martedì 27 ottobre 2015

Come rovinare la vita a due bambine inglesi...



Trascrizioni nozze gay. Se il giudice è cattolico (e legge Tempi) allora «è di parte»


Se il giudice è cattolico, allora non è “imparziale”. È questa l’assurda motivazione con cui, racconta repubblica.it, gli avvocati di “Avvocatura per i diritti Lgbti Rete Lenford” vorrebbe squalificare Carlo Deodato, il relatore della sentenza del Consiglio di Stato che boccia le trascrizioni fatte dai sindaci italiani di nozze gay contratte all’estero. Non solo: andando a sbirciare sul suo profilo twitter, si scopre che Deodato rilancia (udite udite) articoli di tempi.it, la Nuova Bussola quotidiana, Sentinelle in piedi. Tanto basta per bollarlo come «di parte». Leggete cosa scrive il sito di Repubblica: «Per gli avvocati di Rete Lenford si tratta di una sentenza parziale e basta dare una rapida scorsa al profilo del giudice Deodato, uno dei cinque magistrati che compongono il Consiglio di Stato, per leggere tweet antigender, con diversi post provenienti da associazioni prolife e testate cattoliche chiaramente schierate contro le unioni gay e in difesa della famiglia di impianto tradizionale».
CHE COSA HA FATTO? Ma di quel gravissima colpa si è macchiato Deodato? Quella di avere delle opinioni? Quella di definirsi «giurista, cattolico, sposato e padre di due figli. Uomo libero e osservatore indipendente di politica, giurisdizione, costumi, società»? Tutto nasce dall’aver messo nero su bianco in una sentenza (qui il pdf) – assieme ad altri suoi colleghi – quel che tutti sanno a proposito delle trascrizioni, e cioè che non si possono fare. Punto. Con buona pace di Ignazio Marino e degli altri sindaci che si sono lanciati in questa battaglia.
LA SENTENZA. Facciamo un passo indietro per comprendere cosa ha suscitato le proteste. Questa mattina è apparso sul Corriere della Sera un articolo in cui – senza nominare il nome del giudice Deodato – si racconta che «il Consiglio di Stato richiama alla realtà sindaci e politici ma soprattutto invita il legislatore a decidere chiudendo la porta a improvvisazioni festose o iniziative illuminate. Ciò che manca alla coppia lesbo/omo, dicono i giudici del Consiglio di Stato, è un requisito essenziale che definiscono “ontologico”: la diversità fra i sessi. Se l’Italia vuole davvero riconoscere l’unione fra coppie dello stesso sesso allora deve introdurne il principio».
MARINO E IL PREFETTO. Secondo quanto riportato dal quotidiano milanese, nella sentenza c’è scritto che «il corretto esercizio della potestà impedisce all’ufficiale dello Stato civile la trascrizione di matrimoni omosessuali celebrati all’estero». Ciò significa che le iniziative dei vari primi cittadini italiani sono state delle fughe in avanti: «Il dibattito politico in corso in Italia sulle forme e sulle modalità del riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali sconsiglia all’interprete qualunque forzatura, sempre indebita ma in questo contesto ancora meno opportuna». In altre parole, per quanto riguarda il caso di Roma e lo scontro tra Marino e il prefetto Giuseppe Pecoraro, la sentenza dà ragione al secondo, riconoscendogli la legittimità di intervenire.

Tempi


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Storia delle bambine nate in provetta, a cui due gay e due lesbiche «hanno rovinato la vita» 

di Benedetta Frigerio
Questa è la storia di due bambine inglesi, nate tramite fecondazione eterologa, alle quali i genitori hanno «rovinato la vita» dopo essersele contese per sette anni insieme ai rispettivi compagni dello stesso sesso. Questo giudizio è stato dato da Stephen Cobb, giudice della sezione familiare dell’Alta Corte inglese, in una sentenza del 2014, che è stata pubblicata però solo pochi giorni fa.
IL PROCESSO. Dopo 30 ricorsi, Cobb aveva preso in esame il caso delle due bambine cresciute dalla madre e dalla compagna. Queste, a sette anni dal concepimento in provetta, erano state citate in giudizio dal donatore di sperma e dal suo compagno omosessuale, che volevano essere presenti nella vita delle bambine.
LE DUE DONNE. La corte ha stabilito che la maggiore delle figlie, di 13 anni, doveva avere contatti con il padre biologico, mentre i rapporti con la secondogenita di 9 anni si dovevano limitare alla corrispondenza. Secondo Cobb, infatti, «la mancanza importante nelle loro vite è causata dall’assenza di una relazione significativa con il padre». Nonostante i seri problemi presenti nella casa materna, inclusa la violenza fra le due conviventi, parlando della madre biologica come «dispotica» nei confronti della compagna da lei «fortemente dipendente», il giudice aveva definito le due signore assennate.
«INFANZIA ROVINATA». I servizi sociali avevano incolpato le conviventi di aver costruito «una fortezza con alte mura» intorno alle ragazze, per escludere chiunque fosse in disaccordo con loro. Al contempo, il giudice aveva incolpato i due uomini di «alzare la temperatura» del conflitto, dovendo ammettere che «il caso mostra chiaramente le immense difficoltà che si possono scatenare quando una famiglia viene creata con la fecondazione e un donatore non anonimo». Coob aveva aggiunto che «l’infanzia di A e B [i nomi veri non possono essere rivelati] è stata irrimediabilmente rovinata».
VOLONTÀ DELLA FIGLIA. La pubblicazione della sentenza svela un dettaglio in più, rispetto a quanto uscito l’anno scorso. La ragazza 14enne, infatti, non aveva nessuna intenzione di avere rapporti con il padre e il suo compagno omosessuale, desiderando «disegnare la sua conclusione», alla luce del fatto che la sua vita è stata «rovinata». Il giudice, però, ha ribadito: «Rimango certamente dell’idea che i padri hanno un reale valore e possono aggiungere qualcosa di importante alla vita delle ragazze». Se un padre è pur sempre necessario, in questo caso resta davvero difficile trovare il valore a cui appigliarsi.


Tempi