sabato 27 febbraio 2016

III Domenica del Tempo di Quaresima. Anno C — 28 febbraio 2016. Ambientale e commento al Vangelo

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Nella terza Domenica di Quaresima, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù, prendendo spunto dalla notizia della morte violenta di alcuni uomini, invita ad affrettare la conversione. Racconta, quindi, la parabola del fico che non dà frutti. Il padrone vuole tagliarlo, ma il vignaiolo dice:
“Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”.

Il Signore ha pietà di noi oppressi dalla solitudine dell’egoismo e dalla paura, dalle concupiscenze insaziabili, e ci guida con la Chiesa, attraverso il deserto della penitenza orante, al dono della Pasqua: la libertà di amare. Le insidie nel viaggio non mancano: trascinarsi in una Quaresima “religiosa”, ma con poca fede, che persegue la propria e non la Sua Volontà, dove il bene e il male poco a poco si confondono per l’idolatria che paralizza ogni desiderio di vita nuova. Da qui il monito appassionato di “Colui che è”, a non vivere nel popolo di Dio superficialmente, con sacrifici e digiuni, ma senza conversione, senza togliere da sé l’oppressione, il puntare il dito, il parlare empio, come pure l’avarizia e l’indifferenza al prossimo. Alla caduta c’è rimedio, all’amore per l’iniquità no, per i peccatori la misericordia divina è sempre pronta a ridonare la vita, l’eredità dei corrotti invece è un cuore indurito da un cinismo insensibile che non si avvede dell’approssimarsi della fine. Dio non è un ispettore rigoroso pronto a punire le inadempienze come taluni credono, già basta il peccato a punirci col suo salario di sofferenza e di morte. Al contrario in questo tempo favorevole Cristo stesso si prende cura di noi, zappa la nostra terra con qualche umiliazione, ma subito la concima con la grazia del perdono e l’irriga con la sua Parola di salvezza. La Carità sarà il frutto maturo, l’amore che tutto scusa e tutto spera sarà riversato nei nostri cuori abbondantemente nella Pasqua che ci attende. (Sanfilippo)

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Taglialo

Commento sul Vangelo della III Domenica del Tempo di Quaresima. Anno C — 28 febbraio 2016
 La sapienza consiste nel saper contare i propri giorni, ciascuno come un «kairos», un momento favorevole per «convertirsi». Come «questo preciso momento» in cui le notizie dal fronte della storia ci annunciano crisi finanziarie, venti di guerra, leggi che feriscono la vita e a famiglia. È vero, la «creazione geme e soffre» a causa del peccato, ma non è impazzita. La cronaca registra il dolore, ma è quello delle «doglie» che annunciano la vita per la quale Dio ha plasmato ogni cosa. Essa risplende come una primizia nei Figli di Dio «piantati» nella vigna del Signore.
Nel seno della Chiesa, come pazienti «vignaioli», pastori e catechisti li hanno curati con «zappa» e «concime», la Parola che dissoda con la Verità, e i sacramenti che nutrono del Mistero Pasquale di Gesù. Una storia d’amore che ha accolto anche noi nel seno di una terra di misericordia e tenerezza, grazie e segni, correzioni e consolazioni.
Il «terreno» fecondato dal seme benedetto del corpo del Signore, nel quale siamo stati chiamati a crescere e risuscitare con Lui, per presentare al mondo i «frutti» maturi della fede adulta, le opere che annunciano in noi la sua vittoria sulla morte. Il mondo ha bisogno dei nostri «frutti», é questione di vita o di morte. 

Accanto a noi qualcuno sta per abortire, divorziare, gettare al vento la propria dignità. Forse si tratta della persona più vicina, e non ce ne stiamo accorgendo. Forse è tua moglie, che la tua indifferenza e il tuo egoismo sta uccidendo, come in una lenta eutanasia: goccia a goccia, il disinteresse, la noia, il calo del desiderio asfissiano la relazione. Ti unisci a lei solo quando la carne lo reclama – e chissà perché lo reclama sempre meno, forse la pornografia sta prosciugando la tua anima? o l’attaccamento al denaro ha rapito il tuo cuore? – come quando hai fame e ti mangi un pezzo di pizza; ma per il resto neanche uno sguardo, di quelli speciali, che giungono al cuore per deporvi tenerezza e misericordia…
E capita che ormai sono anni che non vi unite più, e le parole scivolano sul cuore come gocce di pioggia su un tessuto idrorepellente, e le attenzioni sono riversate su figli, lavoro, cose e denaro; e le ore insieme diventano noiose, con un bisogno d’evasione incipiente che si trasforma in quell’insoddisfazione perenne che ti allontana da tutto e da tutti…
Il matrimonio è ferito e non te ne rendi conto; per questo non ricorri alla sua fonte; hai dimenticato che è un sacramento e che non è opera tua; non ti viene in mente che c’è un modo per salvarlo, anzi di risuscitarlo, perché Cristo ha il potere su ogni morte, anche su quelle che porti dentro e non vuoi vedere! Non ti importa perché forse l’hai chiuso in una tomba sulla quale non versi più neanche una lacrima. 

Ma le persone che ti stanno accanto, «soffrono e gemono» a causa dei tuoi peccati, dei miei, e dei loro … brancolano nel buio, ce ne siamo accorti? Come il mondo, che non capisce, non sa, la morte e il dolore spaventa e si finisce con il fuggirlo. Tuo figlio scappa, l’hai capito? Gli spinelli, i piercing, sono messaggi che ti lancia. Il primo denuncia i suoi peccati e il suo orgoglio. Ma il secondo denuncia te…
Il demonio lo sta ingannando e lo tiene per il collo mostrandogli la tua incoerenza, il tuo attaccamento al denaro e alla carriera… Non si tratta di essere impeccabili, no. Si tratta solo di riconoscere la propria debolezza, i propri peccati, e chiedere aiuto a Dio e implorare il suo perdono. 

Per questo dovremmo chiederci se le persone che ci sono accanto troveranno oggi in noi il discernimento, la Parola di Verità, l’amore di cui hanno diritto? Forse no. Forse, come quei giudei, «abbiamo mangiato e ci siamo saziati» dei segni con i quali il Signore ha «moltiplicato» la nostra povera vita e abbiamo cominciato a «sfruttare» per noi stessi «il terreno» del Padrone.
“Sono tre anni”, è tanto che stiamo nella Chiesa, e forse ci stiamo approfittando del matrimonio, del ministero sacerdotale, della vita religiosa, dell’amicizia, di Dio stesso. La parabola descrive il tempo di catecumenato della Chiesa primitiva, che non durava però all’infinito. Non si può essere catecumeni a vita… Non si può essere sempre cristiani in prova: la Grazia non ci è data per essere dissipata.
Per questo, nella Chiesa primitiva, il Vescovo si informava attraverso degli scrutini pre-battesimali per sapere come procedeva la preparazione del catecumeno. Purtroppo oggi questo non accade quasi mai, anzi, “informarsi, chiedere, correggere” sembrerebbe un giudizio verso i parrocchiani… Il “taglialo” poi, figuriamoci, in tempi di legge sull’omofobia sarebbe un attentato alla libertà di scelta. 

