sabato 23 gennaio 2016

Family Day: Parole come pietre





Parole nette ma caute Francesco non vuole un muro contro muro
Corriere della Sera
(Massimo Franco) Non è strano che il Papa abbia invitato a non fare confusione tra «la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione». Semmai, è singolare la sorpresa con la quale sono state accolte le parole dette ieri da Francesco durante l' incontro con il Tribunale della Sacra Rota. A una settimana dalla manifestazione del Family Day, il suo intervento è stato considerato a favore degli organizzatori. Eppure non poteva essere che così. In Vaticano la legge che sta prendendo corpo in Parlamento e sarà discussa in Senato a partire dal 28 gennaio è vista come una forzatura. Una misura contro la quale non alzare barricate né lanciare anatemi, perché i vertici dell' episcopato hanno accettato mentalmente le unioni civili tra omosessuali. Il contorno del provvedimento, però, soprattutto per i margini di ambiguità che lascia in materia di adozione dei bambini, è visto come frutto di un' operazione ideologica. E, per quanto la Chiesa, intesa come ecclesiastici, abbia cercato di evitare che una manifestazione di piazza potesse assumere il carattere dello scontro, alla fine ha dovuto «seguire». È come se la base cattolica avesse interpretato la riforma voluta dal governo, e definita ieri «irrinviabile» da Matteo Renzi, come una sorta di provocazione para referendaria. Ed ha risposto con una scelta di piazza che prefigura due campi contrapposti. L' avversario non è tanto quello della mobilitazione in cento piazze che organizzano per oggi Arcigay, ArciLesbica, Agedo, Famiglie Arcobaleno e Mit. La controparte è il Parlamento, dove il premier vuole far approvare un emendamento che faccia decadere subito tutti quelli contro la legge «firmata» da Monica Cirinnà. L' adesione al Family Day di una conferenza episcopale regionale dopo l' altra racconta come le gerarchie cattoliche siano state trainate a assecondare l' iniziativa. E come il Papa abbia voluto offrire un' imprimatur discreto ma convinto a una folla della quale conosce le intenzioni e le pulsioni: anche a costo di ascoltare parole d' ordine difensive, dure, e che non riflettono la sua pedagogia inclusiva e la sua idea della Chiesa. Proprio ieri, salutando in un messaggio i partecipanti alla Cinquantesima giornata mondiale della comunicazione, Francesco ha invitato a esprimersi con generosità «anche nei riguardi di chi pensa o agisce diversamente». Si tratta di un accenno che rimanda alle parole dette in tema di famiglia verso «quanti per libera scelta o per infelici circostanze della vita vivono in uno stato oggettivo di errore». Le parole sono nette e insieme problematiche. Lasciano capire perché il Papa non voglia e non possa tenere la Chiesa a distanza dal Family Day; e, al tempo stesso, perché preferisca che sia il laicato cattolico a guidare la manifestazione. Pesano il passato delle battaglie referendarie perdute su divorzio e aborto; il presente di una situazione politica avvelenata, nella quale Papa e vescovi rischiano seriamente di essere strumentalizzati; e una concezione della famiglia e dei valori cattolici, che il pontefice argentino forse vorrebbe meno «all' italiana». Gli stendardi delle delegazioni di regioni come Lombardia e Veneto, che hanno annunciato la presenza al Family Day, saranno guidate da esponenti della Lega Nord: rispettivamente Roberto Maroni e Luca Zaia. La destra di Giorgia Meloni sostiene che le parole di Francesco dovrebbero essere «di monito al Parlamento». E il sindaco di Bologna Virginio Merola, del Pd, tradisce una punta di freddezza verso l' arcivescovo della città, monsignor Matteo Zuppi, scelto da Bergoglio, il quale ha detto, all' unisono col presidente della Cei, Angelo Bagnasco, che la legge sulle unioni civili non è una priorità. Insomma, il tentativo delle opposizioni a Renzi di usare il Family Day per attaccare Palazzo Chigi è evidente. Altrettanto chiaro è che al Vaticano di Francesco un' operazione strumentale di questo tipo non piace. Per due motivi. Il primo è che l' attuale Papa, forse più ancora dei predecessori, non