giovedì 31 marzo 2016

Il protestante “protestato” da Maria



È uscito lo scorso febbraio ed è stato  subito un successo, ristampato dopo neanche quattro settimane dalla pubblicazione. È il libro di Saverio Gaeta, che racconta per la prima volta l’incredibile e controversa apparizione della Beata Vergine a Bruno Cornacchiola in via Laurentina, sulla Collina delle Tre Fontane. Non entrerò nel merito dei segreti affidati dalla Madonna al Veggente, che lascio alla vostra (più o meno devota) curiosità. Quello che trovo particolarmente degno di riflessione è invece la vita di Cornacchiola ed il fatto che la Vergine sembra essersi rivolta a lui per annunciare uno delle più grandi aggressioni alla Chiesa di Cristo di tutti i tempi.
Bruno nasce e cresce povero, tra violenza domestica, furti e galera. Da giovane, però, si avvicina alle comunità evangeliche (durante la seconda Guerra Mondiale, a Saragozza, incontrò Otto, un soldato tedesco protestante che lo introdusse al luteranesimo). Dei colloqui con Otto Cornacchiola scriveva: “Noi protestanti siamo contrari alle affermazione della Chiesa cattolica, incominciando dalla confessione, che è invenzione dei preti per fare la spia, e poi siamo contro la Messa, l’Eucarestia, l’Immacolata….”. Il Cornacchiola si convinse talmente tanto che il male del Cristianesimo s’incarnasse nella Chiesa cattolica romana
e nel Pontefice che giorni dopo l’incontro con Otto acquistò un coltello sulla cui lama incise la scritta “A morte il Papa”, giurando di ucciderlo se ne avesse avuto la possibilità. Entrato nella chiesa avventista del settimo giorno e nominato, grazie al suo temperamento e alla sua personalità energica, direttore della Gioventù missionaria avventista del Lazio, inizio la sua personale guerra contro la Chiesa cattolica, combattuta ogni giorno fuori dalle chiese lanciando strali contro i dogmi cattolici e incitando i suoi tre figli a sputare contro i preti che incontravano per strada.
Poi avvenne l’inusitato. Furono proprio i suoi figli a vedere la Madonna che appariva in una delle grotte alle Tre Fontane. Essi s’inginocchiarono tutte e tre con le mani giunte ripetendo in estasi: “Bella Signora, Bella Signora….”. Il Cornacchiola pensò subito ad uno scherzo e s’infuriò. Ma la cosa che proprio non poteva sopportare è che i loro figli stavano imitando la preghiera cattolica (in ginocchio e a mani giunte), laddove gli avventisti pregano in piedi e senza unire le mani. Anni dopo, il 3 ottobre 1986, il veggente renderà note le parole della Vergine durante la conversazione con alcuni devoti, in cui c’è un riferimento diretto al protestantesimo: “La Vergine Madre […] mi indicò la via della salvezza […] che è il mondo con le sue false ideologie. E io lasciai la menzogna: il protestantesimo”.
Che il protestantesimo non sia proprio la verità per i cattolici non è certo una novità. San Pio X nella Pascendi infatti così si esprimeva: “Il protestantesimo o religione riformata […] è la somma di tutte le eresie che furono prima di esso, che sono state dopo e che potranno nascere ancora a fare strage delle anime“. Recentemente anche il Prefetto della Dottrina della Fede, Gerhard Müller, ha ricordato come si debba far attenzione affinché la Chiesa non si abbandoni ad una certa “deriva protestante”. Singolare è proprio la scelta da parte della Madre di Dio di un veggente che, nel secolo a più alto rischio di deriva cattolica verso il protestantesimo, ne aveva abbracciato quasi fanaticamente la dottrina.
Come è singolare notare che molti elementi un tempo associati all’eresia luterana, oggi siano entrati di fatto nel culto cattolico. Lo stesso Ratzinger anni fa mise in guardia da tale deriva: “Chi oggi parla di “protestantizzazione” della Chiesa cattolica, – sosteneva– intende in genere con questa espressione un mutamento nella concezione di fondo della Chiesa, un’altra visione del rapporto fra Chiesa e vangelo. Il pericolo di una tale trasformazione sussiste realmente; non è solo uno spauracchio agitato in qualche ambiente integrista”. Ma è ancora più singolare come qualche giorno fa il Predicatore della Casa Pontificia, padre Arturo Cantalamessa, in occasione della solenne celebrazione per il Venerdì Santo, abbia pronunciato affermazioni che non pochi hanno qualificato come azzardate. Per Cantalamessa “la giustizia di Dio è l’atto mediante il quale Dio rende giusti, a lui graditi, quelli che credono nel Figlio suo. Non è un farsi giustizia, ma un fare giusti. Lutero ha avuto il merito di riportare alla luce questa verità, dopo che per secoli, almeno nella predicazione cristiana, se ne era smarrito il senso. E’ di questo soprattutto che la cristianità è debitrice alla Riforma”. Eppure la dottrina luterana della Giustificazione è stata già condannata in quanto eterodossa. Per Lutero Dio non distrugge i peccati dell’uomo, ma gli imputerebbe la sua giustizia.
Come ricorda don Alfredo Morselli per Lutero “il predestinato si ritrova ad essere simul iustus et peccator, nello stesso tempo giusto e peccatore”, mentre la Dottrina cattolica tridentina afferma che “mediante la libera accettazione della grazia, l’uomo da ingiusto diventa giusto, da nemico amico, ed erede secondo la speranza della vita eterna”. Prosegue don Morselli: “ogni qual volta chiediamo perdono a Cristo Nostro Salvatore, Egli distrugge radicalmente i nostri peccati, bruciandoli nel fuoco della fornace ardente della carità del suo Cuore”. Va detto che padre Cantalamessa non è nuovo a queste posizioni. Nel dicembre scorso, auspicando un riavvicinamento fra cattolici e protestanti, indicò come ostacolo fra le due confessioni la nostra “sconsiderata” devozione alla Vergine. Per Cantalamessa la via della riconciliazione passa “per un sincero riconoscimento da parte di noi cattolici del fatto che spesso, specialmente negli ultimi secoli, abbiamo contribuito a rendere Maria inaccettabile ai fratelli protestanti, onorandola in modo talvolta esagerato e sconsiderato e soprattutto non collocando tale devozione dentro un quadro biblico ben chiaro che ne facesse vedere il ruolo subordinato rispetto alla Parola di Dio, allo Spirito Santo e a Gesù stesso”. Il cinquecentenario dalla nascita del Protestantesimo si avvicina. Prepariamoci perché ne vedremo, ma soprattutto, ne sentiremo delle belle!
Mater Ecclesiae, ora pro nobis.
Matteo Carletti

Arabia Saudita senza veli.



