunità.
Dunque, la solennità liturgica di oggi, mentre ci fa contemplare il mistero stupendo da cui proveniamo e verso il quale andiamo, ci rinnova la missione di vivere la comunione con Dio e vivere la comunione tra noi sul modello della comunione divina. Siamo chiamati a vivere non gli uni senza gli altri, sopra o contro gli altri, ma gli uni con gli altri, per gli altri, e negli altri. Questo significa accogliere e testimoniare concordi la bellezza del Vangelo; vivere l’amore reciproco e verso tutti, condividendo gioie e sofferenze, imparando a chiedere e concedere perdono, valorizzando i diversi carismi sotto la guida dei Pastori. In una parola, ci è affidato il compito di edificare comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia, capaci di riflettere lo splendore della Trinità e di evangelizzare non solo con le parole, ma con la forza dell’amore di Dio che abita in noi.
La Trinità, come accennavo, è anche il fine ultimo verso cui è orientato il nostro pellegrinaggio terreno. Il cammino della vita cristiana è infatti un cammino essenzialmente “trinitario”: lo Spirito Santo ci guida alla piena conoscenza degli insegnamenti di Cristo, e ci ricorda anche quello che Gesù ci ha insegnato; e Gesù, a sua volta, è venuto nel mondo per farci conoscere il Padre, per guidarci a Lui, per riconciliarci con Lui. Tutto, nella vita cristiana, ruota attorno al mistero trinitario e viene compiuto in ordine a questo infinito mistero. Cerchiamo, pertanto, di tenere sempre alto il “tono” della nostra vita, ricordandoci per quale fineper quale gloria noi esistiamo, lavoriamo, lottiamo, soffriamo; e a quale immenso premio siamo chiamati. Questo mistero abbraccia tutta la nostra vita e tutto il nostre essere cristiano. Ce lo ricordiamo, ad esempio, ogni volta che facciamo il segno della croce: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E adesso vi invito a fare tutti insieme, e con voce forte, questo segno della croce: “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo!”
In questo ultimo giorno del mese di maggio, il mese mariano, ci affidiamo alla Vergine Maria. Lei, che più di ogni altra creatura ha conosciuto, adorato, amato il mistero della Santissima Trinità, ci guidi per mano; ci aiuti a cogliere negli eventi del mondo i segni della presenza di Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo; ci ottenga di amare il Signore Gesù con tutto il cuore, per camminare verso la visione della Trinità, traguardo meraviglioso a cui tende la nostra vita. Le chiediamo anche di aiutare la Chiesa ad essere mistero di comunione e comunità ospitale, dove ogni persona, specialmente povera ed emarginata, possa trovare accoglienza e sentirsi figlia da Dio, voluta e amata.

*

I saluti del Santo Padre dopo l'Angelus
Papa Francesco ricorda: "Giovedì prossimo a Roma vivremo la tradizionale processione del Corpus Domini".
Oggi a Bayonne, in Francia, viene proclamato Beato il sacerdote Louis-Edouard Cestac, fondatore delle Suore Serve di Maria; la sua testimonianza di amore a Dio e al prossimo è per la Chiesa un nuovo stimolo a vivere con gioia il Vangelo della carità.
Saluto tutti voi, cari romani e pellegrini: le famiglie, i gruppi parrocchiali, le associazioni, le scuole. In particolare, saluto i fedeli di La Valletta (Malta), Cáceres (Spagna) e Michoacán (Messico); quelli provenienti da Caltanissetta, Soave, Como, Malonno e Persico Dosimo; e il gruppo di Bovino, con i “Cavalieri di Valleverde”. Saluto i ragazzi che hanno ricevuto o si preparano a ricevere la Cresima, incoraggiandoli ad essere gioiosi testimoni di Gesù.
Al termine del mese di maggio, mi unisco spiritualmente alle tante espressioni di devozione a Maria Santissima; in particolare menziono il grande pellegrinaggio degli uomini al Santuario di Piekary, in Polonia, che ha per tema: “La famiglia: casa accogliente”. Ci sono tanti polacchi in Piazza oggi: fatevi vedere! La Madonna aiuti ogni famiglia ad essere “casa accogliente”.
Giovedì prossimo a Roma vivremo la tradizionale processione delCorpus Domini. Alle 19 in Piazza San Giovanni in Laterano celebrerò la Santa Messa, e quindi adoreremo il Santissimo Sacramento camminando fino alla piazza di Santa Maria Maggiore. Vi invito fin d’ora a partecipare a questo solenne atto pubblico di fede e di amore a Gesù Eucaristia, presente in mezzo al suo popolo. Prima di finire, facciamo ancora una volta il segno della croce, a voce alta, tutti! “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, ricordando il mistero della Santa Trinità.
A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.