giovedì 24 dicembre 2015

Il Natale del Giubileo, la misericordia nel tempo nuovo

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Nuovo tweet del Papa: "Dio è innamorato di noi. Si fa piccolo per aiutarci a rispondere al suo amore." (24 dicembre 2015)

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Povero per i poveri
Avvenire

(Cardinale Angelo Bagnasco«Benedetto il bimbo, che oggi ha fatto esultare Betlemme. / Benedetto l' infante, che oggi ha ringiovanito l' umanità. / Benedetto il frutto, che ha chinato se stesso verso la nostra fame. / Benedetto il Buono, che in un istante ha arricchito tutta la nostra povertà e ha colmato la nostra indigenza. / Benedetto colui che è stato piegato dalla sua misericordia a prendersi cura della nostra infermità ». 
Con queste parole sant' Efrem affida alla poesia l' esaltazione del mistero del Natale, in un inno composto nel IV secolo. Le parole sono semplici e profonde, venate di palpabile commozione. Al cuore della lode, il segreto di un Bambino svelato al mondo: egli è motivo di gioia per tutta la terra, di cui è virgulto eletto, primizia di salvezza. Di questo Bambino il santo siriaco celebra la condiscendenza, il suo chinarsi «piegato dalla misericordia », il suo farsi prossimo della nostra miseria sino a colmarla di abbondanza. Natale è il mistero di un dono: non di un dono qualunque, non uno dei tanti che si assiepano sotto l' albero, spesso per onorare più un 'dovere' di circostanza che una reale necessità. «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Isaia 9,5). Egli è davvero per noi. Nel Natale Dio è più che mai rivolto a noi: ci sorride nel sorriso di un Bambino, accoglie le nostre premure come il più fragile e bisognoso degli uomini. È un' immagine che la nostra tradizione ha molto cara, non mancando mai nei presepi che si illuminano nelle nostre case. È, però, anche un' immagine che ne richiama molte altre. E invita a non dimenticare. Nel volto del Bambino di Nazaret la fede ci invita a ritrovare quello, forse meno serafico, di tanti bambini altrettanto bisognosi e fragili. Nel profilo del figlio di Maria dovremmo scoprire, non senza costernazione, quello di tanti figli che vengono al mondo nella precarietà, nell' indigenza più stringente. Nei primi, travagliati giorni del Redentore in fasce dovremmo rivedere l' affannosa lotta per sopravvivere di intere famiglie che pure non rinunciano alla gioia di dare al mondo una nuova vita, la drammatica ricerca di alloggio, di sicurezza e di protezione, che spesso le costringe a spostarsi oltre i confini delle loro terre e a cercare lontano. Nel mistero del Dio Bambino non è forse riflesso lo strazio dei bambini naufraghi sulle nostre coste? Li vediamo riversi, abbandonati dai flutti sulla sabbia, traditi dalla disperazione che ha spinto i loro cari a portarli con sé in cerca di serenità. Eppure il Natale ci sembra, a volte, un' altra cosa. Non dovrebbe forse suscitare lo stesso, venerante tremore il mistero della sofferenza di chi, innocente, deve pagare per colpe non sue il prezzo per venire al mondo? Dovrebbe indignare la facilità con cui l' odierna attenzione mediatica si sposta dalle tragedie del Mediterraneo alle opulenze dei cenoni. Si piange, ci si irrita per l' abuso, per la violenza di cui sono oggetto i piccoli, ma si tratta spesso di un effetto 'a tempo determinato'. Il mistero del Natale, invece, ci invita a una memoria perenne, a non dimenticare. Perché «un bambino è nato per noi», a noi, a ciascuno di noi «è stato dato un figlio». Sulla scia del Giubileo straordinario inaugurato da Papa Francesco, il Bambino di Nazaret ci addita la via della prossimità. In lui - ci dice sant' Efrem - risplende l' esempio di una misericordia che non si accontenta del candore dei buoni propositi, ma scende in campo per farsi azione, reazione, riscatto. Quel Bambino, misero tra i miseri, si è chinato sulla nostra indigenza, «piegato dalla misericordia». Impariamo da lui a chinarci anche noi gli uni verso gli altri. Impariamo a non ritenerci mai così poveri da non poter dare, e mai così ricchi da non dover ricevere. Perché un Bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio.

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Il Sole 24 Ore
(Bruno Forte) Se il Natale è sempre per chi crede la festa di un Dio che non è stanco degli uomini e incomincia anzi sempre di nuovo ad amarli, quello di quest' anno si colora dei caratteri del Giubileo della misericordia, indetto da Papa Francesco perché la Chiesa viva un' esperienza rinnovata della misericordia divina e la annunci con slancio e convinzione a ogni uomo. «Misericordia - scrive il Papa - è l' atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro… Misericordia è la via che unisce Dio e l' uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato» (Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia, 11 Aprile 2015,2). 