Tutto questo accade perché abbiamo messo da parte l’amore e la gratuità di Dio; non li conosciamo più, e la confusione regna sovrana. La fede poi, normalmente, è data per scontata. E così i pastori, solo perché la gente ancora frequenta la Chiesa, passano all’incasso chiedendo, a volte esigendo, i “frutti”: cercano i catechisti, i lettori, il coro, i volontari per la festa patronale, per l’animazione dell’oratorio, e si buttano i parrocchiani nella girandola del fare, senza pensare che prima viene un essere. Ed è raro chi si chiede se i parrocchiani siano stati formati o no: l’albero non cresce e non fruttifica senza terra, acqua, sole, concime.
Per questo è necessaria una pedagogia permanente, una iniziazione cristiana seria, che non dia per scontata la fede, ma che ne accompagni e curi la maturazione. E’ fondamentale privilegiare l’incontro personale con Cristo che viene, con amore e per amore, a chiedere i “frutti” dello Spirito Santo in ciascuno di noi. Per aiutarci a vedere con chiarezza in noi, affinché possiamo riconoscerci peccatori e accogliere la “conversione”  come una buona notizia, chiedendoci conto, per amore, dei “tre anni”, del nostro tempo vissuto nella Chiesa.  
Che ne abbiamo fatto di tutto l’amore seminato nella nostra vita? Forse lo abbiamo pervertito, ed è divenuto questa poltiglia affettiva che abbiamo tra le mani: sempre impauriti, nevrotici, gelosi. Che nessuno ci porti via l’attenzione e la stima degli altri; che nessuno osi essere diverso da quello che abbiamo stabilito; che nessuno ci privi, oggi, della dose di affetto di cui abbiamo bisogno, sempre più massiccia, al limite dell’overdose. Che mio marito non creda di farla franca se non mi accompagna a comprare le scarpe; che la figlia non creda di passarla liscia con quell’atteggiamento supponente; che i miei figli non si illudano, non è possibile che sono già tre settimane che non mi vengono a trovare, che non si preoccupano della mia artrosi, dopo quello che ho fatto per loro. E’ vero, stiamo per impazzire, imprigionati nell’impossibilità di ottenere l’affetto del quale ci sentiamo in diritto. Abbiamo tristemente scambiato i “frutti” che siamo chiamati a dare con quelli che esigiamo dagli altri

Per questo il Signore dice perentoriamente: «Taglialo». E’ una scure questa parola, ed è rivolta a noi. Come mai ancora non è giunta sulla nostra vita per portarsela via? Forse siamo migliori del collega morto all’improvviso o della ragazza rapita, violentata e uccisa? Forse siamo migliori del cugino che ha lasciato moglie e quattro figli e si è messo con una ventenne, sventagliando una raffica di mitra sul cuore dei suoi familiari? Forse sei meglio di quella mamma che ha accoltellato suo figlio di un anno? O forse Dio è un mostro e fa preferenze e vibra la scure scegliendo chi colpire come in una lotteria? «No, vi dico, ma se non vi convertite», la morte sarà per voi un’ingiustizia senza senso come lo è per il mondo.
Ecco, il punto fondamentale è, oggi, come ogni giorno, la conversione. Che significa ascoltare la predicazione e la Parola di Dio, accoglierla e lasciare che polverizzi i criteri mondani con i quali guardiamo e interpretiamo i fatti, quelli di cronaca come quelli della nostra storia. Convertirsi significa, soprattutto, permettere a Dio di “tagliare” oggi la mano, il piede e l’occhio che ci scandalizzano, che ci fanno inciampare e ci impediscono la libertà per discernere la volontà di Dio negli eventi. 

Anche oggi viene il Signore a “tagliare” la parte mondana e corrotta di noi. Gli apriamo? Ci mettiamo in ginocchio chiedendogli aiuto e pietà? O ci chiudiamo nell’orgoglio, difendendoci a spada tratta? Gesù non minaccia un castigo ma profetizza la triste conseguenza riservata a un cuore indurito. Si “perisce” tutti, ma il modo può essere diverso.
Si può morire come chi non ha speranza ed è colto impreparato, o con il cuore di una sposa che attende il ritorno dello Sposo. Si può morire con e per amore, o chiusi nell’orgoglio e nell’egoismo che acceca e non ci fa capre nulla di quello che ci accade. Anche oggi può caderci addosso la torre di Siloe, basta una parola del marito… Ma non è detto che ci uccida come uccide chi non se l’aspetta: possiamo “convertirci”, lasciare di guardare noi stessi e contemplare l’altro, nel quale è vivo Cristo; e accogliere la stessa parola cattiva con amore, morendoci dentro probabilmente, tanto è dura e ironica.
Ma per amore, offrendosi all’altro come Cristo si è consegnato a noi, senza riserve. Allora la torre non ci schiaccerà nella disperazione, ma sarà un’occasione per donarsi e amare. Una bella differenza no? Non siamo migliori di nessuno, non abbiamo alcun diritto per morire santamente, nella storia di ogni giorno come quando esaleremo l’ultimo respiro: «No, vi dico, ma se non vi convertite», il mondo resterà senza speranza e ne chiederò conto a voi. 