di Leone Grotti (Fonte: Tempi.it)
Per sei mesi i giornalisti di Itv e Pbs hanno filmato con telecamere nascoste la vita del Regno, tra decapitazioni e repressione. E dove si insegna ai bambini: «I cristiani dovrebbero essere decapitati»
I bracci alzati di due gru tengono sospesa in aria a una decina di metri di altezza una barra alla quale sono appesi cinque corpi senza testa. Appartenevano a cinque ladri, decapitati e poi appesi per giorni, come monito per tutti i cittadini. Questa scena non è stata filmata nei territori controllati dallo Stato islamico, ma in Arabia Saudita, governato da un regime islamico tra i più repressivi al mondo.
ARABIA SAUDITA SVELATA. Per sei mesi i giornalisti dell’emittente britannica Itv e di quella americana Pbs hanno filmato con telecamere nascoste la vita del Regno, azione illegale e passibile di essere giudicata come atto di terrorismo. Così hanno dato vita al documentario Saudi Arabia Uncovered (Arabia Saudita svelata), che viene trasmesso in queste settimane in tre parti da 20 minuti e che mostra le diverse sfaccettature del regime saudita.
DECAPITAZIONI. Oltre alle immagini dei corpi appesi, le telecamere riprendono scene orribili di decapitazioni e crocifissioni, pene previste dalla sharia, la legge islamica che vige nel paese, e sempre più spesso comminate dalle autorità. Nel 2015 sono state decapitate più di 150 persone ma quest’anno 70 sono state giustiziate in meno di tre mesi. Nel braccio della morte c’è anche un ragazzo di nome Ali Mohammed al-Nimr, arrestato nel 2012 all’età di 17 anni per aver partecipato a una protesta illegale e condannato in via definitiva alla decapitazione e alla crocifissione.
«È SOLO UN RAGAZZO». Nel documentario compare la madre del ragazzo, che parla di come il figlio sognasse «dignità e libertà». Parla anche il padre, che spiega: «Quando ho visto mio figlio dopo l’arresto mi ha detto: “Papà che cos’è significano “eversione e tradimento”? Erano le sue accuse. Ali è solo un ragazzo». Secondo la famiglia, Ali è stato arrestato per via di suo zio, importante imam sciita che da anni denuncia la repressione e la persecuzione subita dalla minoranza sciita in Arabia Saudita, paese a maggioranza sunnita. Al-Nimr è stato decapitato a gennaio, suo nipote potrebbe fare molto presto la stessa fine.
DONNE OPPRESSE. Nel filmato viene denunciata anche l’oppressione delle donne, trattate come cittadini di serie B, impossibilitate a scoprirsi il capo, ad uscire senza un accompagnatore maschile, a guidare. Alcune delle immagini più forti riguardano proprio il trattamento delle donne, insultate per strada dalla polizia religiosa, che deve promuovere la virtù e prevenire il vizio, picchiate e anche frustate da comuni cittadini.
IL CASO BADAWI. La libertà di espressione non esiste. Per una critica al governo o a una sua opera si può essere condannati per terrorismo ed è vietato anche dissentire sui precetti dell’islam. In questo senso è emblematica la storia del blogger Raif al-Badawi, che viene raccontata attraverso le interviste alla moglie e ai tre figli, condannato a 10 di carcere e 1.000 frustate per aver scritto questa frase su internet: «L’unico modo di vivere in un mondo non libero è diventare così assolutamente libero che la tua stessa vita rappresenti un atto di ribellione». Dopo una fortissima protesta internazionale la pena delle frustate è stata sospesa, ma Al-Badawi resta in carcere.
FONDAMENTALISMO ESPORTATO. L’Arabia Saudita svelata è anche quella del fondamentalismo islamico esportato in tutto il mondo, attraverso le moschee e i centri culturali sparsi per il globo dove viene insegnato il wahabismo, una versione ultraconservatrice dell’islam sunnita molto simile all’ideologia dello Stato islamico. Il regime, che gode di proventi immensi dalla vendita del petrolio, ha speso circa 70 miliardi di dollari nella promozione. Non è un caso se 15 delle 19 persone coinvolte nell’attentato dell’11/9 erano saudite.
«DECAPITARE TUTTI I CRISTIANI». L’indottrinamento dei giovani in Arabia Saudita e di quelli in tutto il mondo avviene anche attraverso i sermoni in moschea e i libri scolastici. Durante un discorso ripreso nel Regno, l’imam arringa i fedeli: «Gli ebrei hanno abusato, spadroneggiato e corrotto questa terra. Allora, oh Allah, fermali e fai schioccare su di loro la frusta della tortura, non lasciare che la loro bandiera sventoli in alto e fai di loro un esempio». Un bambino interrogato su che cosa dica il suo testo scolastico sulle religioni, ripete a memoria: «Cosa dice degli sciiti e degli infedeli? Tutti i cristiani dovrebbero essere puniti e decapitati fino a quando non ne sarà rimasto neanche uno. Gli sciiti sono blasfemi e dovrebbero essere puniti con la morte. Dovremmo combatterli nel nome dell’islam». Davanti a queste riprese, non ci si può stupire se uno scrittore algerino come Kamel Daoud abbia inventato questa perifrasi per descrivere il regime: «L’Arabia Saudita è un Isis che ce l’ha fatta».

Fonte Tempi.it

Tutto il peso dell’eredità giacobina in una sentenza

Scuola cattolica
Sentenza choc. I figli di genitori separati non possono più frequentare una scuola cattolica
di Robi Ronza

Si è diffusa ieri una notizia, ripresa con compiacimento sulle pagine di cronaca milanese de la Repubblica, che merita ampio commento. Si tratta infatti di un episodio davvero sintomatico del peso che l’eredità giacobina conserva tuttora nella cultura progressista del nostro Paese, nonché dello spazio che essa trova in influenti settori della magistratura.
Con riguardo al caso dei due figli di una coppia di coniugi separatiche fino alla separazione frequentavano una scuola paritaria di orientamento cattolico, il tribunale di Milano (IX sezione civile) era stato chiamato a decidere se dovessero continuare a frequentare tale istituto, come richiesto dalla madre, o passare a una scuola statale, come richiesto dal padre. Nella sentenza, firmata lo scorso 18 marzo dal giudice Giuseppe Buffone, si prende le mosse dal convincimento secondo cui non si può affatto sostenere che la scuola privata risponda "al preminente interesse del minore", poiché ciò equivarrebbe a dire che le istituzioni di carattere privato sono migliori di quelle pubbliche. Pertanto, conclude il giudice, "la decisione dell'Ufficio giudiziario non può che essere a favore dell'istruzione pubblica".
Al di là del motivo addotto, su cui ci soffermeremo più avanti, fa in primo luogo specie l’uso della dicotomia pubblico/privato nel suo più arcaico significato giacobino; e ciò a oltre quindici anni dall’entrata della legge n. 62 del 10 marzo 2000 sulla parità scolastica, che introduce anche nell’ordinamento italiano il principio del comune carattere pubblico sia della scuola statale che della scuola paritaria (ossia non statale ma riconosciuta dallo Stato). Che la notizia di tale svolta sia ignota a dei magistrati, ovvero a persone che hanno la tutela della legalità come loro primo dovere, non può che indurre a meste riflessioni. Entrando poi nel merito fa rabbrividire l’idea che le “istituzioni di carattere pubblico” (ovvero statale) siano ipso facto migliori di quelle non statali. Potevano crederlo i deputati dell’Assemblea nazionale della Francia rivoluzionaria quando nel 1791  istituirono il monopolio statale della scuola pubblica gratuita imponendo così il modello infine giunto sino a noi; ma come si fa in buona fede a crederlo ancora oggi? Eppure a quanto pare nella IX sezione civile del tribunale di Milano ci credano ancora.
Non c’è tuttavia da fermarsi qui. Andando avanti nell’analisi delle motivazioni della sentenza vi si trovano tracce di altri pregiudizi altrettanto interessanti. Tra questi anche il preteso valore educativo della neutralità della scuola statale rispetto all’orientamento di quella non statale: un giudizio tipicamente ideologico tenuto conto che in effetti la scuola statale non è mai stata neutra né tanto meno lo è adesso. E che inoltre risulta oggi quanto mai comprovato che una scuola con una sua esplicita identità non compromette affatto la libertà degli allievi ma anzi la stimola. La madre aveva poi insistito perché fosse garantita ai bambini "un'istruzione in continuità con quanto fatto fino a quel momento" benché, dopo la separazione, i due genitori fossero venuti a trovarsi in una difficile situazione economica. Non sia mai: ritenendo che mandare i figli in una scuola paritaria sia essenzialmente un lusso, il giudice ha deciso che perciò vi si dovesse rinunciare: "pretendere infatti che i figli continuino a godere del medesimo benessere che prima poteva essere garantito costituisce l'espressione di un 'diritto immaginario' che non trova tutela nell'ordinamento giuridico".  Sulla base di tale complesso di settecentesche certezze il tribunale ha quindi concluso che "laddove sussista conflitto dei genitori separati sulla frequenza dei figli tra scuola privata e pubblica", in mancanza di "evidenti controindicazioni", allora "la decisione dell'Ufficio giudiziario non può che essere a favore dell'istruzione pubblica".
Temendo  che da sé la sentenza non parlasse abbastanza la Repubblica ha poi anche cercato il conforto di un’esperta di sua fiducia: Laura Cossar, avvocato di diritto di famiglia e membro dell'ufficio di presidenza dell'Ordine degli avvocati di Milano. Secondo lei, che condivide “in pieno” la sentenza, “Capita che la scuola privata risponda a un bisogno identitario del minore, come gli istituti ebraici per i figli di ebrei ortodossi, o gli istituti «nazionali» a cui gli stranieri iscrivono i figli, ma sono eccezioni”.  Più spesso “uno dei genitori fa della scuola privata una questione di appartenenza a una élite o un capriccio", e così sia. Secondo  l’esperta de la Repubblica, insomma, chi c’è dietro agli oltre 993mila iscritti alle scuole paritarie, circa l’11% del totale, fra cui quasi 52 mila stranieri? Un manipolo di ebrei ortodossi e un paio di milioni di miliardari capricciosi. 