nasconde il fastidio per le ingerenze ecclesiastiche nella politica. Ritiene che una delle ragioni per le quali la Chiesa in Italia avrebbe perso credibilità è stata un' eccessiva contiguità col potere. Ma la seconda ragione, la più importante dal punto di vista culturale, è che costringere l' immagine della famiglia dentro schemi troppo integralisti contraddice gli insegnamenti e gli obiettivi del pontefice latinoamericano. Un «no» troppo gridato, da muro contro muro, a quanti il Papa definisce «in uno stato oggettivo di errore», può aprire la strada a altri rifiuti, più pericolosi. La famiglia-fortezza prometterebbe di trasformarsi nel baluardo della difesa dei valori cristiani anche contro gli immigrati; e dunque di contribuire ad una lettura «autarchica», blindata e potenzialmente xenofoba del cattolicesimo. È questa la seconda fase che un Family Day declinato in modo integralista potrebbe aprire. Il Papa dei «ponti», il nemico giurato dei muri e delle barriere, si ritroverebbe a dover governare un mondo cattolico italiano e europeo che dalla protezione della «famiglia cristiana» scivola verso quella dell'«immigrazione cristiana» e anti islamica. E pazienza se in una deriva del genere pesano soprattutto gli errori e le forzature del governo e dei suoi avversari. Il risultato sarebbe comunque quello di una regressione.

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Le parole sono pietre
La Stampa
(Marcello Sorgi) Alla vigilia del Family-day e delle manifestazioni a favore del riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali, l' entrata in scena di Papa Francesco, sul controverso terreno delle unioni civili in discussione al Senato, è destinata a pesare moltissimo sulla complicata gestazione della legge. Fino a questo momento infatti - e con la sola eccezione del richiamo rivolto all' allora sindaco di Roma Marino per il suo frettoloso riconoscimento delle coppie gay - il Papa si era astenuto dall' influenzare o dal prendere parte alle vicende politiche italiane, anche quelle che, toccando problemi di fede e di coscienza, in passato avevano motivato l' intervento delle Gerarchie.Fino a qualche giorno fa, inoltre, un' intervista del segretario della Conferenza dei vescovi italiani, monsignor Galantino, aveva delineato un approccio laico alla questione: la Chiesa, in sostanza, riconosceva il diritto del Parlamento italiano a legiferare anche su una materia così delicata, limitandosi a raccomandare di non confondere il riconoscimento di alcuni diritti - ad esempio, era facile immaginare, l' assistenza sanitaria, o la reversibilità delle pensioni tra i componenti della coppia di fatto - con altri, tipo le adozioni, che si sarebbero ricollegati a delicati problemi di bioetica. Trasparente era, poi, l' invito alle forze politiche, a trovare una mediazione, un punto di incontro tra le diverse sensibilità. Ma invece di favorire un chiarimento - difficile, se non impossibile, vista la radicalità delle posizioni in campo al Senato -, l' intervista del segretario della Cei aveva sollevato reazioni Oltretevere. Nel giro di pochi giorni, il presidente della stessa assemblea dei vescovi, cardinale Bagnasco, e l' ex-presidente, nonché teorico della più rigorosa difesa dei «valori irrinunciabili» del cattolicesimo, monsignor Ruini, avevano replicato duramente a Galantino, invocando una più energica iniziativa della Chiesa sui cattolici italiani, dentro e fuori il Parlamento. Era sembrato tuttavia che il Papa non avesse accolto bene queste manifestazioni di dissenso. Poi, ieri, forse proprio per evitare di affidare il suo pensiero a voci o interpretazioni informali, Francesco ha deciso di far sentire forte e chiara la sua voce. Va detto subito che un intervento come quello pronunciato davanti al Tribunale della Sacra Rota, anche se non conteneva un esplicito riferimento alla legge in discussione, potrebbe essere considerato un' ingerenza nella vita politica italiana. Il Papa, va da sé, ha pieno diritto di rivolgersi ai fedeli - e lo fa continuamente in piena libertà -, ma allo stesso tempo non può ignorare, né il momento scelto per pronunciare il suo severo richiamo a