mercoledì 19 agosto 2015

Quando il matrimonio è dono della Trinità

Matrimonio cristiano


di Margherita Garrone
Caro direttore,
vorrei proporti alcune breve riflessioni a proposito della recente celebrazione di un matrimonio di amici, che mi ha fatto pensare in ordine al prossimo Sinodo. La cosa necessaria per curare la moria di famiglie e il disfacimento del matrimonio cristiano e comunque del matrimonio, è annunciare che l’Amore degli Sposi è dono della Trinità, e che la via è Cristo.
8 agosto 2015
“Chi è colei che sale dal deserto … vieni dal Libano, mia sposa, vieni… vieni…”
Le brave signore escono dalla chiesa sconcertate, e io colgo una osservazione molto logica e riconducibile a quel “O tempora o mores” di latina memoria perché “una volta prima ci si sposava e poi si avevano i figli, ora …”, e così di seguito: “Tutto a rovescio! Tutto sbagliato!”
Mamma mia quanto sono lontane queste due care signore dalla gioia e dall’allegrezza che ho provato io a questo matrimonio. Ho perfino battuto le mani (ben sapendo che il nostro parroco non lo gradisce), ma veramente il giubilo che sta dentro si ripercuote nell’atteggiamento e nel bisogno di condividere e coinvolgere.
“Vieni dal Libano, mia sposa”: niente marcia nuziale ma questo dolcissimo invito dello sposo del Cantico e la risposta di lei, sposa e sorella, che ha raggiunto l’atteso del suo cuore. “Cercai l’amore dell’anima mia… l’ho trovato e non lo lascerò mai”: quale più completa dichiarazione d’amore! Chi non si lascia trasportare da tanto sincero bene! Questo Cantico dei Cantici è davvero una manifestazione profondamente umana di chi nel cuore non ha altro desiderio che unirsi al proprio amato!
Non c’è nulla di profano in questo, anzi è tutto donato nel sacramento delle origini, il matrimonio, che il Genesi proclama come il disegno di Dio sull’uomo e la donna: “Lei è osso delle mie ossa … e i due saranno una sola carne”.
Ma non basta, non è tutto qui, c’è dell’altro, molto più grande e divino. Se lo avessero intuito le nostre buone signore avrebbero, forse, gioito con chi cantava e batteva le mani. Se avessero intuito che a cantare con la tenerezza dello sposo “Vieni dal Libano, mia sposa” non era Mikol ma Gesù, il Crocifisso Risorto, che abbraccia la sua Chiesa uscita dal deserto della vita senza senso, appoggiata a Lui, suo diletto. La sua Chiesa così tanto corteggiata, cercata, perduta e ritrovata e finalmente fatta sposa nell’amore e nella libertà. Forse le nostre due buone signore non si sarebbero lasciate andare alle loro pessimistiche considerazioni.
Signore, aprici gli occhi per vedere le tue meraviglie e godere della tua presenza in mezzo a noi! Il tuo Santo Spirito avvolge la nostra esistenza e noi rischiamo di non accorgercene! Sì, perché sono belli gli sposi, di una purezza rigenerata.  Ciò che è stato prima non importa al Signore Gesù che li ha amati tanto da dare la sua vita per loro. Egli ha allargato le sue braccia e non chiede altro che stringerli a sé e farli nuovi. Egli è lo sposo, questa coppia è la sposa bella, senza ruga  e senza macchia.
Ecco perché io non potevo che esultare e scoppiare di gioia, perché io ho visto l’opera del Signore, lo sposo: “una meraviglia ai nostri occhi”. Ho visto anche l’ardente desiderio della sposa: sedersi a questo banchetto preparato per lei, finalmente. Cristo si è fatto cibo e bevanda per la sposa che è vestita come una regina per l’incontro con lui. 
Noi che abbiamo camminato con questa coppia, anzi con questa famiglia (il figlioletto di otto anni li ha seguiti nel percorso condividendo), testimoniamo di quale predilezione siano stati oggetto, venendo da una situazione di assenza totale di alfabetizzazione della fede. Abbiamo visto accogliere con meraviglia il “mistero” nascosto ai dotti e agli intelligenti, ma rivelato ai piccoli e ai poveri.
Il desiderio vivissimo dell’Eucarestia, della comunione di vita con Cristo, nasce da questa attesa, da questa scoperta. La rivelazione del “mistero” passa attraverso l’opera della Chiesa madre e maestra, che conosce i tempi e i modi perché questo dono inestimabile giunga in un cuore pronto ad accoglierlo e conservarlo come il bene supremo. “che, se tu dessi tutti i beni della tua casa (per comprarlo), solo troveresti il disprezzo”.