VII Rapporto sulla dottrina sociale della Chiesa.


La nuova guerra mondiale? È quella al cristianesimo
di Anna Bono
Mercoledì 6 aprile sarà presentato a Roma (ore 17 presso Radio Vaticana, Piazza Pia 3) il VII Rapporto sulla dottrina sociale della Chiesa. Parteciperanno monsignor Gianpaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e presidente dell'Osservatorio cardinale Van Thuân, Carlo Costalli, presidente del Movimento Cristiano Lavoratori, Andrea Galli, giornalista di Avvenire, Jason Azzopardi, parlamentare di Malta, Franjo Topic, presidente di Napredak Sarajevo.
Si intitola “Guerre di religione, guerre alla religione”. È il Settimo Rapporto sulla dottrina sociale della Chiesa nel mondo, a cura di monsignor Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste e presidente dell’Osservatorio cardinale Van Thuân e Stefano Fontana. Il tema centrale per questa settima edizione è stato scelto nella convinzione che il ritorno delle guerre di religione sia il tratto più caratteristico della attuale fase mondiale, che i rapporti tra le religioni e i rapporti con la religione siano oggi fattori che incidono profondamente su molti aspetti della vita sociale e politica delle nazioni e dei popoli.
«Nel Rapporto», si legge nella presentazione di monsignor Crepaldi, «il lettore trova informazioni anche al di fuori del tema delle guerre di religione e della guerra alla religione, ma abbiamo voluto cogliere in questo argomento l’elemento emergente del nostro studio circa gli avvenimenti del 2014. In questo modo siamo convinti di aver individuato un argomento ben vivo anche oggi e con cui dovremo confrontarci a fondo in futuro, disposti anche a pagare qualcosa. Il tema non è di tipo accademico adatto a un convegno per anime belle. È, invece, un argomento caustico e pungente, che potrebbe rivelarsi anche molto doloroso».
Guerra di religione è quella che contrappone comunità divise da un diverso credo o da un diversomodo di intendere la stessa fede. La storia dell’umanità ne è costellata. In Siria, Iraq, Yemen, Nigeria e altrove continua oggi lo scontro tra islamici sunniti e sciiti, uno scontro lungo 15 secoli, iniziato nel 632, subito dopo la morte del profeta Maometto, da una divergenza su chi dovesse succedergli: per gli sciiti un suo consanguineo, per i sunniti una persona eletta. Guerra di religione è il jihad, la guerra santa islamica, guerra anch’essa antica, dichiarata da Maometto allorché, trasferitosi con i suoi seguaci dalla Mecca a Medina, iniziò ad attaccare chi non accettava di convertirsi. È una guerra che può finire solo il giorno in cui tutto il mondo sarà soggetto alla Shari’a, la legge islamica. 
L’Islam chiama “dar al-harb”, casa della guerra, tutti i territori non abitati da musulmani. Oggi acondurre il jihad, in conflitto tra di loro e con strategie diverse, sono Isis e al Qaida. In Siria, Iraq e nei califfati africani di Nigeria, Libia ed Egitto l’Isis combatte con formazioni militari una guerra di conquista e di difesa dei territori acquisiti. Altrove ricorre al terrorismo, il metodo di lotta usato anche da al Qaida, attiva e presente praticamente in tutto il mondo benché anch’essa con una concentrazione di gruppi armati in Africa. 
La terza guerra descritta dal Rapporto è quella alla religione. Secondo il Pew Research Center, il 75% della popolazione mondiale vive in Paesi in cui governi, gruppi armati, gruppi di pressione o un diffuso atteggiamento ostile impongono discriminazioni ai credenti, persecuzioni, limitazioni alla libertà di manifestare la fede e praticarla e in cui convertirsi a una religione diversa da quella prevalente è proibito, sanzionato o comunque riprovato al punto da provocare ritorsioni e ostracismo sociale.  La religione ha i suoi nemici più spietati nei regimi comunisti. Nella Corea del Nord, ad esempio, ogni forma di culto, anche individuale, privato, domestico è proibita e punita con la pena capitale o con l’internamento a vita in un campo di lavoro forzato. Le minoranze religiose subiscono le persecuzioni più estreme nei Paesi islamici. La “legge nera” in Pakistan punisce la blasfemia anche con la morte. Ma, come ben evidenzia il Rapporto, una guerra alla religione si combatte ormai in Paesi un tempo paladini delle libertà della persona e quindi prima di tutto della libertà di religione. L’Occidente è il nuovo territorio in cui la religione viene attaccata, e con nuove armi. 
Come ha spiegato Silvia Scaranari nel suo contributo al Rapporto, ormai le guerre si decidonoanche su nuovi campi di battaglia e terreni di scontro: quello dell’egemonia culturale, ad esempio, e quello del controllo dei mezzi d’informazione, per farne strumenti di propaganda, falsificazione della realtà e diffusione di immagini negative dell’avversario. In Occidente la guerra alla religione si combatte molto efficacemente proprio usando questi strumenti. Ma in realtà l’avversione, la guerra è a una religione soltanto, il cristianesimo. Altre religioni in Occidente si difendono, se ne sostiene il diritto a essere praticate e rispettate. L’attacco, in Europa ad esempio, è alla Chiesa presentata sistematicamente come nemica della libertà, dei diritti umani, del progresso, della piena realizzazione della persona umana. 
«Non si tratta di una guerra dichiarata, convenzionale, con uso di armi e strategie militari», spiegaStefano Fontana nella sintesi introduttiva al Rapporto. «È una lotta tramite leggi, licenziamenti, intimidazioni, uso dei media, destinazione di ingenti risorse alla propaganda contro la religione cattolica e i suoi presupposti». «La via d’uscita dalle guerre di religione e dalla guerra alla religione», questa è la conclusione, «è che, una volta colto il nesso tra le due dimensioni, si operi per una revisione sostanziale di come l’Occidente vuole guardare alla religione e in particolare alla religione cristiana, perché da questo dipende anche il modo con cui esso guarderà alle altre religioni e come queste guarderanno ad esso, all’Occidente».