distinguere la famiglia da unioni di altro tipo, né il suo ruolo istituzionale di Capo di uno Stato straniero. Per ritrovare un analogo intervento, accolto freddamente dall' allora presidente del Consiglio Romano Prodi, che in polemica si definì «cattolico adulto», occorre tornare al 2007, a un' analoga contingenza politica (allora le unioni civili si chiamavano Dico), a Papa Benedetto e appunto al cardinale Ruini, allora alla guida di una Cei battagliera. Ma se Francesco, che aveva esordito con propositi opposti («Chi sono io per giudicare un gay?», aveva detto nel corso di uno dei suoi primi viaggi), e fino adesso aveva mantenuto un inappuntabile distacco dalle questioni italiane, ha deciso di tornare sui suoi passi, bisogna pur chiedersi perché lo ha fatto. E la risposta non può essere rintracciata solo nelle divisioni che sono affiorate tra le Gerarchie e nella richiesta della parte più conservatrice della Chiesa di far sentire una e una sola voce, che non poteva non essere quella del Papa. La verità è che tra i tanti - laici e non - che in questi giorni stanno seguendo l' evoluzione del dibattito in Senato e lo scontro aperto nella società civile, forse anche il Papa s' è reso conto che una legge che nasca in queste condizioni, difficilmente sarà adatta a risolvere le questioni che è chiamata ad affrontare, e finirà col creare più problemi, invece di indicare soluzioni. Basta solo riflettere sul percorso fatto fin qui dal disegno di legge Cirinnà. A inizio d' anno, non più tardi di due settimane fa, Renzi si era impegnato a sostenerlo, quasi come se si trattasse di un punto di programma del suo governo. Successivamente la ministra dei rapporti con il Parlamento Boschi si era dichiarata a favore anche della «stepchild adoption», l' adozione del figlio del partner, che rappresenta il punto più controverso del testo. Subito dopo il governo ha preferito farsi da parte, lasciando al Parlamento l' onere delle decisioni. E dopo un inconcludente confronto in commissione a Palazzo Madama, in cui, per inciso, ognuno è rimasto sulle sue posizioni, il testo è stato mandato in aula senza relatore: un vascello alla deriva, senza nessuno che si assuma il compito di spiegarlo ai senatori, discutere eventuali emendamenti, difenderlo o correggerlo, cercando il compromesso che fin qui non è stato individuato. Resta a battersi per le unioni civili comprensive di adozioni la senatrice Cirinnà, che ha materialmente scritto la proposta di legge ed è sicura che a voto segreto il Senato la approverà. Ma i due maggiori partiti di governo e di opposizione, Pd e Forza Italia, sono divisi e hanno scelto di lasciare libertà di voto ai propri parlamentari, mentre tra gli altri ci sono quelli apertamente contrari (Ncd, centristi, Lega e Fratelli d' Italia) e quelli radicalmente favorevoli (la sinistra radicale). Nessuno è in grado di prevedere cosa verrà fuori dalle centinaia di votazioni che dalla prossima settimana saranno effettuate, per arrivare all' approvazione di un testo, quale che sia, dal momento che la legge alla fine sarà la risultante di alleanze estemporanee e fronti contrapposti. Ma al contempo, ormai, nella confusione del momento, nessuno è più in grado di impedirlo. Così si spiega anche la seconda parte dell' intervento del Papa, quella dedicata alle parole e alla necessità di farne sempre un uso accorto e appropriato. È come se Francesco avesse voluto ricordarci che a volte, sempre più spesso ormai, le parole sono pietre. Mai come questa volta infatti la posta in palio non sono solo i diritti delle coppie omosessuali: sacrosanti, verrebbe da dire, se il termine in questo contesto non fosse improprio. Ciò di cui si discute è il modo di farli entrare nel nostro ordinamento, valutandone, oltre alla necessità, anche l' aspetto potenzialmente dirompente, e forse l' opportunità di un inserimento graduale e ben motivato. Né più né meno come avvenne con il divorzio e con l' aborto, senza riuscire a evitare che all' inizio si aprisse una guerra di religione, ma anche facendo sì che potessero essere metabolizzati, come in seguito avvenne, da gran parte dei cattolici inizialmente contrari.

