martedì 26 luglio 2016

Ritorno all’inizio


Alla Gmg più di 150mila giovani del Cammino Neocatecumenale

Lunedì 1 agosto un incontro vocazionale con cardinali e vescovi

Ancora una volta, il Cammino Neocatecumenale sarà presente alla Giornata Mondiale della Gioventù. Più di 150.000 giovani del Camino da tutto il mondo sono già in pellegrinaggio verso Cracovia (Polonia), dove si terrà quest’anno il grande incontro di giovani che vedrà la partecipazione di Papa Francesco.  

I più numerosi vengono dall’Italia, dalla Spagna, dalla stessa Polonia, dagli Stati Uniti, dal Brasile. Dall’Africa vengono gruppi da Costa d’Avorio, Sud Africa, Zambia e perfino da Mozambico. Dall’Asia vengono gruppi da Filippine, Corea del Sud, Giappone. 

Come è tradizione nel Cammino, nel corso di questi primi giorni i giovani andranno evangelizzando per le strade di diverse città d’Europa, annunciando il Kerigma (la buona notizia), dando la propria testimonianza, cantando e ballando accompagnati da chitarre e altri strumenti musicali. 


Dopo la veglia di preghiera e la Messa di chiusura presieduta da Papa Francesco, il Cammino Neocatecumenale – come sempre in ogni GMG – celebrerà un incontro di giovani in cui si chiederanno vocazioni alla vita contemplativa e al sacerdozio, così come famiglie che sentano la chiamata di Dio ad andare in missione in qualsiasi parte del mondo. 

Si svolgerà lunedì 1 Agosto alle 15 presso il Campus Misericordiae (lo stesso luogo dove si terranno la veglia e la Messa di chiusura della GMG). Parteciperanno più di 150.000 giovani da tutto il mondo. 

L’incontro sarà presieduto dal cardinale arcivescovo di Cracovia, Stanislaw Dziwisz, che sarà accompagnato da altri cardinali, più di 60 vescovi e numerosi sacerdoti. 

La celebrazione sarà condotta dall’iniziatore del Cammino Neocatecumenale, Kiko Argüello, e dal presbitero Mario Pezzi, responsabili a livello mondiale di questa iniziazione cristiana per adulti, i cui statuti sono stati approvati definitivamente dalla Santa Sede nel 2008. 

L’incontro sarà segnato dalla morte, lo scorso 19 Luglio, di Carmen Hernandez, co-iniziatrice del Cammino insieme con Kiko Argüello. Questo sarà il primo incontro vocazionale dopo la Messa funebre, celebrata per lei nella Cattedrale Nuestra Señora la Real de la Almudena a Madrid, lo scorso giovedì 21 Luglio.
Vatican Insider

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A Cracovia dove don Karol Wojtyła divenne guida degli studenti universitari. 