Devi parlare al mondo



Divina Misericordia: due celebrazioni con papa Francesco

Le celebrazioni in Vaticano per la Festa della Divina Misericordia si svolgeranno nell’arco in due momenti distinti tra sabato 2 e domenica 3 aprile.
La sera di sabato, a partire dalle ore 18, papa Francesco presiederà sul sagrato di San Pietro, la veglia con i devoti alla spiritualità della Divina Misericordia.
Domenica, alle 10.30, sempre in piazza San Pietro, avrà invece luogo la messa presieduta dal Pontefice, in occasione del Giubileo per gli aderenti alla spiritualità della Divina Misericordia.
Quest’anno la data della solennità, che cade ogni domenica dopo Pasqua, coincide significativamente con la data della prima celebrazione: 3 aprile 2005.

La domenica della Divina Misericordia fu infatti istituita da San Giovanni Paolo II negli ultimi mesi del suo pontificato: il papa polacco si sarebbe spento la sera del 2 aprile 2005, alle ore 21.37, proprio ai vespri della nuova solennità.
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I messaggi alla segretaria della Divina misericordia.

Santa Faustina. Pubblichiamo la prefazione al libro Vita di santa Faustina Kowalska di Sophia Michalenko (Gribaudi, Milano, 2015, pagine 321, euro 18), scritta dal rettore del Santuario Nazionale della Divina Misericordia a Stockbridge in Massachusetts e uno stralcio dal volume.
(Seraphim Michalenko) Santa Faustina Kowalska, apostola, profetessa e mistica, è una delle figure più straordinarie del nostro tempo. La sua vita, la sua missione e i suoi scritti hanno ispirato milioni di persone a confidare nella Divina Misericordia di Gesù.
In occasione della sua beatificazione, Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato che questa donna è stata la grande apostola del XX secolo. E forse un giorno si potrà anche affermare che è stata una grande profetessa di tale secolo.
Benché santa Faustina sia andata a scuola per meno di due inverni dopo il compimento dei 12 anni, ci ha lasciato un diario spirituale che è entrato a pieno titolo fra le grandi opere della letteratura mistica, come recita il paragrafo biografico contenuto nella Liturgia delle Ore alla data della sua festa, il 5 ottobre. L’eminente teologo che ha lavorato per quasi un decennio all’analisi degli scritti di santa Faustina, al termine dello studio ha dichiarato che è «ormai evidente che la natura di queste rivelazioni è esclusivamente sovrannaturale...». E ha concluso che, «per questo motivo, ogni fedele sarà edificato dalla lettura e dalla meditazione degli scritti di Elena Faustina, e si santificherà seguendone l’esempio».
La missione di apostola svolta da santa Faustina nella diffusione della devozione a Gesù per la Sua Divina Misericordia è ben nota ai molti fedeli che hanno letto il suo Diario e gli scritti sulla Divina Misericordia che dal Diario traggono spunto. Eppure, sono molto pochi i fedeli consapevoli anche del ruolo profetico che questa religiosa ha avuto nella vita della Chiesa.
A questo riguardo, vale la pena richiamare la dichiarazione resa da Papa Giovanni Paolo II durante il suo pellegrinaggio in Polonia nel giugno del 1997: «Ringrazio la Divina Provvidenza per avermi permesso di contribuire personalmente al compimento della volontà di Cristo attraverso l’istituzione della Festa della Divina Misericordia». Dal momento che una parte integrante del messaggio della Divina Misericordia, di cui il Santo Padre ha parlato in due importanti occasioni, è l’istituzione nella Chiesa della Festa della Divina Misericordia, dobbiamo essere coscienti del significato di una simile affermazione da parte del Santo Padre. Nella fattispecie, la sua azione è stata una risposta papale pubblica alla richiesta divina formulata mediante una rivelazione privata, in questo caso a santa Faustina.
Anche i predecessori di Papa Giovanni Paolo II, Leone XIII, Pio XII e Paolo VI, solo per citarne alcuni, hanno compiuto degli atti carichi di significato per la Chiesa universale che sono giunti loro per la via profetica, ossia attraverso delle rivelazioni private. Possiamo dunque dire che l’istituzione della Festa della Divina Misericordia è «giustificata da una teologia della profezia che trova posto nell’economia della Nuova Alleanza, ossia nel governo della Chiesa da parte della gerarchia», come ha così bene dimostrato fra Joseph de Sainte-Marie, OCD, nelle sue Riflessioni sull’atto della consacrazione a Fatima compiuto da Papa Giovanni Paolo II il 13 maggio 1982.
Credo che oggigiorno sia importante essere consapevoli del posto che la profezia occupa nella vita della Chiesa. Occorre riconoscere che questa modalità con cui Dio parla al Suo popolo ha valore per la Nuova Alleanza, come ha affermato con grande vigore san Paolo In diversi passi dei suoi scritti. Basterà ricordarne due: «[La Chiesa] è edificata sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti» (Efesini 2, 30), ossia i profeti del Nuovo Testamento, come indicato nel contesto. E: «Non spegnete lo spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (2 Tessalonicesi 5, 19-20). Con l’espressione “tenete”, san Paolo Impartisce un ordine.
Oggi, il reiterato invito del concilio Vaticano II a rispettare i carismi dovrebbe aprire le menti a questa teologia del carisma profetico e alla sua funzione essenziale nell’economia divina del governo della Chiesa. Dunque, quando il Santo Padre consacra il mondo al Cuore Immacolato di Maria o istituisce una festa come quella della Divina Misericordia in virtù di una richiesta pervenuta attraverso il canale della profezia, e ritiene che la sua azione risponda perfettamente ai requisiti della Nuova Alleanza, tale passo non è soltanto legittimo ma anche la risposta a un dovere di ordine soprannaturale.
Alla luce di ciò, possiamo apprezzare maggiormente il contributo profetico dato da santa Faustina alla Chiesa. Pensiamo a quello che il Santo Padre ha detto nel giugno del 1997 dopo avere reso grazie per l’istituzione della Festa della Divina Misericordia (menzionata prima): «Qui, accanto alle reliquie di Faustina Kowalska, io rendo grazie anche per il dono della sua beatificazione». Poi ha aggiunto: «Prego incessantemente Dio di avere “misericordia di noi e del mondo intero”», citando la speciale preghiera che Nostro Signore ha insegnato a santa Faustina, e cercando di soddisfare la sua richiesta di recitarla «incessantemente».
Possiamo davvero pensare a santa Faustina come al profeta Geremia, il quale disse: «Mi fu rivolta la parola del Signore: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato, ti ho stabilito profeta delle nazioni”» (Geremia 1, 4-5). Il profeta, tuttavia, si tirò indietro davanti all’imponenza del compito, osservando: «Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane» (v. 6). Il Signore gli rispose: «Non dire: Sono giovane, ma va’ da coloro da cui ti manderò e annunzia quello che ti ordinerò. Non temerli, perché io sono con te per proteggerti» (vv. 7-8).
Malgrado ciò, se dobbiamo credere che le rivelazioni ricevute da santa Faustina sono vere, come la sua beatificazione sembra garantire, dobbiamo considerare quest’umile serva di Dio anche una persona scelta dalla misericordia e dal disegno divino per svolgere un ruolo molto speciale nella storia della Chiesa. Consideriamo, per esempio, le predizioni che le sono state fatte da Nostro Signore e da Nostra Signora in svariate occasioni. Nostro Signore: «Preparerai il mondo per la Mia venuta finale» (Diario della Beata Faustina, 429). E Nostra Signora: «Ho dato il Salvatore al mondo; quanto a te, devi parlare al mondo della Sua grande misericordia e preparare il mondo per la Sua Seconda Venuta, non come Salvatore Misericordioso, ma come Giudice Giusto» (Diario, 635).
Che il Signore, nella sua grande misericordia, ci liberi dal giudizio che giungerà! So che questa è la preghiera della Beata Faustina. L’augurio è che sia anche la nostra.