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Il Papa non ha sorpreso nessuno con il discorso di ieri al Tribunale della Rota Romana. I confini della misericordia
La Repubblica
(Vito Mancuso) Contrariamente a molte altre volte, il Papa non ha sorpreso nessuno con il discorso di ieri al Tribunale della Rota Romana, un testo del tutto secondo copione, il medesimo che non solo Benedetto XVI e Giovanni Paolo II ma anche tutti gli altri 263 Papi avrebbero potuto tenere. Francesco ha detto che «non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione », perché la famiglia tradizionale (cioè quella «fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo ») appartiene «al sogno di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell' umanità». 
Vi è quindi un modello canonico di famiglia, rispetto al quale tutte le altre forme di unione affettiva e permanente sono livelli più o meno intensi di quanto il Papa ha definito «uno stato oggettivo di errore». È per questo che solo la famiglia della dottrina ecclesiastica merita il nome di famiglia, mentre a tutte le altre spetta il termine meno intenso di «unione». Ma è proprio vero che la famiglia della dottrina ecclesiastica corrisponde al disegno di Dio? Oppure è anch' essa una determinata espressione sociale, nata in un certo momento della storia e quindi in un altro momento destinata a tramontare, come sta avvenendo proprio ai nostri giorni all' interno delle società occidentali? Penso che il referendum della cattolicissima Irlanda con cui è stata mutata la costituzione per permettere a persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio sia una lezione imprescindibile per il cattolicesimo, della quale però a Roma ancora si fatica a prendere atto. In realtà che la famiglia evolva e cambi lo mostra già il linguaggio. Il termine "famiglia" deriva dal latino familia e sembra quindi dotato di una stabilità più che millenaria, ma se si consulta il dizionario si vede che il termine latino, ben lungi dall' essere ristretto al modello di famiglia della dottrina cattolica, esprime una gamma di significati ben più ampia: «Complesso degli schiavi, servitù; truppa, masnada; compagnia di comici; l' intera casa che comprende membri liberi e schiavi; stirpe, schiatta, gente». Lo stesso vale per il greco del Nuovo Testamento, la lingua della rivelazione divina per il cristianesimo, che conosce un significato del tutto simile al latino in quanto usa al riguardo il termine oikia, che significa in primo luogo "casa" (da qui deriva anche il termine "parrocchia", formato da oikia + la preposizione parà che significa "presso"). Anche nell' ebraico biblico casa e famiglia sono sinonimi, dire "casa di Davide" è lo stesso di "famiglia di Davide": si rimanda cioè al casato, comprendendo mogli, figli, schiavi, concubine, beni mobili e immobili. Quindi le lingue della rivelazione di Dio non conoscono il termine famiglia nel senso usato dalla dottrina cattolica tradizionale e ribadito ieri dal Papa. Non è un po' strano? La stranezza aumenta se si apre la Bibbia. È vero che in essa si legge che «l' uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno un' unica carne» (Genesi 2,24), ma se si analizzano le esistenze concrete degli uomini scelti da Dio quali veicoli della sua rivelazione si vede uno scenario molto diverso con altre forme di famiglia: Abramo ebbe 3 mogli (Sara, Agar e Keturà), Giacobbe 2, Esaù 3, Davide 8, Salomone 700. A parte Salomone, che in effetti eccedette, non c' è una sola parola di biasimo della Bibbia a loro riguardo. Che dire? La