(Stanislaw Dziwisz, Cardinale arcivescovo di Cracovia) Tre anni fa, il 28 luglio 2013, alla fine della celebrazione eucaristica che coronava la giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro, con grandissima commozione abbiamo ascoltato le parole di Papa Francesco: «Cari giovani, abbiamo l’appuntamento per la prossima giornata mondiale della gioventù, nel 2016, a Cracovia, in Polonia. Per l’intercessione materna di Maria, chiediamo la luce dello Spirito Santo sul cammino che ci porterà a questa nuova tappa di gioiosa celebrazione della fede e dell’amore di Cristo». 
Da quel momento la Chiesa polacca, e in particolare la Chiesa di Cracovia, ha cominciato a vivere intensamente l’evento, che fa parte della missione della Chiesa universale dei nostri tempi. E io, nell’ascoltare le parole del Pontefice in terra brasiliana, mi sono reso conto che in certo senso si tornava al punto di partenza. Il grande progetto pastorale, quale è ogni edizione della giornata mondiale della gioventù, questa volta sarebbe stato realizzato nella città in cui era cresciuto, per il servizio della Chiesa e del mondo, Karol Wojtyła, l’iniziatore della festa della fede della Chiesa giovane. Dopo gli studi a Roma e una breve pratica pastorale nella parrocchia di campagna di Niegowić, il giovane Wojtyła venne mandato a Cracovia, dove cominciò a dedicarsi al lavoro di ricerca e di insegnamento, divenendo nello stesso tempo guida spirituale per gli studenti universitari. Celebrava per loro la liturgia. Teneva conferenze. Rispondeva alle loro domande. Organizzava ritiri. Li accompagnava nelle gite in montagna e ai laghi Masuri. Proseguì questo servizio da vescovo ausiliare. 
Come metropolita di Cracovia rimase in vivo contatto con la pastorale universitaria e continuò a rimanere vicino agli ex studenti, che formavano le loro famiglie e occupavano ruoli sempre più grandi negli ambienti della cultura e delle professioni. Egli sostenne molto il movimento Luce-Vita, chiamato “oasi”, in cui si andavano formando intere generazioni di giovani polacchi. Tutto questo avveniva in una società governata dai comunisti, oltre la cortina di ferro, dove si combatteva per le anime umane. I discepoli del sacerdote e vescovo Karol Wojtyła sapevano come affrontare le sfide collegate con la vita in un sistema totalitario e ateo. Divenuto Papa il 16 ottobre 1978, Giovanni Paolo II dovette significativamente ampliare lo spazio del suo cuore, perché vi trovassero posto tutte le nazioni, le culture, le lingue, e pure i giovani di tutto il mondo. Fin dallo stesso inizio del pontificato dichiarò che i giovani avrebbero avuto un posto speciale nel suo servizio pastorale. Li chiamò speranza della Chiesa e sua speranza. E non si trattò solo di parole vuote. Importante esperienza pastorale per lui fu l’incontro coi giovani francesi nello stadio Parco dei Principi, il 1° giugno 1980. In quell’occasione rispose alle loro domande, mettendosi in dialogo con loro e dando una straordinaria testimonianza personale di fede. Li incoraggiò a fissare lo sguardo su Gesù Cristo, perché solo lui, il maestro di Nazareth, il figlio di Dio e salvatore del mondo, poteva rispondere alle più importanti domande di ogni uomo e alle più profonde nostalgie del cuore. Giovanni Paolo II conduceva sempre a Cristo i giovani. 
Li incoraggiava a prendere il largo nel mare della fede, della speranza e dell’amore. Indicava loro ideali sublimi, perché facessero della loro vita un dono per Dio e per il prossimo, costruendo un mondo più giusto e solidale. Non si dovette attendere a lungo la risposta. Il Papa credeva nei giovani e loro compresero di avere in lui una guida esperta. Possiamo dire che in certo senso l’incontro parigino al Parco dei Principi costituì il preludio all’organizzazione delle giornate mondiali della gioventù. L’idea maturò a poco a poco, durante i successivi — e ormai regolari — appuntamenti del Papa coi giovani a Roma: nel 1984, anno giubilare della redenzione, e nel 1985, nell’ambito dell’anno internazionale dei giovani, anche questa volta nella città eterna. In questo periodo e negli anni successivi diede un competente aiuto al Papa il cardinale argentino Eduardo Pironio, presidente del Pontificio consiglio per i laici. Proprio questo dicastero assunse la responsabilità di organizzare gli incontri dei giovani. 
Nel 1987 l’iniziativa aveva ormai superato i confini di Roma. A Buenos Aires, Giovanni Paolo II visse con i giovani la prima giornata mondiale della gioventù. E da allora, al ritmo di ogni due o tre anni, i giovani cristiani di tutto il mondo si radunano intorno al successore di Pietro per festeggiare la loro fede, l’appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa. Dopo Buenos Aires è stata la volta di Santiago de Compostela, e poi ci sono state Częstochowa, Denver, Manila, Parigi, Roma (nell’anno del grande giubileo del 2000) e Toronto; poi Colonia, Sydney e Madrid con Benedetto XVI e Rio de Janeiro con Papa Francesco. Oggi sarebbe difficile immaginare la dinamica della vita di fede della Chiesa contemporanea senza questi eventi. Questa volta i giovani, che Giovanni Paolo II chiamò a Tor Vergata «sentinelle del mattino che vigilano allo spuntare del terzo millennio», vengono alla patria e alla città di Karola Wojtyła, nel cuore del quale sorse e si maturò l’idea della giornata mondiale della gioventù, una delle più belle iniziative del suo pontificato e della Chiesa dopo il concilio Vaticano II. I successivi Pontefici — Benedetto XVI e Francesco — hanno fatta propria questa iniziativa e concentrano intorno a essa il programma pastorale per i giovani. In quale Paese, in quale città arrivano le «sentinelle del mattino», i giovani cristiani del 2016? Un quarto di secolo fa la Polonia si è liberata dalle catene del comunismo e da allora costruisce pazientemente l’intelaiatura di una società democratica, più giusta e solidale. Impariamo dai successi e dagli errori. Ringraziamo Dio per il dono del battesimo, ricevuto dalla Polonia 1050 anni fa. Ringraziamo per la nostra storia non facile, in cui le vittorie si alternano alle sconfitte, le illusioni alle speranze. Viviamo in un’Europa che va unificandosi e condividiamo i timori del nostro mondo agitato, in cui ci sono guerre e spesso si vedono i segni di un cieco terrorismo. Pesano particolarmente nel nostro cuore le sofferenze dell’Ucraina, nazione tanto vicina a noi. Facciamo fronte anche a una progressiva secolarizzazione, che propone un modello di vita senza Dio, che convince l’uomo della sua autosufficienza. Ma può l’uomo salvarsi con le proprie forze? Può egli costruire solidamente la casa della propria esistenza sulla sabbia di un’ideologia illusoria? A Cracovia aspettiamo i giovani, per condividere con loro la nostra fede, provata spesso come l’oro nel crogiolo di esperienze dure. Cracovia è una città di cultura e di arte. È una città di santi e beati, tra i quali si distingue Giovanni Paolo II. Egli qui maturò nel servizio e nella santità. Cracovia è la capitale spirituale della divina misericordia. Proprio a Cracovia un’umile suora, santa Faustina Kowalska, ha ricordato al mondo la verità di Dio «ricco di misericordia» (Efesini, 2, 4). Da anni al santuario della divina misericordia di Cracovia arrivano pellegrini da tutto il mondo. A Cracovia attendiamo Papa Francesco, il Pietro dei nostri tempi. A Cracovia aspettiamo i giovani, per arricchirci della loro fede giovanile e farci contaminare dal loro entusiasmo per la fede. Li aspettiamo per mostrare al mondo, con loro, il volto giovane della Chiesa solidale e misericordiosa. Attendiamo lo scambio dei doni. 


