giovedì 31 marzo 2016

VII Rapporto sulla dottrina sociale della Chiesa.


La nuova guerra mondiale? È quella al cristianesimo
di Anna Bono
Mercoledì 6 aprile sarà presentato a Roma (ore 17 presso Radio Vaticana, Piazza Pia 3) il VII Rapporto sulla dottrina sociale della Chiesa. Parteciperanno monsignor Gianpaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e presidente dell'Osservatorio cardinale Van Thuân, Carlo Costalli, presidente del Movimento Cristiano Lavoratori, Andrea Galli, giornalista di Avvenire, Jason Azzopardi, parlamentare di Malta, Franjo Topic, presidente di Napredak Sarajevo.
Si intitola “Guerre di religione, guerre alla religione”. È il Settimo Rapporto sulla dottrina sociale della Chiesa nel mondo, a cura di monsignor Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste e presidente dell’Osservatorio cardinale Van Thuân e Stefano Fontana. Il tema centrale per questa settima edizione è stato scelto nella convinzione che il ritorno delle guerre di religione sia il tratto più caratteristico della attuale fase mondiale, che i rapporti tra le religioni e i rapporti con la religione siano oggi fattori che incidono profondamente su molti aspetti della vita sociale e politica delle nazioni e dei popoli.
«Nel Rapporto», si legge nella presentazione di monsignor Crepaldi, «il lettore trova informazioni anche al di fuori del tema delle guerre di religione e della guerra alla religione, ma abbiamo voluto cogliere in questo argomento l’elemento emergente del nostro studio circa gli avvenimenti del 2014. In questo modo siamo convinti di aver individuato un argomento ben vivo anche oggi e con cui dovremo confrontarci a fondo in futuro, disposti anche a pagare qualcosa. Il tema non è di tipo accademico adatto a un convegno per anime belle. È, invece, un argomento caustico e pungente, che potrebbe rivelarsi anche molto doloroso».
Guerra di religione è quella che contrappone comunità divise da un diverso credo o da un diversomodo di intendere la stessa fede. La storia dell’umanità ne è costellata. In Siria, Iraq, Yemen, Nigeria e altrove continua oggi lo scontro tra islamici sunniti e sciiti, uno scontro lungo 15 secoli, iniziato nel 632, subito dopo la morte del profeta Maometto, da una divergenza su chi dovesse succedergli: per gli sciiti un suo consanguineo, per i sunniti una persona eletta. Guerra di religione è il jihad, la guerra santa islamica, guerra anch’essa antica, dichiarata da Maometto allorché, trasferitosi con i suoi seguaci dalla Mecca a Medina, iniziò ad attaccare chi non accettava di convertirsi. È una guerra che può finire solo il giorno in cui tutto il mondo sarà soggetto alla Shari’a, la legge islamica. 
L’Islam chiama “dar al-harb”, casa della guerra, tutti i territori non abitati da musulmani. Oggi acondurre il jihad, in conflitto tra di loro e con strategie diverse, sono Isis e al Qaida. In Siria, Iraq e nei califfati africani di Nigeria, Libia ed Egitto l’Isis combatte con formazioni militari una guerra di conquista e di difesa dei territori acquisiti. Altrove ricorre al terrorismo, il metodo di lotta usato anche da al Qaida, attiva e presente praticamente in tutto il mondo benché anch’essa con una concentrazione di gruppi armati in Africa. 
La terza guerra descritta dal Rapporto è quella alla religione. Secondo il Pew Research Center, il 75% della popolazione mondiale vive in Paesi in cui governi, gruppi armati, gruppi di pressione o un diffuso atteggiamento ostile impongono discriminazioni ai credenti, persecuzioni, limitazioni alla libertà di manifestare la fede e praticarla e in cui convertirsi a una religione diversa da quella prevalente è proibito, sanzionato o comunque riprovato al punto da provocare ritorsioni e ostracismo sociale.  La religione ha i suoi nemici più spietati nei regimi comunisti. Nella Corea del Nord, ad esempio, ogni forma di culto, anche individuale, privato, domestico è proibita e punita con la pena capitale o con l’internamento a vita in un campo di lavoro forzato. Le minoranze religiose subiscono le persecuzioni più estreme nei Paesi islamici. La “legge nera” in Pakistan punisce la blasfemia anche con la morte. Ma, come ben evidenzia il Rapporto, una guerra alla religione si combatte ormai in Paesi un tempo paladini delle libertà della persona e quindi prima di tutto della libertà di religione. L’Occidente è il nuovo territorio in cui la religione viene attaccata, e con nuove armi. 
Come ha spiegato Silvia Scaranari nel suo contributo al Rapporto, ormai le guerre si decidonoanche su nuovi campi di battaglia e terreni di scontro: quello dell’egemonia culturale, ad esempio, e quello del controllo dei mezzi d’informazione, per farne strumenti di propaganda, falsificazione della realtà e diffusione di immagini negative dell’avversario. In Occidente la guerra alla religione si combatte molto efficacemente proprio usando questi strumenti. Ma in realtà l’avversione, la guerra è a una religione soltanto, il cristianesimo. Altre religioni in Occidente si difendono, se ne sostiene il diritto a essere praticate e rispettate. L’attacco, in Europa ad esempio, è alla Chiesa presentata sistematicamente come nemica della libertà, dei diritti umani, del progresso, della piena realizzazione della persona umana. 
«Non si tratta di una guerra dichiarata, convenzionale, con uso di armi e strategie militari», spiegaStefano Fontana nella sintesi introduttiva al Rapporto. «È una lotta tramite leggi, licenziamenti, intimidazioni, uso dei media, destinazione di ingenti risorse alla propaganda contro la religione cattolica e i suoi presupposti». «La via d’uscita dalle guerre di religione e dalla guerra alla religione», questa è la conclusione, «è che, una volta colto il nesso tra le due dimensioni, si operi per una revisione sostanziale di come l’Occidente vuole guardare alla religione e in particolare alla religione cristiana, perché da questo dipende anche il modo con cui esso guarderà alle altre religioni e come queste guarderanno ad esso, all’Occidente».