giovedì 21 luglio 2016

Il viaggio del discepolo



(Bruno Forte) Il racconto dei discepoli in cammino verso Emmaus, cui si affianca sulla via un viandante dapprima sconosciuto e poi riconosciuto come il Signore Gesù, presenta il modello del Figlio di Dio, che si fa compagno di strada dei due discepoli tanto simili a noi, «stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti». La narrazione di Luca ci fa così comprendere che cosa significano il cammino del Signore accanto a noi, pellegrini nel tempo, e il nostro cammino con lui, re della gloria, verso la patria promessa e sperata.Ciò che il racconto ci fa anzitutto capire è che la vita con Gesù — ovvero l’esistenza cristiana come discepolato vissuto nella sequela e nella compagnia di lui — è un cammino: essa non avviene nel chiuso di una relazione esclusiva e rassicurante, decisa una volta per sempre, ma si pone nel rischio e nella complessità del divenire della persona, tesa fra memorie e desideri, nostalgie e speranze, di cui è appunto figura il cammino da Gerusalemme a Emmaus percorso dai due discepoli e dal misterioso viandante. In realtà, tutti veniamo da Dio, in quanto opera delle sue mani, e tutti andiamo pellegrini verso di lui e il domani della città celeste, procedendo nell’avanzare della sera, bisognosi di qualcuno che ci stia vicino, sulla cui presenza affidabile poter contare: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto» (Luca, 24, 29). Tutti siamo incamminati verso l’ultimo silenzio dell’esistenza che muore e la parola eterna della vita che ci è stata promessa nel Signore risorto. Proprio nel confronto con l’enigma della morte, però, si affacciano alla mente e al cuore due radicali e opposte possibilità: ritenersi «gettati verso la morte» (come pensava il filosofo Martin Heidegger, riflettendo sulla condizione umana) o considerarsi «mendicanti del cielo» (come sostiene per esempio Jacques Maritain), destinati alla vita vittoriosa sulla morte della Gerusalemme celeste. Se l’uomo è solo in questo mondo, l’ultima parola sul suo destino non potrà che essere quella del finale silenzio in cui la sua esistenza si spegnerà. Se invece c’è un Dio d’amore, da cui veniamo e verso cui andiamo, ogni essere personale è un “tu” unico e singolare cui quest’amore è rivolto e che come tale vive e vivrà per sempre grazie all’eterna fedeltà dell’interlocutore divino.
La tristezza dei due discepoli all’inizio del racconto di Emmaus è quella di chi teme che la morte l’abbia vinta sulla vita; l’entusiasmo con cui ripartono nella notte per andare ad annunciare a tutti di aver incontrato il Cristo risuscitato è quello di chi sa che il risorto ha vinto e vincerà la morte, e che dunque la vita che passa è preparazione e attesa di quella che non passerà mai. Fra le due opzioni la scelta è decisiva e va fatta ogni giorno: ecco perché l’annuncio della vita vittoriosa sulla morte deve colmare il cuore di chi crede e irradiarsi in un’incessante testimonianza, vissuta nella condivisione del cammino e nella proposta umile e coraggiosa della buona novella dell’amore capace di redimere i giorni. La fedeltà al futuro promesso e al mondo che verrà, insomma, non solo non toglie, ma rafforza la fedeltà all’umile oggi del tempo. Il racconto di Emmaus ci fa comprendere, però, che riconoscere il Signore come nostro compagno di strada e sperimentarne la consolante presenza non vuol dire in alcun modo evadere dal cammino che stiamo facendo, ma continuarlo con lui come pellegrini verso la città di Dio, confortati dalla vicinanza dell’amato e dall’obbedienza della fede in lui, che è anticipo e pregustazione della futura, promessa bellezza della città celeste.
Il racconto di Emmaus ci fa anche comprendere quali sono le cinque condizioni fondamentali di una vita vissuta come cammino in compagnia di Gesù nell’orizzonte del regno. La prima condizione riguarda la dimensione del tempo: occorre aver tempo per Cristo e dargli tempo, accompagnandolo nella durata con fedeltà, vivendo con perseveranza la gratuità del dono del proprio tempo. Chi ha fretta o non è pronto ad ascoltare e accompagnare pazientemente il cammino del fratello, in cui Cristo lo raggiunge, non sarà mai un compagno di strada del maestro divino. Una seconda condizione necessaria a stabilire una vera relazione con Cristo, del tutto evidente nel racconto di Emmaus: occorre camminare sapendo e volendo farlo insieme con lui. Occorre entrare nella compagnia con Cristo: chi vuole seguire Gesù deve voler stare