martedì 26 maggio 2015

L’Irlanda e il vizio di dire bugie



di Mario Adinolfi
Dobbiamo dire la verità: un milione e duecentomila irlandesi, tanti sono coloro che hanno votato sì al referendum sul matrimonio omosessuale (meno della metà degli abitanti della città di Roma) è come se avessero soffiato forte tutti insieme nelle vele di coloro che sostengono che la famiglia naturale è uno stereotipo e noi che la difendiamo dagli assalti di norme senza senso siamo “bigotti, omofobi, retrogradi e medievali”. Il successo del referendum irlandese per inserire il matrimonio gay in Costituzione travalica i confini dell’isola verde e arriva come un uragano su tutta Europa, interrogando anche la Chiesa. L’Osservatore Romano parla di una “sfida” da raccogliere, mons. Galantino chiede un “metodo sinodale” per decidere, l’arcivescovo di Dublino dice che “dobbiamo guardare alla realtà”: è come se venissero messi in dubbio dei fondamentali.
Non lo so. Io ieri sono stato chiamato a commentare in un contenitore di Raiuno la notizia, come contraltare avevo l’inevitabile transessuale famoso. Il conduttore esordiva dicendo che ormai l’approvazione di una legge sulle unioni civili, dopo il risultato del referendum irlandese, “è inevitabile”. Il transessuale spiegava che non poteva andare a visitare il compagno in ospedale, se non affidandosi al buon cuore del direttore sanitario. Era ospite anche un sacerdote che dietro le quinte mi spiegava che doveva utilizzare “un linguaggio moderato” e davanti alle telecamere chiedeva “una soluzione”. Non lo so. Ammetto, ho avuto bisogno di respirare forte. E poi ho detto come la penso.
Penso che del risultato irlandese, con meno votanti che per le regionali del Lazio, non mi interessa granché. Era un referendum scontato che doveva cambiare semplicemente il nome ad una situazione di fatto già esistente: in Irlanda c’erano già le unioni civili, c’era già addirittura la possibilità di adottare per i gay e si sta per “regolamentare” (cioè consentire) anche la pratica dell’utero in affitto. In Irlanda si votava sul nulla, si votava su un un nominalismo. E allora in tv ho fatto un bel respiro e ho detto che io non voglio che l’Italia diventi come l’Irlanda.
Non ho nulla contro le persone omosessuali, davvero nulla, non sono affetto da alcuna forma di “omofobia”. Ma poiché la legge proposta dalla senatrice Cirinnà equipara in tutto e per tutto l’unione civile gay al matrimonio, io sono e resto contrario. E poi, poiché i politici che la stanno varando mentono, e osano negare che l’articolo 5 di quella proposta di legge legittimi la pratica dell’utero in affitto, quando anche i muri sanno che quell’articolo è stato scritto per consentire a un senatore che la sta votando in commissione di andare all’anagrafe a dichiarare il figlio che ha in casa come “figlio di due papà e di nessuna mamma”, allora io mi sono stancato di ascoltare le loro bugie. Io e credo buona parte del popolo italiano abbiamo sete di verità.
E la verità è che la legge sulle unioni civili che vogliono varare in Italia sull’onda del risultato irlandese è una legge sul matrimonio omosessuale con un altro nome, come ebbe a spiegare in ottobre in un’intervista a Repubblica il sottosegretario alle riforme Ivan Scalfarotto. La verità è che quella legge legittima la pratica dell’utero in affitto, purché compiuta all’estero. E quel transessuale famoso che ieri in tv con me urlando provava a dire che le donne l’utero lo donano, mente sapendo di mentire. L’utero in affitto è una pratica umiliante e violenta che schiavizza la donna e trasforma il bambino in una cosa. E’ una pratica inaccettabile e incivile ed è purtroppo intimamente connessa alla trasformazione di una unione gay in una “famiglia”. Questo è provato dalle normative di tutto il mondo: dove ci sono le unioni civili gay o il matrimonio omosessuale, c’è o la legittimazione addirittura nella normativa nazionale della pratica dell’utero in affitto (cosa che accadrà in Irlanda tra qualche mese) o comunque la legittimazione delle pratiche compiute all’estero. Tutto questo è inaccettabile per qualsiasi essere umano: riduce la donna in schiavitù e reifica il bambino.
Sono stanco di sentire bugie e di pensare che queste bugie possano stordire anche qualche uomo di Chiesa. L’ideologia gender, che teorizza l’intercambiabilità dell’essere maschile con quello femminile annullando ogni differenza di genere, aveva questo obiettivo: riuscire ad affermare che è “famiglia” anche quella con due uomini che affittano l’utero di una donna, ne comprano il figlio e gli negano l’esistenza stessa di una madre. Si tratta di un approccio ideologico che abbiamo visto comparire anche nei moduli di iscrizione dei figli a scuola. Niente più padre e madre, ma genitore 1 e genitore 2. Bene, una norma che consenta tutto questo è inaccettabile e lo grideremo forte.
C’è una sfida da raccogliere, come scrive l’Osservatore Romano? Bene, la raccoglieremo. Questo giornale oggi racconta le parole di Kiko Arguello che per primo ha esplicitamente accennato a un nuovo family day. La risposta delle persone di buona volontà arriverà, cristiane e non, ci aspettiamo una Chiesa che accompagni questa risposta popolare con simpatia. “La responsabilità è dei laici, non serve il vescovo-pilota”, dice Papa Francesco. Giusto, abbiamo sulle spalle tutta intera una enorme responsabilità.
Non sarà facile. Anzi, ve lo dico chiaro, sarà difficilissimo. Dopo il risultato del referendum irlandese e ancora più dopo la sentenza della Corte suprema americana che arriverà il mese prossimo, la battaglia sarà faticosissima. Il gioco è negarci diritto di parola e basta leggere i giornali, guardare i programmi televisivi, ascoltare la radio (con la decisiva eccezione di Radio Maria grazie al coraggio di padre Livio) per capire che il cannoneggiamento è unanime. Quei pochissimi quotidiani che potrebbero e forse dovrebbero chiamare ad una battaglia civile di consapevolezza sembrano quasi intimiditi. Si tratta, in fondo, solo di testimoniare la verità: i figli nascono da un uomo e da una donna, le persone non sono cose, i figli non si pagano, gli uteri non si affittano, le donne e la maternità di rispettano. Frasi semplici che smonterebbero all’istante una legge che contraddice tutti questi assunti e che è una cattiva legge, ingannatrice al punto che di alcuni articoli si vergognano gli stessi proponenti e li hanno seppelliti dentro un linguaggio burocratese per non far capire di che si tratta realmente. Ma noi de La Croce abbiamo deciso di romperla questa congiura del silenzio e di spiegare tutto, a partire dal famigerato articolo 5. Spiegando che la “stepchild adoption” è un trucco linguistico in idioma straniero per nascondere con una menzogna la più banale delle verità: che due uomini non hanno l’utero e se vogliono “mettere su famiglia” devono affittarsene uno. All’estero, imbrogliando e poi legittimando in Italia. Bene, questi inganni il popolo italiano non se li merita. Se agli irlandesi sono piaciuti qui da noi, nella culla dove è nato il concetto stesso di legge e di diritto, non passeranno. Anche se tutti in tv oggi vi dicono che l’approvazione di quella legge “è inevitabile”. Non è vero. E’ solo l’ennesima bugia.
25/05/2015 La Croce quotidiano