mercoledì 30 settembre 2015

Somiglianze e differenze con la «Laudato si’». Come l’islam si prende cura del creato.



La dichiarazione di Istanbul

(Damian Howard) Anticipiamo, dalla «Civiltà cattolica» del 10 ottobre prossimo, ampi stralci di un articolo in cui vengono analizzate somiglianze e differenze tra l’enciclica Laudato si’ e il pensiero musulmano in campo ecologico, così come emerge dalla Dichiarazione islamica sul cambiamento climatico redatta al termine di un simposio internazionale che si è tenuto a Istanbul il 17 e il 18 agosto scorsi.
Poiché l’islam è la seconda religione al mondo per diffusione, è particolarmente significativo che nell’agosto 2015 a Istanbul sia stata resa pubblica una «Dichiarazione islamica sul cambiamento climatico». Si tratta di un evento che va nella giusta direzione e va accolto con favore. La diffusione geografica dell’islam è vasta. Molti dei principali Paesi produttori di petrolio si trovano nelle sue roccaforti arabe, mentre alcuni dei Paesi più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico, in particolare il basso Bangladesh e l’Indonesia, costituiscono nuclei principali della popolazione musulmana.
Il pensiero musulmano in campo ecologico non è affatto nuovo. Ad apportare un contributo notevole alla preoccupazione ecologica globale è stato uno studioso americano-iraniano, il professor Seyyed Hossein Nasr, attualmente nella George Washington University di Washington d.c., che ha aperto il Simposio di Istanbul. Nasr ha scritto su questo argomento fin dall’inizio degli anni Sessanta e ha ispirato generazioni di musulmani a considerare quella che egli reputa la sensibilità ecologica intrinseca alla visione musulmana del mondo.
La crisi ecologica è, per lui, la più grave manifestazione del tragico allontanamento dell’occidente dalla forma sacra e tradizionale della civiltà che era stata fino ad allora la norma universale. Nasr concorderebbe certamente con Papa Francesco che la crisi ambientale non è un mero problema tecnico, ma il segno di un profondo disordine nel modo in cui gli uomini e le donne moderni concepiscono il loro rapporto con il mondo naturale.
Tuttavia, al di là del significativo terreno comune dell’obiezione di principio rispetto alla visione antropologica sottesa a molte delle pratiche e delle convinzioni della modernità, i cattolici prendono una rispettosa distanza da una posizione che in qualsiasi manifestazione della scienza e della tecnologia moderna vede soltanto un tracollo morale e spirituale. L’enciclica Laudato si’ si guarda bene dal far propria quest’ultima linea, e presenta piuttosto una valutazione equilibrata dei successi e dei mali di tutto il mondo moderno. Sebbene il Papa desideri vedere il cambiamento di questo mondo, tuttavia non ne auspica la rovina, bensì una espressione nuova e radicale, al suo interno, del nostro rapporto creaturale con il cosmo.
Per i cristiani, il testo biblico che racchiude la vocazione umana nel creato è il racconto della creazione contenuto nella Genesi. Gli esseri umani vi vengono descritti come fatti a immagine di Dio, un privilegio costitutivo che comprende il dominio sulle altre creature (cfr. Genesi, 1, 26-28). La Laudato si’ chiarisce ciò che questo comporta ed esclude, e Papa Francesco parla di un antropocentrismo disordinato che ha interpretato il mandato divino in termini di dominio e di sfruttamento piuttosto che di custodia e di cura, che in effetti esso comporta.
La visione coranica può sembrare simile. Il motivo antropologico essenziale compare nel versetto 35 della seconda sura del Corano, al-Baqara, dove Dio annuncia la sua intenzione di creare sulla terra un khalifa, tradotto di solito con il termine “vicegerente”. Questa figura potrebbe richiamare la funzione dell’imago Dei della Genesi, ovvero di rappresentare il dominio di Dio sulla terra. Inoltre il Corano parla degli esseri umani come di destinatari di «compiti fiduciari» da parte di Dio, un dono le cui implicazioni sono state interpretate come cura e custodia della creazione.
Il terreno comune tra le due religioni è sorprendente, ma lascia irrisolte molte questioni. Che cosa significa «rappresentare» il governo di Dio sulla creazione? In che modo gli esseri umani sono chiamati a svolgere il loro ruolo voluto da Dio? Anzi, possono farlo? Le dottrine di imago Dei e khalifa definiscono le risposte meno di quanto inquadrino le domande. L’insegnamento di Papa Francesco nella Laudato si’ delinea una risposta. La sua visione antropologica si concentra sulla parola “cura”, che compare decine di volte nell’enciclica. La cura comporta forti connotazioni affettive, che mettono in primo piano la necessità, per gli esseri umani, di non limitarsi ad assolvere a un dovere morale, ma piuttosto di sentirsi profondamente coinvolti in ciò di cui sono responsabili. La cura non soltanto sottolinea la nostra interconnessione a ogni livello con il mondo naturale, ma è la virtù fondamentale, necessaria per onorarlo. La dignità umana, nella Laudato si’, è concepita in relazione al valore intrinseco di altri esseri creati, non come qualcosa da affermare o negare in sé. Infatti, afferma il Papa, è proprio nell’onorare e rispettare «le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri di questo mondo» che l’umanità svolge il suo ruolo di imago Dei.