con lui. La relazione col maestro si realizza e cresce attraverso la condivisione, la comprensione e il dialogo: esige, appunto, compagnia della parola e della vita; richiede l’esperienza forte della dimensione contemplativa della vita, fatta di silenzio e di ascolto, di adorazione e di parola, di condivisione e di dono. Il comportamento del misterioso viandante sulla via di Emmaus rivela una terza, fondamentale condizione per camminare con lui: riconoscere la sua iniziativa, accettare che sia lui a farsi prossimo a noi, nei tempi e nei modi che vorrà. Accompagnarsi, porre domande, ascoltare le risposte, leggere il cuore dell’altro e farlo ardere con l’annuncio della parola di vita, accendere il desiderio e corrispondervi coi gesti della condivisione: questo è la compagnia del Signore alla nostra vita, il suo spezzare insieme il pane dei giorni, stando in cammino con noi per comprenderci e parlare al nostro cuore trasformandolo.
Tutto questo esige di fare memoria di quanto veramente conta per noi per metterci in gioco. Gesù non si limita ad accompagnare i due discepoli: egli li stimola, li ammonisce con amore e soprattutto schiude loro il senso della storia della salvezza, per introdurvi il loro cuore inquieto e aprirlo allo stupore davanti al dono dell’amore divino: «Cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Luca, 24, 27). Facendo memoria delle meraviglie compiute da Dio per il suo popolo, il misterioso viandante introduce i due nella realtà del suo mondo vitale, apre il tesoro del suo cuore e fa loro comprendere ciò che tutti abbiamo ricevuto dal Padre celeste e di cui viviamo veramente. Il rapporto d’amore consiste nell’inserire l’altro nella pienezza della nostra realtà e del mistero di Dio, aprendolo alla novità del futuro della promessa: veramente, la relazione d’amore sull’esempio di Gesù è integrale. La comunione è rete relazionale attraverso cui è possibile introdurre l’altro alla pienezza della vita: solo in una relazione di amore fedele, di comunione generosa e piena, passa la vita che illumina la vita. Ed è su questa via che il cammino vissuto insieme si apre alla profezia della vita nuova e piena, come fa Gesù, che schiude ai due discepoli un nuovo futuro, offrendo al loro cuore una speranza affidabile: egli accende il desiderio del domani di Dio, contagiando loro il coraggio e la gioia per prepararlo e accoglierlo. È frutto della relazione vera con lui schiudere orizzonti, raccogliere le sfide e accendere la passione per la causa di Dio tra gli uomini, che è la causa della verità, della giustizia e dell’amore.
L’incontro vissuto alimenta così la testimonianza: non puoi fermarti a ciò che hai avuto in dono, devi a tua volta donarlo, camminando sulle tue gambe e facendo le scelte della tua libertà. L’incontro con Cristo o genera testimoni liberi e convinti di ciò per cui vivono, o non è autentico: esso non crea dipendenze, suscita cammini di libertà, in cui ciascuno viva la propria avventura al servizio della luce che gli ha illuminato il cuore. «Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (Luca, 24, 35). La relazione col maestro si è realizzata veramente quando chi la vive irradia il dono che lo ha raggiunto e cambiato. Amare come Gesù ha amato è accendere la vita col dono della vita, suscitando i cammini di libertà di un’esistenza significativa e piena, spesa al servizio della verità che rende liberi.
L’icona biblica di Emmaus ci consente così una descrizione sintetica dell’azione del discepolo di Cristo: testimonia l’amore da lui ricevuto chi accompagna gli altri dalla tristezza del non senso alla gioia della vita piena di significato, introducendoli nel tesoro del loro cuore e del cuore della Chiesa, rendendoli partecipi di esso per la forza diffusiva dell’amore. Chi vuol essere testimone deve poter ripetere con l’apostolo Paolo queste parole, che sono un autentico progetto di vita: «Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia» (2 Corinzi, 1, 24). Sullo stile di Gesù, quale emerge dal suo rapporto con i discepoli di Emmaus, dobbiamo esaminarci tutti, chiedendoci se e fino a che punto il nostro impegno a camminare con Cristo sia vera compagnia, memoria e profezia. Facilmente il bilancio ci sembrerà perdente: ci conforta tuttavia il fatto di non essere soli. Dio — che ha camminato col suo popolo nella storia della salvezza — continua a camminare con noi: «Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Giovanni, 14, 26).

L'Osservatore Romano