La prima rivelazione
(
Sophia Michalenko) Il 22 febbraio 1931, Suor Faustina ricevette la prima di numerose rivelazioni riguardanti la sua missione nella vita: essere la confidente, segretaria e messaggera della Divina Misericordia per tutto il genere umano. Suor Faustina descrisse l’evento come segue:
«La sera, mentre ero nella mia cella, vidi il Signore Gesù vestito con un abito bianco. Aveva una mano alzata in segno di benedizione, l’altra toccava la veste all’altezza del petto. Da sotto la tunica, leggermente scostata sul petto, uscivano due grandi raggi, uno rosso e l’altro pallido. In silenzio tenevo lo sguardo fisso sul Signore, piena di timore, ma anche con grande gioia. Dopo un po’, Gesù mi disse: “Dipingi un’Immagine secondo questo modello che vedi, con in calce la scritta: Gesù, confido in Te. Desidero che quest’Immagine sia venerata, prima nella vostra cappella e poi in tutto il mondo.
Prometto che l’anima che venererà questa Immagine non perirà. Prometto anche la vittoria sui suoi nemici già qui sulla terra, ma specialmente nell’ora della morte. Io Stesso la difenderò come Mia gloria personale”.
Quando raccontai questo al mio confessore, egli mi diede la seguente risposta: “Ciò riguarda la tua anima”. Mi disse: “Certamente, dipingi l’Immagine di Dio nella tua anima”. Quando uscii dal confessionale, sentii di nuovo delle parole come queste: “La Mia Immagine è già nella tua anima. Io desidero che ci sia una Festa della Misericordia. Voglio questa Immagine, che dipingerai con il pennello, sia solennemente onorata la prima domenica dopo Pasqua; quella domenica deve essere la Festa della Misericordia.
Io desidero che i sacerdoti proclamino la Mia grande misericordia per le anime dei peccatori. I peccatori non abbiano paura di accostarsi a Me. Le fiamme della Misericordia bruciano in Me, supplicando di essere spente; voglio riversarle su queste anime”.
Gesù si lamentò con me con queste parole: “La sfiducia delle anime Mi addolora amaramente; malgrado il Mio inesauribile amore per loro, non confidano in Me. Neanche la Mia morte è sufficiente. Guai alle anime che abusano [di questi doni]”.
Quando ne parlai con la Madre Superiora, [Rosa, dicendole] che Dio mi aveva chiesto questo, rispose che Gesù avrebbe dovuto darmi un qualche segno perché potessimo riconoscerLo più chiaramente.
Quando chiesi al Signore Gesù di darmi un segno come prova “che Tu sei davvero il mio Dio e Signore e che questa richiesta viene da Te”, udii questa voce interiore: “Farò sì che tutto questo sia chiaro alla tua Superiora mediante le grazie che concederò attraverso questa Immagine”.
Quando cercai di sottrarmi a queste ispirazioni interiori, Dio mi disse che il Giorno del Giudizio Egli mi avrebbe chiesto di rendere conto di un gran numero di anime» (Diario 47-52).

L'Osservatore Romano

Giovedì in Albis 2016

mercoledì 30 marzo 2016

Cervello maschile e femminile

cervello femm

di Francesco Agnoli
L’ Almanacco delle scienze del CNR, nel numero di marzo 2016  riporta un articolo sulle differenze tra il cervello dei maschi e quello delle femmine. Elisabetta Menna, dell’Istituto di neuroscienze del Cnr, riassume così lo status delle ricerche: “Di differenze ve ne sono a livello sia strutturale sia funzionale. In generale gli uomini hanno più neuroni (materia grigia) e le donne hanno maggiori connessioni (materia bianca)”.
Ciò significa, per semplificare al massimo, che la percezione popolare della differenza tra maschio e femmina, riassumibile pressappoco in un concetto
come questo: “le donne sono intuitive e multitasking, gli uomini logici e razionali”, non è peregrina.
Non si tratta certo di utilizzare la scienza, oggi, come si faceva nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento, quando un’ eccessiva fiducia nel metodo sperimentale, applicato agli uomini portarono a stabilire graduatorie molto rigide sulla superiorità del maschio sulla femmina.
Nel contesto materialista e riduzionista di allora, l’intelligenza, per usare una parola molto generica, doveva essere connessa non a qualche entità spirituale (la classica e ormai negletta “anima”), ma a fattori fisici ben documentabili e sperimentabili. Si riteneva che l’uomo fosse studiabile, per citare Emile Zola, come “un ciottolo della strada”, non solo quanto alla sua corporeità, ma anche riguardo alle sue scelte. E che l’intelligenza, trasformata in un’ entità sconnessa e isolata da educazione, passioni, emozioni, motivazioni…, fosse misurabile con opportuni test creati da psicologi, antropologi e psichiatri.
Per questo specialisti in fisiognomica, antropometria, frenologia e craniometria, tutte discipline che oggi consideriamo senza fondamento (pseudoscienze), ma allora ritenute il top del pensiero scientifico di contro alle vecchie “superstizioni religiose”, non avevano dubbi: come nel cranio di un uomo bianco stanno più pallini di piombo di quelli contenuti nel cranio di un nero, così il cranio dei maschi è più capiente di quello delle donne. E ciò ne dimostra la superiorità.
Ancora: poiché il cervello del maschio pesa di più di quello della femmina, possiamo stare tranquilli sulle conclusioni già desunte grazie a pallini e misurazioni effettuate con compassi di vario genere.
A queste convinzioni aderivano personalità come Charles Darwin, ne L’origine dell’uomo, oCesare Lombroso, psichiatra di grido e fondatore dell’antropologia criminale, che nel suo La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, pubblicato nel 1893 con grande successo internazionale, spiegava che la donna è in tutto inferiore all’uomo, menzognera, stupida e cattiva, che “ha molti caratteri che l’ avvicinano al selvaggio, al fanciullo, e quindi al criminale: irosità, vendetta, gelosia, vanità”, e che “nella mente e nel corpo, la donna è un uomo arrestato nel suo sviluppo”.
Oggi sappiamo che le misurazioni con il bilancino degli scienziati materialisti ottocenteschierano esatte. Come ricorda Giulio Maira, direttore Istituto di Neurochirurgia Policlinico Gemelli di Roma, “l’encefalo di una donna pesa in media 1.200 grammi, quello di un uomo un po’ di più: 1.350 grammi”; inoltre il cervello maschile ha anche un maggior numero di neuroni.
Ma, qui sta la “novità”, il cervello delle donne possiede le sue caratteristiche peculiari, originali, tra cui un maggior numero di connessioni tra i due emisferi (“Pur avendo le donne un numero minore di neuroni, tuttavia possiedono aree cerebrali con almeno il 10% di neuroni e connessioni in più...”; G. Maira, Sole 24 ore, 25/7/2014).
Ciò sta a significare, come scrivono lo psichiatra Tonino Cantelmi e lo psicologo Marco Scicchitano, nel loro Educare al femminile e al maschile (un ottimo mix di conoscenze scientifiche, esperienza, buon senso e buona filosofia), che decidere chi sia “superiore” o “inferiore” tra l’uomo e la donna, è come stabilire se a tavola sia più importante il coltello o la forchetta.
Uomo e donna, è sempre più evidente, sono dunque diversi in tutto, dai genitali agli ormoni, e persino nel cervello (nonostante il maschilismo scientista di Lombroso, il femminismo radicale e l’ideologia gender): proprio per questo complementari.
Se è vero che un figlio nasce dalla relazione tra due persone con differente identità sessuale, un maschio e una femmina, è altrettanto vero che costoro non si completano soltanto perché uno mette lo spermatozoo e l’altra l’ovulo, ma anche perché persino i loro cervelli sono strutturalmente e funzionalmente differenti, complementari.
Come a dire che solo con entrambi, cervello maschile e cervello femminile, si legge la realtà a 360 gradi. Il buon senso lo insegna e le neuroscienze lo confermano: camminando a braccetto, maschio e femmina, vedono più chiaro (F.A., Libero, 24/3/2016)

