martedì 29 marzo 2016

“Consummatum est”

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ELIZABETH SCALIA/ALETEIA

Nella Croce si manifesta l’eros di Dio per noi. Eros è infatti – come si esprime lo Pseudo Dionigi – quella forza “che non permette all’amante di rimanere in se stesso, ma lo spinge a unirsi all’amato” (“De divinis nominibus”, IV, 13: PG 3, 712). Quale più “folle eros” (N. Cabasilas, “Vita in Cristo”, 648) di quello che ha portato il Figlio di Dio ad unirsi a noi fino al punto di soffrire come proprie le conseguenze dei nostri delitti?
Cari fratelli e sorelle, guardiamo a Cristo trafitto in croce! È Lui la rivelazione più sconvolgente dell’amore di Dio, un amore in cui eros e agape, lungi dal contrapporsi, si illuminano a vicenda. Sulla Croce è Dio stesso che méndica l’amore della sua creatura: Egli ha sete dell’amore di ognuno di noi.
Papa Benedetto XVI, Quaresima 2007, Lettera d’Amore
La maggior parte delle traduzioni bibliche moderne pone come ultime parole di Cristo “Tutto è compiuto”.
Trovando qualche anno fa la traduzione Douay-Rheims ho letto “È consumato”, e tutto il significato del Dio-uomo come sposo e della Chiesa come sposa ha iniziato a dispiegarsi davanti ai miei occhi. Non avevo ancora trovato questi splendidi pensieri di papa Benedetto sul “folle eros della croce”, ma scoprire “È consumato” ha completato la teologia per quanto mi riguarda.
Posso capire come incontrando quel “folle eros” della croce alcuni possano sentirsi a disagio con la traduzione di Douay-Rheims. Per alcuni, entrambi i termini – eros e consumato – possono urtare delle sensibilità.
E tuttavia ogni patto tra Dio e l’umanità è stato un patto di sangue; in passato, prima che il mondo secolare decidesse che sia l’imene che i bambini sono semplici “pezzi di tessuto”, anche i matrimoni e le nascite erano patti di sangue, collegati a una comprensione del Dio-con-noi; l’eterno Emmanuele, presente in ogni aspetto della nostra vita. Capire che tutti i nostri patti, con Dio e tra di noi, sono patti di sangue è dire al mondo che non ci possiamo allontanare dal sacramento del matrimonio più di quanto non possiamo allontanarci dai nostri figli. I patti hanno un significato al di là della volontà del mondo di ascoltare.
L’incontro constante tra l’onnipresente “Sì” di Dio – sul quale si è formata tutta al creazione e si sta ancora espandendo – e la natura spezzata dell’umanità, che ci tenta perennemente al “No”, richiede l’inclusione dell’eros. Richiede, alla fin fine, una comprensione del fatto che Dio voleva corteggiarci e conquistarci, essere una cosa sola con noi, da sempre – come sposo e compagno – ma sempre con il nostro consenso.
Ho scritto al riguardo in Strange Gods, e sì, anche lì il linguaggio ha messo a disagio alcuni, ma credo che contenga una chiave al più profondo mistero di noi stessi come esseri liberi:
Guardate alla profondità dell’amore di Dio per il suo popolo, Israele, e per coloro che si sono innestati su quel ramo. Egli dà al suo popolo qualcosa di meglio di un re – qualcosa di trascendente, eterno e incorruttibile. Ma visto che sono così legati al corpo, così prigionieri dei loro sensi per toccare, sentire, gustare e odorare, non riescono a vedere ciò che mostra, che è tutto. E così si lamentano: ‘Vogliamo un re come quelli che abbiamo lì’, e Dio, incredibilmente, acconsente.
Dio ha pietà delle limitazioni umane e cerca un altro modo per insegnare e raggiungere, un modo migliore per conoscere la trascendenza. In sostanza dice: ‘Il mio amore e la mia legge non sono abbastanza? Hai bisogno di un re corporeo? Va bene, scenderò e sarò il tuo re corporeo. Ti insegnerò quello che so – che l’amore serve, e che un re è un servo – e ti insegnerò come essere un servo per condividere la mia regalità. In questo modo saremo una cosa sola – come lo sono marito e moglie – per quanto può essere possibile tra ciò che è integro e santo e ciò che è spezzato. Per il tuo bene anch’io diventerò spezzato, ma in un modo volto a renderti più integro e santo, di modo che il nostro amore possa essere reciproco, completo, costantemente rinnovato, e vivo. Ti amo talmente che mi incarnerò e mi arrenderò a te. Entrerò in te (testardo, manchevole, incompleto, adorato, il te che non potrà mai conoscermi pienamente o ricambiare del tutto il mio amore), e ti darò tutto il mio corpo. Ti darò tutto di me, anche il mio stesso sangue, e allora sarà finalmente consumato tra noi, e tu capirai che sono stato non solo il tuo Dio, ma anche il tuo amante, il tuo sposo. Vieni a me, e permettimi di amarti. Sii la mia sposa; accetta il tuo sposo e lascia che il profumo e il senso del nostro amore scorra sopra e attraverso tutto il mondo mediante la Chiesa che genero per te. Sono il tuo Dio; tu sei il mio popolo. Sono il tuo sposo; tu sei la mia sposa. Questa è la grande storia d’amore, il grande rapporto, il grande sposalizio,. E non puoi immaginare dove intendo portarti, se solo sarai fedele… come io sono sempre fedele, perché io sono verità immutabile e amore costante’.
Questo Dio di Abramo, questo re, colui che rapisce ci darà tutto, se solo siamo disponibili a confidare nella verità, anche se non capiamo – non abbiamo capito da quando l’umanità ha mostrato per la prima volta il suo istinto a nascondersi da Dio, e non capiremo mai pienamente – cos’ha in mente il suo amore per noi.
La morte di Cristo sul Calvario è una consumazione intesa a liberarci, a portarci per sempre fuori dalle ombre e nella sua splendida luce, in cui l’amore non può essere nascosto, o distorto, o pervertito, se solo permettiamo al nostro “Sì” di unirsi a quello del Creatore.
E questo rapporto non finisce una volta passata la Pasqua. Cristo vuole svuotarci a sé e poi che ci svuotiamo tra noi, come Egli stesso si è svuotato sulla croce.
È la sfida di tutta una vita. E se viene colta in buona fede, porta (anche con tutte le nostre mancanze) a una tomba vuota, e alla vita eterna. Perché la morte viene sconfitta.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti