martedì 22 dicembre 2015

Casa della misericordia



L’incontro con i lebbrosi, fase decisiva della conversione del Poverello d’Assisi.

(Giuseppe Cassio) Il rapporto tra frate Francesco e i lebbrosi è illustrato nelle fonti come un esercizio imprescindibile di penitenza, uno dei momenti per avviare concretamente il radicale cambiamento di vita — la sua conversione, come diranno gli agiografi — che si attuò in modo particolare attraverso la compassione per i poveri e i sofferenti, in particolare i lebbrosi. È lo stesso Francesco a raccontare nel dettaglio il ruolo dei lebbrosi nel suo Testamento, testo in cui nella prima parte autobiografica ripercorre a grandi tappe la sua vita.
«Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo». Stando a quanto testimoniato dallo stesso Assisiate fu, quindi, la volontà divina a rivestire Francesco di quello «spirito di povertà» e di quell’«intimo sentimento di umiltà e di pietà profonda» che lo mise a servizio degli emarginati di allora, cioè i lebbrosi «perché in essi egli vide lo stesso Cristo umile e sofferente». Le successive agiografie raccontano che un giorno, mentre cavalcava nei dintorni di Assisi, incontrò uno di quei malati che aveva sempre avuto in orrore: a differenza che in passato, stavolta scese da cavallo e, facendo violenza a se stesso, baciò la mano di quell’uomo — forse piagata dal morbo — e gli offrì una moneta. Di più, ne accettò anche il bacio di pace. È Tommaso da Celano a raccontarci l’episodio sia nella prima Vita che nel Memoriale, ripreso da Bonaventura nella Legenda maior; l’incontro con il lebbroso avvenne un giorno «mentre era a cavallo nei pressi di Assisi. Ne provò grande fastidio e ribrezzo (…) ma balzò da cavallo e corse a baciarlo». Risalito a cavallo non vide più il lebbroso. D’allora in avanti Francesco comprese che quell’uomo non era altro che Cristo stesso che egli aveva abbracciato e baciato tanto da spingerlo a trasformarsi in «compagno e amico dei lebbrosi» moltiplicando le visite agli «infecti» che «accrebbero la sua bontà». Per gli agiografi quel bacio fu, ovviamente, un momento decisivo e quella prima vittoria gli infuse nuovo coraggio. Pochi giorni dopo, prese con sé una quantità considerevole di denaro e si recò al lebbrosario, dove fece l’elemosina ai malati, baciando la mano a ognuno di essi. Fino a quel momento, non soltanto non aveva mai voluto avere nessun contatto con i lebbrosi, ma — affermano sempre le agiografie — quando si trovava a passare nei pressi dei loro ricoveri si girava dall’altra parte, turandosi il naso. Certo, anche negli anni della sua spensierata giovinezza, il santo era stato mosso a pietà dalla sorte di quei poveri sventurati e aveva elargito loro elemosine, ma si era limitato a inviare qualcosa servendosi di altre persone. Adesso, invece, era lui a portarle e come affermato nella Regola non bollata soprattutto non mancò di esonerare i frati dal ricevere elemosine in denaro se queste fossero state necessarie ad assolvere «una evidente necessità dei lebbrosi». All’epoca di Francesco i malati di lebbra non potevano — ovviamente — abitare in città; una volta accertata la malattia, venivano confinati all’interno degli stessi edifici che ospitavano anche i pellegrini, gli infermi, i bambini abbandonati, i vecchi e le vedove ma anche i poveri e i miserabili in generale. Si può affermare che nel periodo in cui il solo avvicinarsi a un appestato era rischioso e avvilente, il lebbrosario diventa per Francesco la casa della misericordia. La più antica interpretazione iconografica delle fonti fa leva sull’umiltà di Francesco manifestata attraverso la compassione e il servizio per i lebbrosi. Partendo dalla tavola Bardi (Firenze, basilica di Santa Croce), Roberto Cobianchi — che ha studiato in dettaglio l’argomento in esame, almeno fino alla fine del Quattrocento — in un puntuale lavoro uscito quasi un decennio fa, riconosce la prima rappresentazione pittorica in cui Francesco compare nell’atto di prendersi cura dei lebbrosi. La tavola risale al 1245-1250 e si ispira alla prima Vita scritta da Tommaso da Celano in occasione della canonizzazione di Francesco ma a ben vedere anche al Testamento. In altra sede è stato sottolineato il rapporto tra la tavoletta in esame nel contesto della vita del servo di Dio in cui si propone un modello di vita esemplare che fa capo a un uomo che disprezza il denaro, che si china per curare amorevole i lebbrosi (così come per sanare gli infermi), che predica davanti al sultano, che scampa al naufragio nel fallito tentativo di raggiungere la Siria. Un esempio, insomma, che non smette di essere vicino per il prossimo, anche quello più ripugnante per malattia o miseria. Emblematica in tal senso la rappresentazione di Francesco seduto sopra uno sgabello con un lebbroso in braccio, sicut mater. Giova ricordare quanto riporta la Lumen fidei a tale proposito. «È ben nota la conversione di san Francesco: il giovane Francesco abbandona ricchezze e comodità per farsi povero tra i poveri, capisce che non sono le cose, l’avere, gli idoli del mondo ad essere la vera ricchezza e a dare la vera gioia, ma è il seguire Cristo e il servire gli altri; ma forse è meno conosciuto il momento in cui tutto questo è diventato concreto nella sua vita: è quando ha abbracciato un lebbroso. Quel fratello sofferente è stato “mediatore di luce”». Anche l’iconografia francescana del Novecento — pensiamo soprattutto al gruppo plastico di Greccio, opera dello spagnolo José Canpanja, del 1925 — ha fornito il leitmotiv di un manifesto programmatico dello stile di vita del Poverello di Assisi, ma anche, a ben vedere, di quanti come lui si sono fatti carico del prossimo. E sono diventati per questo messaggeri di una luce di speranza per una società meno discriminante e più ancorata al valore della solidarietà.
L'Osservatore Romano