giovedì 28 aprile 2016

Facciamo anche noi lo stesso



Pubblichiamo, quasi per intero, in una nostra traduzione, un articolo del cardinale arcivescovo di Valencia uscito su «La Razón» del 20 aprile scorso

(Antonio Cañizares Llovera)Che grande lezione ha dato a tutta l’umanità Papa Francesco andando a Lesbo. La lezione della carità, la lezione dell’amore, la lezione della fede in Gesù Cristo. Perché la fede è riconoscere Cristo là dove lo si può trovare: negli esclusi, nei poveri, nei perseguitati, in quella lunga schiera di nostri fratelli bisognosi di misericordia. Il Papa non tira dritto di fronte ai rifugiati, ai perseguitati, ai senzatetto, a quanti hanno perso tutto. Sta accanto a loro, condividendo il loro dolore e la loro sofferenza, perché vendendoli, come dice Francesco stesso, «viene voglia di piangere».
Tutto il viaggio è stato una grande lezione. Con Francesco c’erano il patriarca di Costantinopoli e l’arcivescovo ortodosso di Atene; erano lì, insieme, i due polmoni con cui la Chiesa di Gesù Cristo respira, oriente e occidente: come una nuova alba, come il risveglio dell’aurora, che fa presagire il nuovo giorno: il giorno dell’unità dei cristiani. Pregando insieme, testimoniando insieme la stessa carità di Cristo che ci spinge, e in base alla quale saremo giudicati, con gli stessi gesti di saluto, di vicinanza. Questa è la Chiesa una che Cristo ha amato e per la quale ha dato la vita, per la quale ha pregato affinché il mondo creda. Vedendola, creda.
Che parole vere e vibranti ha detto il Papa. Dovrebbero far riflettere tutti, noi cristiani per primi. Senza oro né argento, come Pietro alla porte del tempio dinanzi allo storpio che non poteva camminare, Francesco, Bartolomeo e Hierònymos II — tutta la Chiesa — hanno detto a quanti erano lì, in quell’esilio: «Non siete soli!». Lì c’erano loro, lì c’era la Chiesa. E ciò che avevano l’hanno dato loro: Gesù Cristo, ossia l’amore, tutto l’amore, tutta la compassione e la tenerezza di cui erano capaci nei loro gesti, nei loro sguardi. Hanno dato loro Gesù Cristo, che è amore e mostra il volto di Dio che è misericordioso, ricco di misericordia. Non stavano lì come spettatori, ma come fratelli che non tirano dritto, come «prossimi» che si avvicinano per divenire più «vicini», più prossimi. «Parlerò a nome vostro. Non perdete la speranza». Lì, accanto alla grande miseria, accanto alla grande catastrofe dell’umanità, accanto alla grande rovina dell’umanità, senza eguali dalla seconda guerra mondiale, c’è stata la Chiesa, che ha mostrato il vero volto del suo corpo che è la carità, lo stare insieme e curare le ferite, per portare tutti là dove ci sono riparo e calore familiare.
E questo dare riparo e calore familiare, come nella parabola del buon samaritano, Papa Francesco lo ha realizzato portandone alcuni con sé, nel suo aereo, come suoi ospiti in Vaticano. Si è così compiuto quanto detto nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: «Mi avete accolto». Ha accolto Gesù Cristo stesso. E quelli che ha portato con sé sono «stranieri», sono musulmani. La carità, l’accoglienza; Cristo stesso non esclude nessuno, s’identifica con i poveri e gli ultimi.
Papa Francesco ha elogiato quanti praticano la misericordia, ha mostrato la sua ammirazione per loro: quelli dell’isola di Lesbo, perché, nonostante le loro grandi difficoltà, hanno mantenuti aperti i loro cuori e le loro porte; molti uomini e donne comuni, del popolo, persone normali, che hanno messo a disposizione quel poco che hanno e lo hanno condiviso con quanti hanno perso tutto. E ha aggiunto: «Dio saprà ricompensare questa generosità, come quella di altre nazioni circostanti, che fin dai primi momenti hanno accolto con grande disponibilità moltissimi migranti forzati». Quelli che abbiamo visto, la Parola di Cristo stesso pronunciata con chiarezza, forza e verità, sembra che ci stiano dicendo: «Fate lo stesso». Non sembra, ma ci stanno dicendo questo.
Perciò Francesco ci ha detto, lo ha detto all’Europa, e soprattutto ai cristiani, radice dell’Europa: l’Europa è la patria dei diritti umani, e chi pone piede sul suolo europeo si deve aspettare l’attuazione di tali diritti, il che esige e reclama che la vecchia Europa, non quella dei mercanti, bensì quella delle sue radici, quella che vuole una ricostruzione che poggi sulle sue fondamenta, ha l’obbligo di rispettare e difendere questi diritti. Dalla culla della civiltà, da Lesbo, dalla Grecia, e da quello che la Grecia significa, il cuore dell’umanità continua a battere: e continua a battere perché lì, veramente, abbiamo visto in questi giorni un’umanità che riconosce gli altri come fratelli, un’umanità che vuole la pace e subisce la guerra e i disastri della violenza. Un’umanità che vuole ricostruire ponti e si sente interpellata, chiamata a far arretrare idee e comportamenti individuali e collettivi, sociali e politici, che portano a innalzare muri per farci sentire più sicuri; perché le barriere stanno creando divisioni, invece di promuovere il vero progresso dei popoli, e le divisioni, prima o poi, generano scontri.
Che grande lezione, quella che ci arriva da Lesbo. Che grandi lezioni ci sta dando Francesco, ci sta dando, gridando, Dio in questo momento. «Fate, facciamo lo stesso». Non dobbiamo stancarci e neppure esaurire i mezzi e la creatività della carità, che è ciò che salva il mondo, e lo farà alzare e mettersi in cammino verso una speranza grande: quella di una nuova umanità, che anticipi quella definiva in cui per sempre regnerà l’amore, la «gioia dell’amore», come Francesco ha intitolato la sua ultima esortazione apostolica sulla famiglia, [l’amore] autentico e imprescindibile per l’umanità. La lezione di Lesbo va unita ad Amoris laetitia. Sono inseparabili.

L'Osservatore Romano