venerdì 25 marzo 2016

«Ecco l'uomo!». Omelia per la liturgia della croce




Cari fratelli e care sorelle,
la passione di Gesù, attraverso i nostri orecchi, è entrata nel nostro cuore, dove, custodita, ricordata e approfondita, diventa una forza che ci rende sempre più conformi a Gesù, senza che noi lo sappiamo o lo possiamo misurare. Perché l’assiduità con una persona ci cambia, ci cambia nel bene o nel male: questa è una legge incancellabile. L’assiduità con Gesù, che ci fa vedere la sua bellezza, ci fa constatare il suo amore, ci fa fare esperienza della sua misericordia, può mutarci se noi non restiamo chiusi in un’autarchia spirituale e umana. Nella liturgia c’era una sequenza, lo Stabat Mater, tutta intessuta di invocazioni convinte, per un’autentica partecipazione alla passione di Cristo:
Fac me tecum flere …
Fac, ut portem Christi mortem …
Fac me plagis vulnerari, cruce hac inebriari.
Desiderio di conformità, di partecipazione, che è nient’altro che esigenza di amore.
Oggi, venerdì santo, nell’ora della croce siamo qui proprio perché desideriamo essere coinvolti nella passione di Gesù, essere con-morti e con-sepolti con lui per con-risorgere con lui, dice l’Apostolo (cf. Rm 6,3-5.8Col 2,12.20): questo, però, non in un’operazione mistica, ma concretamente, esistenzialmente. Sappiamo bene che l’unica contemplazione cristiana secondo il Vangelo è la theoría (Lc 23,48), la contemplazione di Gesù crocifisso tra due condannati come lui, di Gesù abbandonato da tutti e morente nella vergogna di chi è stato giudicato nocivo per la comunità religiosa e nocivo per la polis romana imperiale. Ecco allora la nostra theoría oggi, che vuole fermarsi su alcuni versetti della passione secondo Giovanni che abbiamo proclamato:
Allora Pilato prese Gesù e lo fece flagellare.
E i soldati, intrecciata una corona di spine,
gliela posero sul capo
e lo vestirono con una veste di porpora.
E venivano a lui e dicevano:
“Salve, re dei Giudei!”,
e gli davano schiaffi.
E Pilato uscì di nuovo fuori e disse loro:
“Ecco, ve lo conduco fuori,
perché sappiate che non trovo in lui nessuna causa di condanna”.
Gesù dunque uscì fuori,
portando la corona di spine
e la veste di porpora.
E Pilato disse loro:
“Ecco l’uomo!” (Idoù [ho] ántropos).
(Gv  19,1-5)
Cerchiamo di accogliere e di assumere con i nostri occhi ciò che abbiamo udito. Un uomo, Gesù di Nazaret di Galilea, è stato portato dal potere sacerdotale giudaico davanti all’unico giudice che poteva condannarlo a morte. Gli hanno dichiarato: “Ti consegniamo un malfattore, uno che ha fatto del male, che ha compiuto delitti e crimini contro la legge”. Siccome non era possibile mettere Gesù a morte senza il verdetto del rappresentante imperiale, Pilato, ecco che egli è stato condotto nel pretorio (cf. Gv 18,28-32). D’altronde, costoro hanno insinuato a Pilato che Gesù è uno che cerca il potere, che si dice re dei Giudei e così bestemmia la legge giudaica; non solo, ma si rivolta anche contro Cesare, vantando un regno proprio.
Pilato, dopo aver interrogato Gesù, senza comprendere nulla delle sue risposte, e dopo aver visto i capi dei giudei gridare di nuovo: “Vogliamo libero non lui, ma Barabba!” (cf. Gv 18,33-40), decide di farlo flagellare. Bastoni, flagelli e corde si abbattono sul corpo di un uomo di poco più di trent’anni, tumefacendolo, ferendolo… Quello di Gesù è un corpo d’uomo insanguinato, deformato dai colpi, senza bellezza né splendore, ma piuttosto un corpo che chiede di non essere guardato, perché fa orrore (cf. Is 53,2-3). Sì, siamo di fronte a un corpo umano, alla carne umana di una vittima della violenza: è uno spettacolo, una contemplazione non rara nella nostra storia. Quasi tutti i giorni infatti possiamo vedere, almeno virtualmente, corpi di uomini e donne dilaniati dalle bombe del terrorismo, corpi torturati nelle prigioni, corpi tumefatti e gonfi perché naufragati nei nostri mari… A tutta questa violenza si aggiunge, come sempre, il disprezzo, i gesti di insulto, perché la violenza spinge a diventare peggio degli animali.
