martedì 24 novembre 2015

«La nostra conversione contro l’odio dei terroristi»

Fiori e lumini davanti al locale di Parigi assaltato dai terroristi

Lettera di un parroco dopo la strage di Parigi «La nostra conversione contro l’odio dei terroristi»
di padre Riccardo Barile
Cari figlioli,
a fronte dei fatti di Parigi siete un poco sconvolti. Forse è perché avete guardato troppo la televisione. Quanto a me, da alcuni anni non la guardo e il risultato è che oggi sono preoccupato come voi, ma forse un po’ più sereno di voi. Perché? Perché non esiste il “vuoto ermeneutico”. Scusate l’espressione. Nel nostro caso l’ermeneutica è il “modo” di raccontare gli avvenimenti, che modifica la comprensione degli avvenimenti stessi. Così la televisione e i giornali e i siti internet non solo ci hanno raccontato gli avvenimenti di Parigi, ma ce li hanno interpretati ed è questa interpretazione che rende o rabbiosi o troppo tristi.
Ma poiché la Chiesa è una “agenzia di senso”, cerchiamo di illuminare i fatti di Parigi con alcune luci che solo la Chiesa possiede: «tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza» (Rm 15,4). Come vi ho già precisato, la sola spiegazione del testo scritturistico non dà consolazione, dal momento che - è una formula di Congar - «la Chiesa non riceve il contenuto della sua fede dalla Scrittura: essa ve lo ritrova, il che è ben diverso». Così noi attraverso alcune Scritture lette in un certo modo ritroviamo Gesù Cristo e la tradizione della Chiesa e sarà proprio questo “di più” a darci consolazione.
La prima scrittura è: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,3.5). Permettetemi un ricordo personale: il 3 marzo del, 1974 un DC-10 delle linee aeree turche precipitò a Ermenonville in Francia e vi furono 346 vittime. Avevo viaggiato un anno o due prima con la stessa compagnia e la cosa mi colpì (alla bisogna ho continuato a viaggiare con la compagnia turca di bandiera e mi sono sempre trovato benissimo). Poco dopo dovetti tenere un’omelia a partire d Luca 13 e non mi parve vero di evocare l’incidente, la cui memoria era ancora fresca: «non crediate che i morti del disastro di Ermenonville fossero più peccatori di voi, ma se non vi convertite ecc.». L’omelia conseguì un forte impatto, anche se, è ovvio, non è pensabile provocare un disastro per far riuscir bene un’omelia! Più tardi abbiamo avuto il crollo delle due Torri, ma, anche se Luca 13 parla di una torre, dovette trascorrere relativamente parecchio tempo prima che nel mondo ecclesiastico risonasse Lc 13 e in ogni caso si trattò di pochissime voci.
Così anche oggi a fronte dei fatti di Parigi quasi nessuno cita Lc 13. La ragione è evidente: a fronte di un disastro si cerca conforto e solidarietà: e com’è possibile conseguire tali obiettivi evocando un altro futuro e più disastroso disastro? Eppure Lc 13 pone immediatamente la scala giusta dei valori: non è capitato l’irreparabile, ma solo una debole immagine di un irreparabile ultimo. Lc 13 diventa una spinta alla conversione e anche, di conseguenza, ad attivarci nella preghiera, nella riflessione, nella solidarietà. In altre parole aiuta a continuare a vivere, come è indicato anche in un’altra scrittura: «sentirete di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi, perché deve avvenire, ma non è ancora la fine» (Mt 24,6; Mc 13,7) e Lc 21,9 abbina a guerre un’altra espressione quanto mai indicativa per noi: quanto sentirete di guerre “e di rivoluzioni”. 
Ecco, tutto questo dovremmo avere il coraggio di ricordarlo anche agli altri - nel recente convegno di Firenze non ne hanno parlato, comunque... - ricordarlo non con il dito puntato, ma con l’umile “confessione” dei credenti: «fratelli, uomini e donne, musulmani e di altre religioni, atei teorici e pratici ecc.: noi crediamo che se non ci convertiremo periremo tutti peggio e voi con noi. Ma il Signore che ci chiama a conversione ci salva e ci permetterà di ricostruire vita e cultura dopo il disastro di Parigi».
La seconda scrittura è: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita» (Lc 12,20). I piùanziani ricorderanno la filastrocca: « Vita breve, morte certa, del morire l’ora è incerta». Come ci ricorda il metodo dello “svegliarino”, per cui nel 1700 i missionari la notte precedente la missione giravano per le strade cantando alcune strofette di S. Alfonso Maria de’ Liguori, una delle quali ammoniva: «La tua vita ha da finire, / E non sai quando sarà. / Fratel mio, forse chi sa / Se stanotte hai da morire?». Pensate come si rigirava nel letto chi sentiva queste “cose” dalla finestra!
Cose per fortuna superate. Ma non per un certo numero di giovani che a Parigi si sono recati alBataclan e vi hanno trovato la morte senza poterlo immaginare dieci minuti prima... E che cosa c’era al Bataclan? Una musica assordante e non “secondo il Logos”, direbbe Ratzinger, dionisiaca e non apollinea. Anche se non sono mai stato in discoteca, posso immaginare che ci fosse una musica “da sballo”, capace di far emergere il disordine e la bestialità che c’è in ognuno, santi compresi. E all’inizio della sparatoria mortale suonavano una canzone che parlava di «baciare il diavolo». E forse girava un po’ di droga e un po’ di sesso.
Ecco fratelli, chi è passato da questa situazione alla presenza del volto di Dio, sarà stato in grado diguardarlo o sarà fuggito... all’inferno? Per evitare equivoci, mi affretto a tamponare con un: «Chi siamo noi per giudicare?». No, figliuoli, non giudichiamo e non mandiamo nessuno all’inferno. Piuttosto poniamoci in una posizione diversa: san Paolo prima dell’Eucaristia raccomanda che «ognuno esamini se stesso» (1Cor 11,28). Gli altri no, ma noi sì che possiamo e dobbiamo esaminarci, valutarci, giudicarci. E se vale in relazione all’Eucaristia, tanto più vale in relazione alla morte. E allora ecco la domanda: ci piacerebbe morire al Bataclan mentre ascoltiamo una canzone che parla di baciare il diavolo?
La terza scrittura è: «Il Signore non tarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano dilentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiamo modo di pentirsi» (2Pt 3,9). Il Signore non distrugge né il mondo né gli uomini perché vuole che questi lo cerchino e «tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi» (At 17,26). La forza di Dio e del Vangelo non si impone troncando le vite umane e questa è la base di collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà. Ma può e deve anche essere un confronto critico, perché se la solidarietà è nel non uccidere e nel favorire la vita e la libertà, la vita e la libertà per i cristiani non si esprimono al meglio in quanto succedeva al Bataclan prima della sparatoria.
La 2Pt parla comunque di tempo per convertirsi, anzitutto per noi cristiani dopo i fatti di Parigi. Ma,cari figlioli, preghiamo anche per la conversione e purificazione dei giovani morti al Bataclan. Pensiamoli con simpatia e affetto: potrebbero essere fratelli dei nostri giovani, figli dei nostri adulti, nipoti dei nostri anziani della parrocchia. Forse il loro essere sbandati è stato provocato dalla fragilità di trovarsi in una società sbandata. E perché non possiamo sperare che il Signore abbia avuto misericordia di loro, abbia concesso loro di sceglierlo all’ultimo momento in controtendenza a quanto stavano vivendo? Adesso però hanno bisogno di un po’ di tempo per abituarsi alla musica del paradiso e alle parole dei canti, che non sono quelli del Bataclan, ma di certi cantici dell’Apocalisse che recitiamo nei Vespri. Questo tempo di purificazione si chiama Purgatorio e allora preghiamo per loro senza null’altro immaginare se non la Divina Misericordia. Il tempo che ci è dato e di cui parla la 2Pt ci è dato anche per questo.
La quarta scrittura è: «Mi condusse poi all’ingresso del tempio e vidi che sotto la soglia del tempiousciva acqua verso Oriente», poi l’acqua cresce sino alla caviglia, ai fianchi, a superare la statura di un uomo (Ez 47,1-12). San Gregorio Magno († 604) commentò il profeta Ezechiele, fermandosi però al capitolo 40, dove viene descritto lo splendore del tempio futuro. Questa la motivazione, che potrebbe essere la nostra dopo Parigi: «come tutti potete vedere, le nostre tribolazioni sono cresciute oltre misura. Da ogni parte siamo circondati dalle spade, da ogni parte temiamo imminente il pericolo di morte. Alcuni ritornano da noi con le mani troncate, altri sono stati fatti prigionieri, di altri ci giunge notizia che son stati uccisi. Ormai sono costretto ad interrompere il commento, perché “l’anima mia sente il tedio della vita” (Gb 10,1)» (Omelie su Ezechiele II,10,24).
Noi invece, oltre Gregorio, potremmo avventurarci sino a Ezechiele 47,1-12 con l’acqua che esce dal tempio, inonda la terra e la risana. Mi domanderete: che cosa c’entra con la strage di Parigi? Tento di spiegarvelo, ma per favore non parlatene con i due esegeti della Facoltà! Quest’acqua è la grazia e la benevolenza divina che invaderà la terra nonostante i nostri misfatti dopo aver vinto il male e la morte. E già da ora la invade con i sacramenti. Ma sono anche i segni della vita cristiana che dobbiamo spandere nel mondo: una bella liturgia, la preghiera prima dei pasti, la cultura cristiana, l’osservanza della Quaresima, le istituzioni cattoliche di carità, la conoscenza del catechismo, un po’ di manifestazione di piazza ecc., insomma l’identità cristiana non ridotta all’essenziale, altrimenti sfuma anche l’essenziale.
È questo che ci permette di dialogare, di essere veri interlocutori, di resistere alla violenza, disopportare la sofferenza. Ma tutto questo, come l’acqua di Ezechiele, deve “uscire dal tempio” e invadere la terra, certo rispettando «tutte le nazioni degli uomini» create da Dio (At 17,26), ma non per questo cessando di defluire. Cari figlioli, come concludere? Che il regno di Dio è «giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17). E per noi cristiani resta vero anche dopo la strage di Parigi.