Consigli di un padre

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5 motivi per fare subito un figlio.

Faccio parte di una generazione che ha paura della vita.Che crede che non sia mai il momento giusto per formarsi una famiglia. Che ha sete di libertà e adora controllare tutto. Avere un figlio è perdere tutto questo per vincere, nell’istante successivo, l’intero universo.
Sono figlio di una generazione che teme la vita. Che ha imparato che il controllo e la libertà devono essere presenti ogni giorno. Che la felicità è una grande gara e che la conquista più grande è un conto in banca pieno di denaro. Sono figlio di una generazione che ha sentito dai genitori fin da prestissimo che la gioventù serviva per studiare, che i figli sconvolgevano l’ordine delle cose e che dovevano essere pianificati solo dopo aver raggiunto la stabilità.
Faccio parte di quella generazione, che sta commettendo un errore enorme.
Ho conosciuto la donna della mia vita a quasi vent’anni e ho avuto un figlio prima dei trenta. Quella che sarebbe una storia comune per i nostri genitori e i nostri nonni oggi è diventata un’eccezione. Ho perso il conto delle volte in cui mi sono sentito dire: “Sei diventato padre presto!” Presto?Penso che stiamo perdendo la dimensione delle cose. Non siamo mai stati tanto liberi e allo stesso tempo tanto legati, perduti.
Quando si può prendere qualsiasi strada, quale scegliere?
Siamo in contatto con un’enorme quantità di persone, ma non conosciamo i nomi dei nostri vicini. Sapete come si chiamano i vostri? La storia che vi voglio raccontare non è solo una montagna di cliché, di quel padre che ha sempre voluto avere un figlio e a cui è andato tutto benissimo. Al contrario. La vita non è mai una linea retta. Ma è meglio cominciare dall’inizio.

L’inizio di tutto

Penso che sia il momento di fare un figlio”. Boom. Questa frase mi è caduta addosso come una bomba sulla testa. Per la prima volta mia moglie aveva sostituito il verbo “pensare” con “fare”. Era il momento. Non avevo modo di fuggire. Stavamo insieme da poco più di sette anni e le cose stavano andando molto bene. Ricordo quel giorno come se fosse oggi. Eravamo in spiaggia.

Tutto bene. Vediamo”. È la risposta che dà qualsiasi uomo quando non vuole parlare di una determinata questione. “Vediamo” è come una licenza per prendere tempo di fronte a una decisione che dovrebbe essere presa all’istante. La verità è che avevo sempre lavorato in modo autonomo. Se c’era qualcosa he non esisteva – e non esiste tuttora – nella mia vita è la stabilità.
Le parole pronunciate in quel momento sono state come un pugno nello stomaco, e mi è quasi venuto da vomitare.
Non ero pronto. Ero troppo trascurato, bevevo troppo, mi piaceva passare le serate con gli amici o in qualche bar. Ci piacevano i ristoranti, viaggiare e tutte le cose che una giovane coppia ritiene importanti. Un figlio avrebbe posto fine a tutta quell’aura di libertà. Avremmo potuto pensarci a trent’anni, o anche dopo… oggi tanti aspettano fino ai quaranta. Era questo che pensavo, ma quando una donna vuole qualcosa riesce a ottenerla. Poco tempo dopo mi ero convinto che fosse giunto il momento di fare un passo nel vuoto.
Tutto il corpo risponde dicendo di no. “Non è il momento, l’anno prossimo, tra un po’, quando guadagnerai un po’ di più…”
La verità è che si tratta di una scelta dalla quale non si può tornare indietro, e men che meno abbandonare. Non si può mettere la pausa nel film, né scegliere di vederlo più tardi. Dal momento in cui si preme “play” si va avanti. E il film durerà per sempre. Chi è pronto a prendere una decisione del genere da giovane? Io, tu, chiunque. Il problema è che ce lo hanno fatto dimenticare.

Amore a prima vista

La prima volta che ho visto mio figlio è stata una cosa un po’ strana. Stavamo facendo gli ultrasuoni quando la dottoressa ha detto: “Eccolo qui!” La madre ha iniziato a piangere. Il padre, io, non ha capito niente. Era appena un puntino, e l’ho confuso con l’utero. “È già bello grande!” Cose da uomini. Quando mi hanno spiegato che quello era l’utero e che lui era quel puntino ho esclamato: “Mamma mia quant’è piccolo!”

In quel momento era ancora tutto molto astratto, e non mi sentivo un padre. Ancora non mi immedesimavo in quel ruolo, che nella mia testa era sempre quello di mio padre. Pensavo ancora da figlio.

Il tempo passava e non riuscivo a capacitarmi della cosa.Sapevo che sarei diventato padre, ero contento, ma ancora non pensavo a me stesso in quel modo. A qualsiasi augurio che ricevevo, a ogni abbraccio di amici e familiari, mi chiedevo se fosse normale sentirmi così lontano da tutta la faccenda. Quando compravamo dei vestitini o le prime cose che avrebbero potuto servirgli, sapevo esattamente cosa stava per succedere, ma non avevo la minima idea di come sarebbe stato. Ero completamente anestetizzato.
Oggi dico ai futuri papà: “Calma, saprete cosa significa al momento della nascita. Anche per me è stato così”.

I mesi passavano e la pancia cresceva. Mia moglie parlava con Matteo da sempre; la differenza è che ora lui le rispondeva! A ogni piccolo movimento lei rideva. Io ancora non riuscivo a partecipare a niente di tutto quello. Erano ancora movimenti troppo piccoli perché potessi sentirli. La prima volta in cui ho assistito a un vero calcio mi sono spaventato. È stata la prima volta in cui ho sperimentato il contatto con quella forma di vita. Ed era vita!

Poi è arrivato il momento

Mia moglie aveva già superato le quaranta settimane e ogni giorno ulteriore di gestazione era causa di stress. Non che avessimo paura di complicazioni –  sembra incredibile ma eravamo tranquilli –, ma percepivo un misto di ansia e stanchezza. Quella fase era stata bella, ma era finita. La madre non vedeva l’ora di stringere il figlio tra le braccia e di iniziare una nuova tappa.
Ai futuri papà: “Alla fine della gestazione le donne diventeranno ansiose. È normale. La gestazione è stata magica e sarà per sempre indimenticabile, ma non vedono l’ora di stringere il proprio bambino. Di averlo tra le braccia, di sapere com’è il suo visetto. È una cosa folle, ma è così. Forse l’aspetto più bello di tutto questo è il fatto che nella gravidanza torniamo ad essere umani al 100%”.
Alle tre e qualcosa del mattino vengo svegliato dalla luce del bagno. Chiedo a mia moglie cosa succede e lei, tonda come una palla, cammina tenendo della carta igienica piena di sangue.

Lo stomaco mi è uscito dalla bocca. Nasce così? Proprio adesso? Diventerò davvero padre oggi?Mi aveva fatto vedere alcuni DVD sul parto e sapevo che la cosa non avveniva come in un film. Non dovevo andare correndo in ospedale al primo segno dell’arrivo del bambino. Si erano fatte le quattro del mattino e abbiamo deciso di aspettare l’arrivo delle contrazioni.
Alle sette siamo andati in ospedale. Mia moglie, che fino a quel momento era calma come una santa, all’improvviso ha iniziato a sentire i dolori delle contrazioni e a entrare in uno stato di coscienza alterata. Alterata e violenta! Siamo arrivati in sala travaglio, dove siamo rimasti per le cinque ore successive tra massaggi, vasca, palla e tutte le cose che vedete nei documentari sul parto. È tutto vero.

“Ha una dilatazione di dieci centimetri. Scendiamo”, ha detto la dottoressa.
Ero totalmente distrutto. L’apprensione e l’ansia hanno fatto sì che quelle cinque ore sembrassero cinque giorni. Avevo il collo spezzato, la colonna vertebrale a pezzi e volevo solo dormire per 12 ore. Siamo arrivati in sala parto. Ormai anch’io agivo in modo automatico.

E’ nato!

Visto che mia moglie era già dilatata di dieci centimetri  pensavo che sarebbe stata una cosa rapida. Dai, una spinta e il piccolo esce. Ma quando mai… È stata una maratona di innumerevoli minuti, molto dolore e un immenso senso di insicurezza. Trovarsi nella posizione del padre non è facile. Pensavo che avessimo un ruolo di aiutante, di chi accompagna quello che succede e basta. Non avrei potuto sbagliarmi di più.
Dimenticate l’immagine del tizio che sta fuori fumando trecento sigarette mentre i medici fanno tutto. Quello che arriva solo per accendere i sigari e stappare lo spumante. Quello a cui ho assistito è stato uno scenario del tutto diverso. In quel momento eravamo una cosa sola. Anche se non sentivo i dolori del parto, percepivo gli stimoli. Mi sentivo legato a mia moglie e al bambino mentre la massaggiavo e pronunciavo parole di incoraggiamento, mentre le dicevo che c’era quasi, di non smettere.

Ho sempre pensato che la storia per cui il parto è della coppia fosse una cosa da hippie.Quanto mi sbagliavo

Il testo inizia ad essere importante da qui

Tutto quello che ho scritto finora è servito solo per fornire il contesto e preparare a quello che sto per dire. Dimenticate tutto quello che ho detto sul fatto di non vedermi come padre, di non sentirmi ancora parte della questione… Tutti i dubbi svaniscono nel primo istante in cui vedi tuo figlio. Fino a quel momento, mia moglie aveva interagito con lui, giorno e notte, per mesi. Ora, un minuto dopo la sua nascita, io lo tenevo tra le braccia.

Non c’è modo di descriverlo. È qualcosa di fisico. Ti senti inondato da uno tusnami di cose che non avevi mai provato. Sapete quel cliché per cui il tempo si ferma eccetera eccetera? È vero! Il tempo si ferma sul serio. Riuscivo solo a guardare quel cosino che avevo tra le braccia e a pensare: “Non lo merito”.
E lì succede qualcosa di magico…
In quel momento testimoni la morte della tua individualità per lasciare spazio a qualcosa di infinitamente più grande. Un minuto dopo, anche se a te è sembrata un’eternità, l’infermiera ti toglie il bambino dalle braccia per pesarlo.
In quel momento pensi: “Sta bene? Dove lo porta?” È il tuo primo pensiero da padre.
Ed è meglio abituarcisi, perché non ti abbandonerà mai. Quando torni a casa sembra che tutto sia diverso. Tutte le cose che prima non erano concrete nella mia mente – la vaschetta per fare il bagno, i vestitini – ora hanno un senso. Ora sono capace di fare come mia moglie: immaginarlo in ciascuno di quei luoghi, mentre si veste e usa ciascuna di quelle cose. Tutto ormai è nella mia testa.
Questo testo non è stato preparato. Ieri sera mi sono girato verso mia moglie e le ho detto: “So già cosa posterò lunedì. Scriverò un testo su Matteo e su tutti i cambiamenti che ha portato nella mia vita”. So che le è piaciuto. Quale madre non vuole vedere il padre che riempie il blog di foto del suo piccolino? Ora vorrei offrirti alcuni motivi perché tu, giovane, impegnato ma che stai rimandando la decisione di avere un figlio, possa abbandonare le tue paure e iniziare ora a vivere il momento più fantastico della tua vita.

01. Finalmente ti svegli alla vita

Saudade

Prima di avere un figlio non sai cosa sia la vita. Forse pensi di essere organizzato o responsabile, perché hai sempre preso buoni voti e hai un buon impiego, ma la sensazione di cadere in un precipizio oscuro c’è solo quando si ha un figlio. È in quel momento che capisci che non controlli più la tua vita, che non sei il titolare di ogni attenzione e che non controlli l’azione e la reazione delle cose. Che c’è qualcosa che ti tormenta molto più della morte.
Inizi a capire i tuoi genitori, a provare quello che provano loro e a giustificare i loro atteggiamenti. È tutto per eccesso d’amore. È tutto per mettere a tacere quella sensazione che la madre di mia moglie ha definito “amore che fa male”. E fa male.