Gesù è anche deriso, con una parodia. I soldati si inginocchiano davanti a lui e lo salutano, lo acclamano ridendo: “Salve, re dei Giudei!”. In questi casi il potere trova sempre anonimi esecutori di torture, che qui si affrettano a raccogliere rami spinosi, a intrecciarli in una corona che mettono sul capo di Gesù, perché la parodia sia totale. Gli fanno anche indossare un manto di porpora, il tessuto dell’abito dei re e dei grandi del mondo… Pilato allora lo conduce fuori, ma Giovanni precisa che è Gesù a uscire fuori, con piena soggettività e consapevolezza, nella postura di chi domina gli eventi e non si lascia piegare, né si lancia tentare dalla rinuncia alla testimonianza che sentiva come una vocazione.
È allora che Pilato emette una dichiarazione solenne: “Ecco l’uomo!” (Idoù [ho] ántropos). Potremmo dire che egli, pur senza averne coscienza, profetizza, dice e proclama la verità. Se Dio in quel momento avesse parlato, avrebbe detto le stesse parole. Come aveva detto al battesimo e alla trasfigurazione: “Ecco il mio Figlio!” (cf. Mc 1,11 e par.; 9,7 e par.), qui avrebbe detto: “Ecco l’uomo!”. Dunque Gesù è l’uomo creato da Dio, è Adamo (cf. Gen 1,26-27; 2,7), il nuovo Adamo venuto alla fine dei tempi ma in realtà origine dell’Adamo creato da Dio nel sesto giorno, l’uomo da Dio voluto a sua immagine e somiglianza. Gesù è l’uomo che con la sua vita racconta (exeghésatoGv 1,18) l’immagine e la somiglianza con Dio e nella sua carne manifesta l’amore di Dio. Proprio perché “Dio è amore” (1Gv 4,8.16), lui è ridotto così, vittima del potere e della violenza di questo mondo!
Gesù è l’uomo consegnato, condannato, imprigionato, accusato e ucciso
ma non contaminato da odio e violenza.
Gesù è l’uomo
tradito con un bacio da Giuda (cf. Gv 18,2-3),
rinnegato da Pietro (cf. Gv 18,12-18.25-27),
abbandonato dai discepoli (cf. Mc 14,50Mt 26,56),
ma baciato e profumato da Maria di Betania (cf. Gv 12,1-8).
È l’uomo che è glorificato dall’amore vissuto per gli altrie la sua carne, il suo corpo lo racconta!
Questa è la vera contemplazione cristiana:
non vedere Dio,
non contemplare la luce,non ricevere visioni,
ma discernere nella carne di chi è preda della violenza e del potere, di chi è preda di tutti i poteri – da quello economico, a quello politico, a quello che può insinuarsi in famiglia e in comunità –, discernere l’uomo per eccellenzaconforme alla volontà di Dio, l’uomo buono e amante come Dio è buono e amante.
Su tutta la terra oggi i cristiani celebrano liturgie della via crucis o del seppellimento di Cristo, in oriente e in occidente. Ma non dimentichiamo che questi sono solo esercizi per vivere concretamente i nostri rapporti con i corpi e la carne degli uomini e delle donne che stanno accanto a noi o che incontriamo. Afferma una parola di Gesù tramandata dai padri della chiesa: “Hai visto un uomo? Hai visto Dio!”, cioè, “se contempli un uomo, una donna con occhio umano, umanissimo, tu vedrai il Cristo e, attraverso di lui, vedrai Dio”. Dunque è proprio ascoltando: “Ecco l’uomo!”, che dobbiamo saper dire: “Ecco Dio!”. Sì, il nostro Dio ha preso carne in un uomo, l’ha abitata, si è fatto corpo umano. A Dio non bastava comunicare con la parola, perché il suo amore non poteva essere contenuto in parole. L’incarnazione, l’umanizzazione era una necessitas del suo “amore fino alla fine senza fine” (Agostino): un amore che per essere dato e ricevuto deve “prendere carne” (cf. Gv 1,14). Come noi per dire l’amore abbiamo bisogno di guardare ed essere guardati, di ascoltare ed essere ascoltati, di toccare ed essere toccati, così pure Dio. Ecco la ragione del suo assumere un corpo. “Non ti sono bastate liturgie in cui parlare, mi hai plasmato un corpo”, dice il Servo a Dio nel salmo 39 (40) (v. 7 LXX). Per questo Gesù ha raccontato Dio, è passato tra di noi (cf. At 10,38) toccando malati, abbracciando bambini, rianimando corpi morti, nutrendo affamati, lavando i piedi ai discepoli…
Eppure noi, di fronte a questa dichiarazione: “Ecco l’uomo!”, di fatto rispondiamo con la folla: “Sia crocifisso! Sia crocifisso!” (Gv  19,6). Meglio dunque non vedere questa contemplazione, meglio che finisca subito…
Enzo Bianchi