parola di Dio è contro il disegno di Dio? Oppure si tratta di testi che vanno interpretati storicamente? Ma se vanno interpretati storicamente i testi biblici, come non affermare che va interpretato storicamente anche il modello di famiglia della dottrina ecclesiastica? Ciò dovrebbe indurre, a mio avviso, a evitare affermazioni quali «stato oggettivo di errore». La vita quotidiana nella sua concretezza insegna che vi sono unioni ben poco tradizionali di esseri umani nelle quali l' armonia, il rispetto, l' amore sono visibili da tutti, e viceversa unioni con tanto di sacramento cattolico nelle quali la vita è un inferno. Siamo quindi davvero sicuri che la dottrina cattolica tradizionale sulla famiglia sia coerente con l' affermazione tanto cara a papa Francesco secondo cui «il nome di Dio è misericordia»? Io ovviamente mi posso sbagliare, ma mi sento di poter affermare che Dio non pensa la famiglia, meno che mai quella del Codice di diritto canonico. Pensa piuttosto la relazione armoniosa alla quale chiama tutti gli esseri umani, perché il senso dello stare al mondo è esattamente la relazione armoniosa, che si esplicita in diversi modi e che trova il suo compimento nell' amore. Ogni singolo è chiamato all' amore: questo è il senso della vita umana secondo il nucleo della rivelazione cristiana. Sicché nessuno deve poter essere escluso dalla possibilità di un amore pieno, totale, anche pubblicamente riconosciuto. Ed è precisamente per questo che ci si sposa: perché il proprio amore, da fatto semplicemente privato, acquisti una dimensione pubblica, politica, in quanto riconosciuto dalla polis. Questo amore è definibile come integrale, in quanto integra la dimensione soggettiva con la dimensione pubblica e oggettiva dell' esistenza umana. La nascita di alcuni esseri umani con un' inestirpabile inclinazione sessuale verso persone del proprio sesso è un fatto, non piccolo peraltro: essi devono strutturalmente rimanere esclusi dalla possibilità dell' amore integrale? In realtà l' aspirazione all' amore integrale deve essere riconosciuto come diritto inalienabile di ogni essere umano acquisito alla nascita. L' amore integrale è un diritto nativo, primigenio, radicale, riguarda cioè la radice stessa dell' essere umano, e nessuno ne può essere privato. Spesso nel passato non pochi lo sono stati, e ancora oggi in molte parti del mondo non di rado continuano a esserlo. Oggi però il tempo è compiuto per sostenere nel modo più esplicito che tutti hanno il diritto di realizzarsi nell' amore integrale, eteroaffettivi e omoaffettivi senza distinzione. La maturità di una società si misura sulla possibilità data a ciascun cittadino di realizzare il diritto nativo all' amore integrale, ma io credo che anche la maturità della comunità cristiana si misuri sulla capacità di accoglienza di tutti i figli di Dio così come sono venuti al mondo, nessuno escluso. Che cosa vuol dire che «il nome di Dio è misericordia» per chi nasce omosessuale? È abbastanza facile dire che Dio è misericordia quando ci si trova al cospetto di casi elaborati da secoli di esperienza. Più difficile quando ci si trova al cospetto della richiesta di riconoscimento della piena dignità da parte di chi per secoli ha dovuto reprimere la propria identità. Qui la misericordia la si può esercitare solo modificando la propria visione del mondo, ovvero infrangendo il tabù della dottrina. Ma è qui che si misura la verità evangelica, qui si vede se vale di più il sabato o l' uomo. Qui papa Francesco si gioca buona parte del valore profetico del suo pontificato.