lunedì 21 marzo 2016

Mangiare l’agnello a Pasqua: è davvero un rito cristiano?

La tradizione di mangiare l'agnello

di Emanuele D'Onofrio per aleteia
Per gli animalisti, la battaglia si combatte sul piano delle cifre: quelle degli agnelli macellati ogni anno, circa 3 milioni e mezzo in Italia, in previsione della Pasqua. Per i biblisti e teologi, invece, il terreno di confronto è quello dei testi sacri, dell’Antico e del Nuovo Testamento. Lo stesso Benedetto XVI, durante l’omelia del Giovedì Santo del 2005, riportò l’attenzione sul fatto che probabilmente lo stesso Gesù non consumò l’agnello durante la celebrazione della Pasqua con i suoi discepoli, e cioè durante l’Ultima Cena, rompendo di fatto con la tradizione religiosa ebraica. Questo, aggiungeva il papa, avrebbe fatto sì che a un qualsiasi agnello venisse sostituito l’Agnello come simbolo di incarnazione, e cioè Egli stesso. Ma lo stesso Mosé, secondo i testi dell’Esodo, non avrebbe mai prescritto al popolo eletto l’agnello come cibo obbligatorio da consumare in occasione della Pasqua; solo più tardi, accogliendo i costumi di popolazioni semi-nomadi e pagane, gli ebrei avrebbero cominciato a consumare l’agnello in quel giorno. Noi di Aleteia abbiamo deciso di approfondire la questione, che è interessante in quanto dal tema del cibo pasquale si allarga ad investire alcune fondamenta storiche all’origine della nostra fede. Per questo abbiamo sentito due noti biblisti: padre Bernardo Estrada, Ordinario di Nuovo Testamento presso la Pontificia Università della Santa Croce, il cui contributo sarà pubblicato mercoledì prossimo, e monsignor Romano Penna, professore emerito presso la Pontificia Università Lateranense, la cui intervista vi presentiamo qui di seguito.
Monsignor Penna, come nasce la tradizione di mangiare l’agnello nel giorno di Pasqua?
Penna: E’ una tradizione che viene dall’ebraismo. Il sostenere che Gesù ha mangiato una Pasqua senza agnello si basa sul testo scritto, ma la storia sta sempre al di là della fonte scritta. Allora dovremmo ricordare che nel quarto Vangelo non c’è neanche la celebrazione della Pasqua, dell’Eucarestia. Tuttavia Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi parla di Gesù come “nostra Pasqua”. Dal punto di vista ebraico mangiare la Pasqua – in Luca si legge che Gesù dice “con grande desiderio ho voluto celebrare questa Pasqua con voi” – vuol dire mangiare l’agnello. Che i sinottici parlino dell’Ultima Cena senza l’agnello è un’omissione. Non si afferma che non ci fosse l’agnello, semplicemente non se ne tiene conto, perché la narrazione viene fatta già dal punto di vista della prassi cristiana: questa, infatti, prescindeva dal sangue dell’agnello, perché la fede cristiana fonda se stessa sulla fede di Gesù Cristo, non sul consumo di “un” agnello. E Paolo dice appunto che “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato” (1 Corinzi 5,7).
Cosa cambia dalla Pasqua giudaica a quella cristiana?
Penna: Dal punto di vista ebraico il sangue dell’agnello non salva dai peccati, piuttosto – in Esodo 12 leggiamo – viene posto sugli stipiti delle porte per risparmiare alcune case dal cosiddetto “angelo sterminatore”, che passava ad uccidere i primogeniti. In un’ottica ebraica la Pasqua è una festa, per così dire, “politica”, perché è la festa di una liberazione dalla schiavitù, politica e sociale soprattutto.

Non è l’espiazione dei peccati, assolutamente no. Questo avverrà con i sacrifici nel Tempio e poi nel giorno del Kippur, dove ciò che conta sarà un capro, appunto “espiatorio”, più che l’agnello. I testi sono complessi: dal punto di vista cristiano Gesù è stato identificato con l’agnello pasquale. Peraltro il Battista nel Quarto Vangelo dice: “Ecco l’agnello di Dio che porta via il peccato del mondo”. Lo dice il Battista, senza alcun riferimento all’Ultima Cena, ed il suo è un giudizio sulla funzione redentrice svolta da Gesù stesso. Ma pensare ad una Pasqua senza agnello, dal punto di vista ebraico, è impossibile. Semmai la questione è quella del sangue: ricordiamo che il Libro del Levitico proibisce di bere il sangue, perché nel sangue c’è la vita, appartiene a Dio, per questo non si può né toccarlo né berlo. L’agnello pasquale va “immolato”, letteralmente dovremmo leggere sgozzato, proprio nel senso di far uscire il sangue, dissanguato. E infatti si mangia solo la carne. In Giovanni, capitolo 6, dopo il discorso sul pane di vita, Gesù dice: “Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue, non avrà la vita”. Una frase scandalosa, tant’è che Giovanni nota che fu allora che molti lo lasciarono, per questo Gesù chiese ai discepoli: “volete andarvene anche voi?”. Questo è uno dei punti di differenziazione tra cristianesimo e giudaismo.
Ma anche lo stesso Mosè non prescrive di mangiare l’agnello quando stabilisce la Pasqua, non è così?
Penna: Nel capitolo 23 dell’Esodo, dove si annunciano le feste principali del calendario ebraico, si dice chiaramente che tutte e tre sono connotate da un punto di vista agricolo. La prima è la Festa degli Azzimi, durante la quale si mangia solo il pane e azzimo, dunque è la Pasqua celebrata senza l’agnello; la seconda è la Festa della Primizie, cioè la Pentecoste; la terza è la Festa delle Capanne, o sarebbe meglio chiamarla, Festa del Raccolto. Sono tutte e tre espressioni di una cultura agricola. Successivamente vengono storicizzate da Israele e messe tutte e tre in rapporto all’evento dell’Esodo, che è l’evento storico in senso mitico, ufficiale, fondante, dell’identità israelitica. Inoltre lì si include una componente della cultura pastorizia, per la Pasqua, e gli azzimi vengono integrati dall’agnello. La stessa Pentecoste è enunciata e formulata proprio in vista della Pasqua, perché è il 50° giorno, le 7 settimane dalla Pasqua (7×7 fa quarantanove, più uno, cioè la perfezione somma): è una festa pasquale, perché è in rapporto agli Azzimi, alla Pasqua.
Quindi Gesù consumò la Pasqua ebraica, mangiando agnello durante l’Ultima Cena?
Penna: Nei Vangeli sinottici, dove si racconta l’Ultima Cena, l’agnello non compare, ma non si dice esplicitamente che non c’è. Semplicemente non se ne parla. Ma non se ne parla proprio perché la Pasqua ebraica aveva ormai assunto la cadenza tipica della Festa cristiana, la quale, ricordiamolo, non celebra l’uscita dall’Egitto, come fanno i nostri fratelli ebrei, ma celebra la morte di Gesù Cristo, il sangue è il suo: ecco che dal politico si passa all’aspetto più personalistico, per non dire religioso, della Salvezza.