domenica 31 luglio 2016

Contro il pensiero ateo lo spirito vince sempre



di Dario Antiseri
Mentre il secolo scorso si era aperto con movimenti filosofici – si pensi al positivismo, al pragmatismo, al marxismo e al persistente idealismo – che pretendevano di cancellare ogni spazio del sacro e di estirpare la stessa possibilità della domanda di senso religioso della vita, il nostro secolo si è aperto con una acuta consapevolezza dei fallimenti teorici e politici degli "assoluti terrestri". E questo nell’orizzonte di una riconquista razionale della idea di "contingenza umana".

Certo, la domanda sul senso religioso della vita e della storia umana sarà improponibile se altri saranno riusciti a dimostrare razionalmente che la fede in un Dio trascendente non è altro che impostura, alienazione, non-senso, una universale nevrosi ossessiva, oppio del popolo, eccetera. Ed ecco, allora, che se si riesce a mostrare, tramite un uso critico della ragione, che tali prospettive sono infondate, subito si riapre lo spazio sulla fede, in cui emerge razionalmente significativa l’inestirpabile domanda sul senso religioso della vita.

E questo è esattamente il punto in cui si è giunti, dopo una progressiva erosione razionale delle pretese fallimentari della "dea-Ragione". Ha scritto Norberto Bobbio che «proprio perché le grandi risposte non sono alla portata della nostra mente, l’uomo rimane un essere religioso, nonostante tutti i processi di demitizzazione, di secolarizzazione, tutte le affermazioni della morte di Dio che caratterizzano l’età moderna e ancor più quella contemporanea». In altri termini, la filosofia non salva. La "Grande Domanda" – dice ancora Bobbio – «è una richiesta di senso, che rimane senza risposta, o meglio che rinvia ad una risposta che mi pare difficile chiamare ancora filosofica». E questo «spiega la forza della religione. Non è sufficiente dire: la religione c’è, ma non dovrebbe esserci. C’è: perché c’è? Perché la scienza dà risposte parziali e la filosofia pone solo domande senza dare le risposte».

Ebbene, è proprio richiamandosi a questi pensieri di Bobbio che Angela Arsena propone, nella sua introduzione, interessanti linee di interpretazione del saggio di Ernest Naville La filosofia e la religione (Stamen, pp.108, euro 18). Naville (1816-1909), uno dei più conosciuti filosofi tra Ottocento e Novecento, i cui libri vennero tradotti nelle principali lingue europee, ai nostri giorni è stato ripreso in seria considerazione in quanto filosofo della scienza a motivo del fatto che con la sua Logique de l’hypothèse (1880) anticipa in tutti gli argomenti essenziali l’ipotetismo fallibilista del razionalismo critico della Scuola popperiana. Ma parimenti di grande rilievo sono i suoi scritti di filosofia della religione, come risulta evidente anche dal breve saggio curato dall’ Arsena.

I rapporti della filosofia con la religione – dice Naville – possono essere concepiti in tre maniere: la separazione, l’opposizione, l’armonia. La separazione tra la filosofia e la religione – precisa subito l’autore – non è possibile : «È un modo di vedere contrario all’idea della filosofia che, in quanto scienza universale, non può lasciare da parte un fatto così considerevole come la religione. Le credenze religiose e la loro influenza sugli individui sono dei fenomeni che sussistono qualunque sia l’origine che attribuiamo loro; una scienza completa è tenuta ad osservarle e a cercarne la spiegazione».

Se la separazione tra religione e filosofia – argomenta Naville – è stata l’idea dominante del XVII secolo, la loro opposizione è stata una delle tesi sostenute a più gran voce dagli scrittori francesi del secolo successivo. Inconciliabili con la religione sono sia il materialismo che l’idealismo: due forme senza veli di ateismo, incapaci di esibire fondamenti teorici di una qualche consistenza, e non in grado di spiegare rispettivamente il pensiero e l’irriducibile e ostinato fatto della libertà dell’essere umano. Fuori da ogni dubbio, fa presente Naville, «l’opposizione di fatto delle due grandi correnti della filosofia e della fede religiosa è incontestabile. Ma una opposizione di fatto non è sempre un’opposizione di diritto. Il materialismo e l’idealismo non sono tutta la filosofia. Queste due dottrine sono, al contrario, due filosofe false, se è vero come io penso, che sono impotenti nel risolvere il problema dell’universo».

Problema dell’universo e della realtà umana che, secondo Naville, trovano invece soluzione nello spiritualismo, corrente filosofica che pone all’origine del mondo l’atto libero e sovrano di una volontà spirituale e fonda, sulla base di una assoluta causa creatrice, il solo monismo conciliabile con la fede religiosa e con la libertà dell’uomo sul cui libero arbitrio soltanto è possibile edificare l’ordine morale. In breve: «C’è piena armonia tra la fede cristiana e lo spiritualismo, e il valore filosofico dello spiritualismo conferma – afferma Naville – la fede dei cristiani […] La filosofia è la parte della ragione nella ricerca di Dio».

In un contesto filosofico in gran parte diverso da quello attuale Naville, con indipendenza intellettuale e coraggio morale, intese combattere forme di dogmatismo e fatalismo filosofico, "grandi racconti" frutto di una ragione presuntuosa che, sulle effettive conquiste della scienza, aveva costruito una errata immagine sia della ricerca scientifica che della filosofia. Quella di Naville è una concezione della filosofia come sentinella in guardia dall’assalto di quegli "assoluti terrestri" proposti e difesi come altrettante negazioni dell’Assoluto trascendente. È in questo modo, dunque, che ai suoi tempi, Naville cercò di ristabilire la possibilità razionale della scelta di fede.

Ne I Racconti di Chassidim, Martin Buber parla del Rabbi Mendel di Kozk, che «stupì alcuni uomini dotti suoi ospiti con questa domanda: "Dove abita Dio?". Quelli risero di lui: "Che dite? Se tutto il mondo è pieno della sua gloria!". Ma egli rispose da sé alla propria domanda: "Dio abita dove lo si fa entrare"».

Avvenire