Per aiutare, dunque, chi lo desideri a vivere questo Natale come un tempo di misericordia, aprendosi al senso più profondo di questa parola, vorrei riflettere sui termini usati nella Bibbia per dire «misericordia». La "lingua santa" (leshon ha-qodesh), l' ebraico biblico, che dispone di un numero molto limitato di termini (5750), riesce ad esprimere la realtà vasta e complessa dell' esperienza umana facendo ricorso a immagini che rendono in maniera densamente evocativa l' idea che si intende comunicare: così, per dire «misericordia» l' ebraico usa «rachamim», termine che designa propriamente le viscere materne, il grembo in cui ha inizio ogni vita. È l' idea di una gratuità originaria (la vita non ce la diamo noi, ci è donata!), di una custodia primordiale che accoglie, nutre e protegge, e di un' oscurità ospitale in cui la creatura concepita vive in simbiosi con chi la porta in sé e ne riceve alimento, impulso e custodia. Sul piano delle relazioni che ci fanno umani l' immagine richiama il sentimento intimo di coappartenenza che lega il concepito alla madre, il legame originario dell' amore che fa vivere fra chi dà vita e chi la riceve: sentimento di tenerezza e di commozione profonda («Il mio cuore si commuove per lui e sento per lui profonda tenerezza»: Geremia 31,20). La misericordia così intesa evoca così il mondo degli affetti originari, l' amore viscerale che unisce il generato a chi gli ha dato la vita, quell' amore che per sua natura è gratuito e non condizionato dalla reciprocità, mosso unicamente dalla volontà di bene per l' altro. in questo senso San Bernardo può dire che «Dio non ci ama perché siamo buoni e belli, ma ci rende buoni e belli perché ci ama». L' altro termine che l' ebraico usa per rendere l' idea di misericordia è «chesed»: affine nel significato a «rachamim», se ne differenzia per la sua genesi. Mentre l' amore viscerale è originario e spontaneo, «chesed» è frutto di una deliberazione e si colloca in un rapporto connotato da diritti e doveri: è il bene dovuto, o almeno quello che ci si aspetta come tale. È l' amore con cui l' Eterno si è destinato al suo popolo, quasi vincolandosi ad esso, e per il quale il Salmista può dire «Ricòrdati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre» (Sal 25,6). È la bontà che si esprime nel perdono, nella compassione e nella pietà, sulla base della fedeltà a un impegno che comporta dedizione piena in forza di vincoli di natura o per un dovere liberamente assunto. In questo quadro si comprende come l' idea di misericordia nell' Antico Testamento si colleghi a quella di alleanza, di promessa e di compimento: tutto il mondo spirituale del patto fra l' Eterno e il suo popolo è nel segno della misericordia, di un amore cioè liberamente scelto e voluto fino in fondo, nella realizzazione fedele del disegno che esso comporta per il bene dell' amato. È quanto esprime in maniera intensissima il profeta Osea: «Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell' amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore» (2,21s). È la sicurezza che nel tempo dell' esilio e del difficile ritorno alla terra dei Padri testimonia l' ultimo Isaia: «Voglio ricordare i benefici del Signore, le glorie del Signore, quanto egli ha fatto per noi. Egli è grande in bontà per la casa d' Israele. Egli ci trattò secondo la sua misericordia, secondo la grandezza della sua grazia» (63,7). Il greco del Nuovo Testamento è erede del vocabolario ebraico della misericordia: l' espressione usata per rendere «rachamim» è «splánchna», che significa letteralmente «viscere». Da essa deriva il verbo usato nella parabola del figliuol prodigo per esprimere la reazione del Padre alla vista del figlio che ritorna da lui: «esplanchníste» - «ebbe compassione» (Luca 15,20). È un Padre dalle "viscere" materne quello che Gesù presenta, un Dio dall' amore gratuito e irradiante, pronto sempre a cominciare di nuovo con chi ritorna a lui con cuore pentito e bisognoso di misericordia. È un Dio "visceralmente" innamorato della sua creatura, come può esserlo una madre verso il figlio delle sue viscere, a un livello di perfezione e di purezza nell' amore quale solo il Creatore e Redentore dell' uomo può raggiungere. La misericordia evoca così le idee di gratuità, di custodia e di affidabilità incondizionata, fondate su un rapporto d' amore originario, fonte di sempre nuova vita: ciò di cui tutti, senza eccezione alcuna, abbiamo nostalgia e bisogno, oltre la stessa consapevolezza che possiamo averne. L' augurio per questo Natale dell' anno giubilare della misericordia, allora, vorrei formularlo così: che sia per tutti un tempo nuovo di misericordia ricevuta in dono e offerta con gratuità, nella gioia semplice ed esigente di amare, lasciandosi amare dal Dio che si fa vicino nella piccolezza di un Bambino.