02. Diventi un supereroe

Superherói

Inizi a scoprire superpoteri che non conoscevi, come la capacità di strappare la risata più sincera e più fantastica a quella creaturina che ami tanto. Inizi a preoccuparti della sua salute, abbandoni il fumo e cerchi ad ogni costo di fare un po’ più d’esercizio. Se la tua qualità di vita non è mai stata un problema, istantaneamente lo diventa. Ammalarti e trascurarti sono verbi che scompaiono dal tuo vocabolario. Ora c’è qualcosa che è molto più importante della tua negligenza.

03. Impari tutti i giorni con lui

Riqueza

Impari che puoi dormire solo qualche ora al giorno e andrà tutto bene. Ridefinisci il significato di “stanchezza”. Scopri una pazienza che non esisteva e capisci come sia piccolo e vulnerabile. Che lui è il gigante della storia.
Impari a diventare più forte, a vedere quel corpicino tutto dinoccolato che si dà da fare per nutrirsi, per alzare la testa, per ruotare intorno al proprio asse. Comprendi un amore che non sapevi esistesse e percepisci che i limiti che esistevano prima – e quelle che ritenevi grandi sfide – oggi sono scherzi da ragazzi. Diventi un adulto infinitamente migliore.

04. Ti arricchisci

Mestre

Dimentica l’idea che i figli siano conti e spese, che per averne uno devi essere milionario o guadagnare chissà quanto. Il figlio ti arricchisce.
Le feste sono sostituite dal lavoro e il denaro speso per andare a ballare diventa un investimento per il futuro. Tutto ti spaventa e avrai bisogno di qualche anno per assimilare tutta questa insicurezza. Ciò ti porta ad accettare più progetti, ad assistere più persone e a risparmiare più denaro. Inizi a spendere di più, è logico, ma il figlio diventa il miglior investimento nella vita.

05. Hai bisogno di farne rapidamente un altro

Pai

È lì che capisci una delle cose più fantastiche della vita: che il figlio non ha solo reso la tua vita migliore, ma ti ha reso anche un essere umano molto più grande, che la vita ora ha più senso e che tutta quell’ondata di emozioni, di cose buone e cattive, è servita a farti ricordare che sei un essere umano. Ti trovi davanti a un fatto inspiegabile: lì davanti a te c’è qualcuno che ti ama come tu ami tuo padre.
Il tempo passa e quei piedini cresceranno, gli abbracci non saranno più tanto lunghi e lui non avrà più bisogno di rimanerti tanto vicino, annusandoti, per dormire… e sarà allora che tua moglie si girerà verso di te e dirà: “Penso che sia ora di fare un altro figlio”.

Contraddittoria sentenza della Corte sugli embrioni

embrioni crioconservati

(di Tommaso Scandroglio) Il 23 marzo scorso la Corte Costituzionale ha respinto il ricorso del Tribunale di Firenze che chiedeva il riconoscimento del diritto di utilizzare a scopi scientifici gli embrioni crioconservati prodotti tramite fecondazione artificiale e non destinati all’impianto in utero. La richiesta del Tribunale di Firenze, seppur già vietata dall’art. 13 della legge 40 (legge che ha disciplinato in senso favorevole le pratiche di fecondazione extracorporea), rispondeva alla logica sottesa proprio di questa stessa norma.
La ratio della legge 40 alla fine è infatti molto semplice: l’embrione è una cosa, è puro «materiale genetico» per usare un’espressione adottata dallo stesso Tribunale fiorentino. Ora se l’embrione è una cosa si può rivendicare un diritto su di esso (diritto al figlio), si può produrlo e sovraprodurlo, sia utilizzando i gameti della coppia richiedente (fecondazione omologa) che di quelli di soggetti esterni alla coppia (fecondazione eterologa), si può scartare, congelare, sottoporre alla rischiosa diagnosi pre-impianto, proporlo come “prodotto” a chiunque, dunque anche a coppie fertili, e infine usarlo per fini sperimentali.
Le cosiddette derive della giurisprudenza che in questi anni hanno divelto molti divieti previsti nella legge 40 in realtà rispondono perfettamente alle premesse contenute in questa stessa legge: se l’embrione è un prodotto non può ricevere quella medesima tutela giuridica prevista per le persone.
La Corte Costituzionale nonostante questo però ha rigettato la richiesta del Tribunale fiorentino. Per quale ragione? La Consulta ha fatto riferimento da una parte alla «complessità dei profili etici e scientifici» e dall’altra in modo più significativo alla «dignità dell’embrione» che è richiamata implicitamente dall’art. 1 della legge 40 laddove indica il concepito come soggetto di diritto.
Già in una precedente pronuncia i giudici dell’alta corte avevano affermato che l’embrione «non è certamente riducibile a mero materiale biologico» e, richiamando una precedente sentenza, avevano «riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela dell’embrione, riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost. (diritti inviolabili dell’uomo)». Ma la decisione della Consulta ha i piedi di argilla. Infatti la dignità dell’embrione prima indicata non è intangibile, ma può essere intaccata da altri “diritti”.
Il richiamo è al famigerato ed inconsistente principio del bilanciamento degli interessi, così tante volte citato in riferimento alla legge 194, ma non nuovo nemmeno in tema di fecondazione artificiale. Nel comunicato della Corte (la sentenza integrale sarà nota solo dopo il suo deposito) infatti si legge che il verdetto è stato assunto «in ragione dell’elevato grado di discrezionalità, per la complessità dei profili etici e scientifici che lo connotano, del bilanciamento operato dal legislatore tra dignità dell’embrione ed esigenze della ricerca scientifica: bilanciamento che, impropriamente, il Tribunale chiedeva alla Corte di modificare, essendo possibile una pluralità di scelte, inevitabilmente riservate al legislatore».
In buona sostanza la Corte ci sta dicendo da una parte che l’embrione è soggetto di diritto e quindi ha diritto alla vita, ma dall’altra che questo diritto non è indisponibile bensì può essere bilanciato da altri interessi, tra cui quelli scientifici. Non sta però ai giudici – continua il comunicato – decidere come bilanciare questi interessi contrapposti, sta al legislatore. Quest’ultimo finora ha fatto pendere l’ago della bilancia a favore del nascituro e a sfavore della ricerca scientifica, ma nulla vieta che in futuro possa decidere diversamente.
Quindi la Corte non ha detto “Guai a voi scienziati: l’embrione non si tocca, né ora né mai!”, bensì ha meramente riconosciuto che è incompetente in materia e che usare gli embrioni come materiale per usi sperimentali è decisione del Parlamento e non della Magistratura. Ergo la Corte ha confermato quell’orientamento fatto proprio della giurisprudenza italiana sin dal 1975 quando la stessa Corte costituzionale in tema di aborto affermò che il concepito persona lo deve ancora diventare e quindi non ha un pieno diritto alla vita come le persone già nate.
Come andrà a finire? Crediamo male, proprio perché la legge sull’aborto e quella sulla fecondazione artificiale non riconoscono piena soggettiva giuridica al nascituro, altrimenti non potresti ammazzarlo e produrlo come si fa con la carne in scatola. E dunque, dato che il numero di embrioni abbandonati nei freezer continueranno a crescere, le pressioni per utilizzarli in laboratorio cresceranno di pari passo e i giudici prima o poi daranno semaforo verde alle sperimentazioni. (Tommaso Scandroglio)
corrispondenza romana