«Convertirci» allora è ricordare che c’è un «taglialo» definitivo che ci aspetta e meritiamo, ma è fermo a mezz’aria per la pazienza magnanime di Dio che desidera che tutti si salvino. Lui ci ama follemente, sa tutto di noi, del nostro matrimonio, della nostra incoerenza, della corruzione del nostro cuore ipocrita e ingannato. Sa e non ci giudica; sa e proprio per questo ci ama incondizionatamente.
Per questo ci concede ancora quest’«anno» Santo della Misericordia, la vita che abbiamo davanti come un giubileo, un tempo favorevole nel quale convertirci: i fratelli che ci amano, i presbiteri che ci accompagnano, la Chiesa intercede per noi, come San Francesco che ottenne dal Papa il primo anno santo per offrire a tutti l’opportunità di salvarsi; o come Mosè che ha interceduto per il Popolo ottenendo pazienza e misericordia. Il “vignaiolo” è pronto ancora “un anno” a “zappare attorno” alla nostra vita e “metterci il concime” per “vedere se porteremo frutto per l’avvenire”. C’è ancora una Parola annunciata che illumina gli eventi rivelandoceli come colpi santi di zappa che stravolge le situazioni malate; c’è una Chiesa che ci accoglie e “concima” ogni ambito della vita con la correzione. C’è ancora un “oggi” dove non indurire il cuore, lasciare l’orgoglio e il peccato suo figlio, e abbandonarci all’opera del «vignaiolo».
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Esodo di conversione al Dio di misericordia

Lectio Divina sulle letture per la III Domenica di Quaresima – Anno C – 28 febbraio 2016
Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi come di consueto la seguente riflessione sulle letture per la III Domenica di Quaresima – Anno C – 28 febbraio 2016.
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Rito Romano
III Domenica di Quaresima – Anno C – 28 febbraio 2016
Es 3,1-8a.13-15; Sal 102; 1 Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9
Rito Ambrosiano
III Domenica di Quaresima
Dt 6,4a;18,9-22; Sal 105; Rm 3,21-26; Gv 8,31-59
Domenica di Abramo
1) L’amore come strada della conversione1.
L’argomento centrale del brano evangelico di oggi è la conversione-penitenza. Lo spunto è dato da due fatti di cronaca realmente accaduti al tempo di Gesù e di cui si ha notizia solo nel Vangelo di San Luca. Uno riguarda alcuni Galilei fatti uccidere da Pilato e l’altro riguarda 18 persone morte schiacciate dal crollo della torre di Siloe (un’opera difensiva che si trovava nella cinta muraria a sud-est di Gerusalemme, accanto alla sorgente di Siloe).
Alla domanda perché queste persone siano morte Gesù afferma che le vittime non erano certo più colpevoli degli altri abitanti di Gerusalemme. Gesù invece di dare una risposta sul perché del male nel mondo e della morte degli uomini, suggerisce di guardare alle disgrazie non come castighi, ma come avvertimenti. In effetti, la vera disgrazia, la vera malattia mortale è il peccato, che separa l’uomo da Dio, sorgente di vita, e dagli altri uomini rendendo invivibile la vita personale e sociale. Per questo il Redentore ammonisce: “Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,5).
Stupisce che Cristo, l’Agnello che toglie i peccati del mondo, abbia un tono così duro e categorico. Fortunatamente, San Luca, “l’evangelista della misericordia”, aggiunge alle parole di duro avvertimento, la parabola del fico sterile. Ciò permette di capire che l’affermazione del giudizio divino che si abbatte inesorabilmente su coloro che non si convertono, va capita tenendo conto dell’intenzione più profonda, originaria di Dio è che “non vuole la morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva” (Ez 33,11).
C’è un segreto di misericordia nella parabola del fico sterile, nel rovesciamento di questa storia. Il padrone della vigna è Dio nel momento terribile del giudizio finale. Il vignaiolo è Cristo e toccherebbe a lui il taglio dell’albero sterile. Ma qualcosa accade nella relazione tra il Padre e il Figlio: si dilata il tempo – un anno (e da allora più di 2000 anni sono stati dati) – come nuova possibilità. Tutto è grazia; anche la nostra conversione è opera di Dio in Gesù. E’ rassicurante vedere che il tempo della misericordia si dilata, ma non dimentichiamo che il Signore agisce in questo modo per rendere possibile la conversione e non per rimandarla all’infinito.
Non dimentichiamo poi che la conversione non consiste in cose da fare ma nell’incontrare Cristo, convergendo verso di lui il nostro cuore, la nostra mente e, di conseguenza, le nostre azioni. Si tratta di una conversione a Cristo, Verità che illumina e Amore che si dona. Ogni battezzato, al di là di qualunque limite di tempo, di spazio o di cultura, è chiamato a questa conversione prendendo come unico distintivo quello dell’amore che si fa perdono e misericordia. In questo servizio (diaconia) dell’amore i nostri occhi si aprono su quello che Dio fa per noi e su come Lui ci ama. Siccome Dio ci ha amati per primo, l’amore adesso non è più solo un “comandamento”, ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro.” (Papa emerito Benedetto XVI).
Per questo Papa Francesco prosegue dicendo che “il comandamento di Cristo ‘amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato’ (Gv 15, 12) non è un semplice precetto, che rimane sempre qualcosa di astratto o di esteriore rispetto alla vita, è la strada dell’amore. Una strada concreta, una strada che ci porta ad uscire da noi stessi per andare verso gli altri. Gesù ci ha mostrato che l’amore di Dio si attua nell’amore del prossimo” (Papa Francesco).
Se l’uomo non si converte a Dio e al prossimo, non cambia il cuore e la mente, se erra per vie diverse da quella che è Cristo, non si convertirà in costruttore di pace e giustizia, e questa Terra andrà in rovina perché fondata sulla sabbia della violenza, dell’odio e dell’ingiustizia.
2) Pentimento umile e Misericordia paziente.
Nella parte finale del Vangelo di oggi Gesù completa il suo insegnamento sulla conversione che è urgente raccontando la parabola del fico che non dà frutti. In questo modo rivela la pazienza amorosa di Dio che sa attendere perché è il “Padre santo e misericordioso, che mai abbandona i suoi figli” (Colletta di oggi). Da parte nostra dobbiamo chiedere a Dio che “spacchi la durezza della mente e del cuore, perché sappiamo cogliere con la semplicità dei fanciulli i tuoi insegnamenti, e portiamo frutti di vera e continua conversione”. Dunque, Dio è paziente, misericordioso e fonte di ogni bontà, ma vuole che noi gli chiediamo perdono con semplice umiltà, perché solo se noi riconosciamo la miseria del nostro peccato che ci schiaccia a terra, Lui ci solleva con la sua misericordia (cfr Colletta di oggi).