Alla luce della limpida riflessione ecologica di Papa Francesco, questo fatto ci ricorda che l’islam, in virtù dell’esigenza esclusiva e assoluta del suo monoteismo, è effettivamente riuscito a evitare la trappola dell’antropocentrismo disordinato in cui è caduto un certo pensiero occidentale. In effetti i musulmani in generale sperimentano un tale antropocentrismo e la crisi morale che ne deriva non come scorie della loro storia, ma come un’intrusione estranea che li ha investiti attraverso il passato del colonialismo e il presente della globalizzazione.
Tenendo presente questo, ci accostiamo alla Dichiarazione rilasciata nell’agosto scorso. Una prima cosa da notare fin dal titolo è che essa ha un unico obiettivo: la questione del cambiamento climatico. Altre questioni ecologiche sono citate di sfuggita, ma sono secondarie. Si tratta probabilmente di una scelta strategica: il documento mira a esercitare un impatto sui lavori della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà a Parigi nel dicembre 2015. Il preambolo della Dichiarazione delinea i fattori che hanno portato alla stesura del documento. Prende le mosse dall’affermazione dottrinale che Dio ha creato il mondo e poi passa all’asserzione che il pianeta «esiste da miliardi di anni». Questa accettazione della grande età della terra è degna di nota. Nel mondo musulmano la teoria dell’evoluzione è ancora controversa. Sebbene molte migliaia di scienziati musulmani lavorino nel contesto di discipline fondate sulle teorie darwiniane, resta il fatto che la posizione abituale tra i capi religiosi tende a essere quella del creazionismo.
Il paragrafo successivo dà un’interpretazione teologica del fenomeno del cambiamento climatico: esso è il risultato del nostro fallimento esistenziale nell’assolvere al nostro dovere umano di curare e tutelare il creato, cioè al nostro ruolo di khalifa di Dio sulla terra. Invece di coltivare il dono del mondo, lo abbiamo danneggiato e ne abbiamo abusato. Il testo parla, in termini analoghi alla Laudato si’, dell’«equilibrio delicato della terra» e del nostro essere «inseriti nel tessuto del mondo naturale». Seguono alcuni paragrafi in cui si mette in evidenza la gravità della situazione attuale e si esprime allarme rispetto a quanto poco è stato fatto in vista di una sua soluzione. Segue una serie di affermazioni dottrinali. Per la maggior parte sono semplici espressioni coraniche della signoria di Dio sulla creazione. Assieme tessono un contesto complessivo finalizzato ad affermare che la cura per l’ambiente è una preoccupazione intrinseca dell’islam. Tutti i musulmani, in particolare i sunniti, vedono nei comportamenti del profeta Maometto la parola definitiva sulla giusta condotta. È inevitabile che il suo comportamento debba essere invocato a sostegno delle affermazioni della Dichiarazione. Alcuni suoi tratti vengono richiamati come una guida per riportarci indietro verso l’armonia. Il testo cita la semplicità dello stile di vita di Maometto (tra cui il suo parco uso di carne), la sua raccomandazione di proteggere le scarse risorse del deserto come l’acqua, e la sua costruzione di santuari per la protezione della vita animale e vegetale.
La Dichiarazione si conclude con una serie di appelli: ai negoziatori della Conferenza delle Nazioni Unite a Parigi, ai quali chiede di condurre quei colloqui a una conclusione soddisfacente; ai Paesi ricchi, che vengono esortati a farsi carico in parte preponderante dell’onere finanziario della graduale eliminazione dei combustibili fossili a vantaggio dei poveri; a persone di tutte le nazioni, incoraggiate a rinunciare ai combustibili fossili e ad adottare piuttosto le fonti di energia rinnovabile e a elaborare un nuovo modello di benessere che non danneggi il pianeta. Come l’impatto dell’enciclica Laudato si’ dipende dal modo in cui i fedeli cattolici la prenderanno a cuore e la utilizzeranno per fare un’utile pressione su coloro che li rappresenteranno a Parigi, allo stesso modo la Dichiarazione islamica ha bisogno che molti fedeli musulmani facciano altrettanto.

L'Osservatore Romano