martedì 22 settembre 2015

Se la famiglia è forte lo è anche la società




Nuovo tweet del Papa: "Grazie a tutti i cubani! Grazie di cuore!" (23 settembre 2015)

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Famiglie da tutto il mondo sono a Philadelphia per l’ottavo incontro mondiale “World Meeting of Families”. L’evento voluto da San Giovanni Paolo II che dal 1994 si tiene ogni tre anni. Da oggi al 27 preghiere, dibatti e contronti creerannno ponti e rafforzeranno il sacro vincolo della famiglia. L’arcivescovo di Filadelfia, mons. Charles J. Chaput nel suo saluto ha ribadito il titolo e sfida di questa edizione: “L’amore è la nostra missione. La famiglia pienamente viva”, sottolinenado l’attesa per il Papa che arriverà tra tre giorni. Le parole di mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, soggetto responsabile dell’organizzazione degli Incontri mondiali:
R. – È una sfida molteplice rispetto alle altre edizioni delle Giornate Mondiali delle Famiglie: una sfida che si chiama anzitutto Papa Francesco, perché è il suo primo Meeting delle Famiglie, nel suo primo viaggio negli Stati Uniti, alla vigilia del Sinodo di ottobre prossimo, dopo che è stato celebrato già un altro Sinodo e con un patrimonio sapienziale che quest’anno ogni mercoledì Papa Francesco ci ha dato.
D. – Lei più volte ha ribadito: “È necessario mettere la famiglia al centro”. In che senso, concretamente, si mette la famiglia al centro?
R. – Quando ci si preoccupa, davvero, per essa e quindi si vive la gioia, la fatica, ma anche la speranza della famiglia, perché nella famiglia si gioca sia la Chiesa che la società, e anche a Philadelphia. La Chiesa cattolica si sta preoccupando non solo delle famiglie cattoliche, non solo delle famiglie cristiane, ma delle famiglie del mondo intero. Ci tengo a sottolineare che il tema qui non è la definizione della famiglia: il tema è come aiutare le famiglie a vivere la loro missione e la loro vocazione nella società contemporanea, sapendo che famiglia debole vuol dire società debole e famiglia forte, società forte.
D. – È anche vero però che la famiglia spesso viene attaccata. Papa Francesco, riferendosi al gender, lo ha definito una “dittatura”: la “colonizzazione ideologica” che vuole distruggere la famiglia…
R. – Il prevalere della cultura individualista ha come scoperto la furbizia di non opporsi alla famiglia, ma di frantumarla, di piegarla, di moltiplicarla… Quello che oggi vedo come il virus più deleterio è proprio questo: che l’individualismo esalta la frammentazione, piega tutto a sé stesso. E in fondo è questa semplificazione – della riduzione a sé­ – che spiega la paura della molteplicità. La questione del gender è la paura del complesso: per riconoscere la dignità, dobbiamo essere prima tutti omogenei… E invece no, noi abbiamo bisogno, come accadde all’inizio della Creazione, di riconoscere la forza e la bellezza della diversità! Di fronte alla dittatura dell’”Io”, dobbiamo riscoprire la bellezza del “Noi”. E la famiglia è il primo “Noi” che incontriamo.
D. – In questo contesto, qual è la missione della Chiesa?
R. – Quella di dare un’anima o, se si vuole, una qualità all’amore famigliare che il sacramento rafforza, perché questo amore porti a superare tutti i limiti che incontriamo: anzitutto a superare il limite dell’”Io” per unirsi al primo “Noi”, con l’uomo e la donna che si amano; a generare i figli; superare il rischio del familismo. E così, via via, fino ad arrivare all’ultima ondata – potremmo dire – di quest’amore indispensabile, per fare di tutti i popoli un’unica grande famiglia.
D. – Un’unica famiglia dei popoli: dunque la pace, in questo senso, passa anche attraverso le famiglie?
R. – Se la famiglia vive l’amore, si apprende quasi per istinto la solidarietà. Il primo accordo è tra marito, moglie e figli. E se non la si apprende da bambini a 15 anni o a 20 anni sarà tardi! E nella famiglia si ha in qualche modo in miniatura l’esperienza del mondo: perché è ovvio che in famiglia si sperimentano pure i conflitti, ma i conflitti in famiglia si è come obbligati a superarli se si vuole continuare. E devi piegarti, devi rinunciare! Ecco perché famiglia, e famiglia dei popoli, sono fortemente intrecciate.
D. – Qui a Philadelphia l’albero simboleggia la famiglia. Perché questa scelta?
R. – Perché con radici profonde gli anziani, con un tronco robusto, che non è l’amore romantico, ma è un amore che vuole costruire, che dia anche fatica, e che proprio per questo, raccogliendo la linfa dalle radici ed elaborandola lungo il tronco, può produrre frutti che sono figli, nipoti. E se questa è la famiglia, noi pensiamo che il mondo deve essere una foresta di questi alberi, per mostrare che davvero quella casa comune che è il mondo intero è la casa comune della famiglia di tutti i popoli. RV