Se, pentiti, presentiamo a Cristo il nostro dolore, Lui ci confermerà nel suo amore.
Dunque, vivere la Quaresima è prendere coscienza dell’urgenza della conversione e riconoscere che noi siamo il fico pieno di foglie ma spoglio di frutti per il quale Gesù, il vignaiolo premuroso, invoca la pazienza del Padre. Per grazia di Dio, anche questa volta abbiamo ancora un po’ di tempo. Anche quest’anno son tornati questi giorni di Quaresima perché pentiti ci voltiamo decisamente e stabilmente verso Cristo, consentendogli di aver cura di noi per poterci rendere capaci di frutti di amore.
La strada del nostro ritorno è Gesù, in Lui e per Lui tutto trova compimento. Cristo, il segno più alto e chiaro della Misericordia paziente, che oggi racconta a noi la parabola del fico sterile con lo scopo di sottolineare l’urgenza della conversione non in termini di tempo ma di amore.
Da una parte, la supplica di Gesù ottiene dal Padre che “usi” la sua misericordia paziente, dell’altra, ci invita a valorizzare la vita, a viverla in pienezza, densa di bene.
Ognuno di noi è una persona conquistata dall’amore di Cristo, perciò ognuno di noi è mosso da questo amore da cui è teneramente posseduto2 e che, quindi, ci spinge, ci sospinge, ci urge, e che ci apre all’amore per il prossimo.
Ognuno di noi è chiamato a convertirsi a Dio, lasciando il peccato non tanto per paura dei suoi castighi, ma perché allontana il nostro cuore da Lui. Se il nostro cuore è convertito a Dio, Dio si “converte” a noi e non “ci nasconderà il suo volto” (Tb 13, 6) e faremo esperienza del suo amore misericordioso.
3) La verginità come forma stabile di conversione.
La conversione non è riducibile al gesto di un momento o di un periodo più o meno lungo. Essa è il vivere in costante orientamento a Dio e il procedere quotidiano, anche se durante la quaresima deve essere più alacre, nel cammino tracciato dal Vangelo, fino al raggiungimento della “perfetta statura di Cristo” (cf. Ef 4, 13). Se questa affermazione è corretta, come penso che lo sia, la conversione è una componente essenziale della vita delle Vergini consacrate nel mondo, che si sono impegnate nella sequela radicale di Cristo. Tale sequela completa e totale è resa stabile dalla consacrazione verginale di queste donne che così si conformano al genere di vita verginale e povera che Cristo Signore scelse per sé e che la Vergine sua Madre abbracciò. La verginità non va vista come un “no” all’amore. Chi aderisce completamente a Cristo, dice di “si” al Suo amore puro. Puro: questa parola a cui si può rischiare di dare un’interpretazione riduttiva, moralistica perché richiama al suo contrario, ciò che è impuro. In realtà, puro mi fa venire in mente prima di tutto qualcosa che è come dovrebbe essere. L’acqua pura, l’aria pura, l’intenzione pura. O anche il metallo puro, l’oro, l’argento. La purezza verginale è come una bellezza senza macchia, come uno sguardo limpido, vero, autentico. Puro come il “sì” della Madonna la tutta pura e tutta bella: pura, cioè vera. Che in questa Quaresima, l’esempio della Vergine Maria e di tutte le donne che si sono consacrate a suo Figlio nella verginità renda puri i nostri cuori. Allora il nostro amore sarà arricchito da quello di Dio. Quindi non sarà un amore impoverito ma reso più forte e più fecondo.
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NOTE
1  Che significa conversione, convertirsi? Il verbo privilegiato dalla Bibbia ebraica per indicare la conversione è cambiare strada, tornare indietro. Il Nuovo Testamento ha voluto essere più preciso, usando «epistrefein» per indicare il mutamento esteriore, il mutamento nel comportamento, e «metanoein» per indicare la mutazione interiore, il cambiamento di mentalità. Il termine che San Luca usa nel brano evangelico di oggi è «metanoia»: dunque l’Evangelista insiste sul cambiamento interiore, sul modo nuovo e diverso di valutare le cose.
2 L’amore di Cristo ci possiede (è la traduzione ufficiale più recente Bibbia CEI 2008 della frase di San Paolo: “Caritas Christi urget nos – 2 Cor 5,14. Papa Francesco così commenta questa frase di San Paolo : “L’amore di Cristo ci possiede, ci spinge, ci preme. È proprio questa la velocità che ha Paolo: quando vede l’amore di Cristo non può rimanere fermo». Così san Paolo è davvero un uomo che ha fretta, con «l’affanno per dirci qualcosa d’importante: parla del sì di Gesù, dell’opera di riconciliazione che ha fatto Gesù e anche dell’opera di riconciliazione» di Cristo e dell’apostolo” (15 giugno 2013).