martedì 23 giugno 2015

Femminicidio: quelle parole fraintese di Kiko…

I dati Istat confermano che la violenza sulle donne è più probabile dove il legame coniugale sia debole o inesistente. In paesi come l’Italia, dove l’istituzione familiare è più forte, la violenza è meno presente

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di Luca Marcolivio

L’intervento di Kiko Arguello dal palco di piazza San Giovanni è finito nell’occhio del ciclone non solo per la dichiarazione interpretata come ostile alla Conferenza Episcopale Italiana.
Nel corso della manifestazione Difendiamo i nostri figli, contro la cultura del gender e in difesa della famiglia naturale, l’iniziatore del Cammino Neocatecumenale ha affermato che un uomo abbandonato dalla propria donna può “sperimentare il non-essere amato”, una sensazione terribile che può sfociare anche nella violenza e nella persecuzione contro l’ex consorte.
Molti media e blog hanno quindi attribuito a Kiko il teorema secondo il quale il femminicidio sarebbe sostanzialmente provocato da quelle mogli che abbandonano il marito. Corollario: la famiglia è un focolaio di potenziale violenza tra i sessi.
Kiko ha avuto il coraggio di affermare una scomoda verità – afferma l’avvocato Simone Pillon, uno dei membri del Comitato Difendiamo i nostri figli, artefice della manifestazione di sabato scorso – il fenomeno della violenza endofamiliare è grave e inaccettabile: nessuna persona deve veder messa in pericolo la vita o l’incolumità per siffatte ragioni.
Tuttavia per contrastare efficacemente il problema è necessario inquadrarlo correttamente sotto il profilo antropologico. Continuare ad applicare alla violenza endofamiliare le ormai obsolete categorie di Engels che parlava centocinquant’anni fa di “schiavitù e oppressione domestica della donna” da guarire con il femminismo esasperato oppure con la decostruzione degli stereotipi di genere come si tenta oggi di proporre con l’ideologia gender è semplicemente inaccettabile, oltre che non rispondente alla realtà.
Altrimenti come spiegare i dati europei secondo cui nell’anno 2014 la percentuale di donne che, almeno una volta nella vita, abbia subito violenze fisiche o psicologiche da parte del partner è più alta proprio nei paesi del Nord Europa, dove è più marcata la cultura della “parità tra i sessi”, dove i valori della famiglia risultano fortemente indeboliti e dove la teoria del gender è socialmente accettata?
I sei paesi dove la violenza tra le donne è più diffusa sono infatti: Danimarca (52%), Finlandia (47%), Svezia (46%), Olanda (45%), Francia (44%) e Gran Bretagna (44%).
Decisamente sotto la media europea sono invece le medesime percentuali in vari paesi dell’Europa meridionale o a maggioranza cattolica, dove il senso della coesione familiare è ancora molto pronunciato: Italia (27%), Irlanda (26%), Grecia (25%), Portogallo (24%), Spagna (22%), Polonia (19%).
“Le ragioni vere della violenza all’interno del nucleo familiare – ha dichiarato Pillon a ZENIT – sono quelle che Kiko ha coraggiosamente stigmatizzato nel suo discorso. I legami affettivi toccano corde molto profonde nell’animo umano. Non si possono trattare socialmente con superficialità o con disprezzo relazioni che coinvolgono l’affetto verso l’altro e verso i figli. Banalizzare la famiglia porta inevitabilmente all’aumento della violenza tra i partner”.
Lungi dall’essere un ambito che fomenta la violenza, la famiglia è, infatti, un “luogo diprevenzione della violenza”, ha sottolineato Pillon, esattamente come risulta dall’ultimo rilevamento ufficiale Istat (2006), dove si legge chiaramente che le donne vittime di violenza da parte dell’uomo sono infatti per il 38,5% nubili o conviventi, per il 63,9% divorziate o separate, e solo per il 7,5% sposate. A differenza di quanto affermano i sostenitori della teoria del gender, la cancellazione o la confusione dei ruoli sessuali non risolve il problema della violenza, semmai l’aggrava.
“Le statistiche e l’esperienza ci ricordano che la violenza si annida nelle relazioni estemporanee e fugaci”, ha aggiunto, evidenziando come “la stragrande maggioranza delle violenze sulle donne non sono compiute dal marito ma dall’ex, ovvero dall’aspirante fidanzato respinto”, quindi in contesti di “instabilità o crisi del legame”. Viceversa laddove i legami familiari e coniugali sono saldi la violenza non attecchisce.
“La famiglia stabile è naturale antidoto alla violenza. Kiko ci insegna che dobbiamo sostenere le persone nel ritrovare il loro IO e accompagnarle nel ricercare la ragione profonda dell’essere di ciascuno. Solo in questo modo potremo guarire le ferite senza trasformarle in aggressività reciproca. Una relazione familiare seria, in cui ci si conosce nel profondo e si impara il perdono, protegge dalla violenza”, ha quindi concluso Pillon, “ma c’è sempre chi non vuol vedere l’uomo così com’è e si ostina a cercar soluzioni nelle ideologie, imponendole poi per legge ai nostri ragazzi”. Il Nord Europa ci ammonisce sui prevedibili esiti di tali programmi di ingegneria sociale.