sabato 27 giugno 2015

Quando le parole non bastano più



Il potere del silenzio nelle riflessioni della carmelitana francese Marie-Aimée de Jésus.

Pubblichiamo la prefazione al libro «The Twelve Degrees of Silence» (Toronto, Novalis, 2014, pagine 77, dollari 12,95) diMarie-Aimée de Jésus, curato da Lucinda M. Vardey che — oltre ad aver tradotto il testo dal francese con Françoise Reuter — ha scritto un saggio di riflessioni accluse al testo.
(Margaret Brennan) All’indomani dell’assassinio del presidente statunitense John F. Kennedy nel novembre 1963, Paul Simon scrisse una canzone che parlò a un’intera generazione. The Sound of Silence racconta della nostra apparente incapacità di esprimere la tristezza che opprime la nostra coscienza, ma allude anche alla profondità della comprensione che abbiamo di tale tristezza.
Se è vero, come ha scritto più di trecento anni fa l’autore teatrale William Congreve, che «la musica ha la magia per placare un petto selvaggio», allora la famosa canzone di Paul Simon, pur senza essere davvero rassicurante, riuscì — anche se solo lievemente — a esprimere l’irrequietezza, il dolore, il pathos e l’ambiguità di un periodo turbolento. La canzone, incisa dal duo Simon e Garfunkel, raggiunse il primo posto delle classifiche nel gennaio 1966 ed è oggi considerata un classico. Il che non stupisce.
Un secolo prima di questo evento traumatico che spinse un’intera nazione a mettersi seriamente in discussione, una religiosa carmelitana francese, Marie-Aimée de Jésus (1839-1874), aveva espresso in forma del tutto diversa il profondo significato così ben articolato nella canzone popolare degli anni Sessanta. Andando anche molto oltre.
Vivendo nel suo convento a metà del XIX secolo, e traendo ispirazione e sfide dalla vita e dagli scritti dal mistico spagnolo san Giovanni della Croce, Marie-Aimée compose una serie di riflessioni dette I dodici gradi del silenzio. Pur non scrivendo in risposta a un qualche evento particolare del suo tempo, che in Europa fu caratterizzato da violenza e rivoluzione, le sue riflessioni rispecchiano un modo di vita capace di trascendere difficoltà e dolore. Questi dodici gradi del silenzio vanno al di là delle parole e delle azioni, per includere la miriade di modi in cui comunichiamo con gli altri: con la nostra immaginazione, il nostro cuore, il nostro giudizio.
È attraverso gli scritti di Edith Stein che abbiamo scoperto i dodici gradi del silenzio di Marie-Aimée. E anche se non sappiamo se Teresa di Lisieux, il piccolo fiore, abbia mai letto questa breve ma potente opera, certamente sarebbe stato possibile. Teresa è nata un anno prima che morisse Marie-Aimée. Certamente sia Edith sia Teresa avrebbero potuto trarre ispirazione e coraggio dalle riflessioni di Marie-Aimée quando raggiunsero il punto in cui le parole ormai non bastavano più e avevano perso il loro potere. «Alla fine, tutto è amore», disse Teresa sul suo letto di morte. «Vieni, andiamo per il nostro popolo», disse Edith Stein alla sorella quando, nel loro viaggio verso il campo di morte di Auschwitz, furono condotte dal carmelo in Olanda a Westerbork.
Piccolo tesoro in un mondo pieno di suoni spesso irritanti, fastidiosi, privi di significato, questa opera di Marie-Aimée de Jésus ci viene riproposta in modo sia riflessivo sia stimolante. Siamo grati a Lucinda Vardey, che non mette solo delicatamente l’opera nel suo contesto per il lettore, ma propone anche domande ponderate che riecheggiano nel nostro cuore. Lì cerchiamo e troviamo tutto il silenzio con il quale Dio continua a parlarci nella nostra vita oggi.
L'Osservatore Romano