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L’eredità del battesimo e le nuove sfide della Chiesa in Polonia. Mille anni turbolenti e gloriosi

(Stanislaw Gadecki, Arcivescovo di Poznań presidente della Conferenza episcopale della Polonia) Il giorno dopo il suo arrivo in Polonia, il 28 luglio, Papa Francesco si recherà al santuario di Częstochowa, dove ai piedi della Madonna Nera celebrerà la messa in occasione del millecinquantesimo anniversario del battesimo della Polonia. Di fronte a tale circostanza, vale la pena chiedersi se la Polonia di oggi — la Chiesa, ma anche noi stessi — è in grado di assimilare i valori che sono stati tramandati dai nostri predecessori nella fede.Il principe Mieszko I (il primo sovrano di Polonia attestato dalle fonti storiche) prese — già all’inizio del suo regno — una decisione che si è poi rivelata la più importante per tutta la nostra storia. Mosso dalla volontà di ottenere alcuni vantaggi politici in cui sperava, ma soprattutto da una fede semplice e sincera, egli si fece battezzare nel 966.
In realtà il battesimo aveva per il principe non solo una dimensione personale, ma anche una dimensione sociale, culturale, nazionale e statale. Paolo VI — in occasione del millenario del battesimo della Polonia — si espresse in questo modo: «La fede cristiana, la lingua e la scrittura latina, la coscienza civile del mondo occidentale inaugurarono insieme la nuova cultura del Popolo polacco, che doveva poi dare con le sue istituzioni politiche, religiose, scolastiche ed artistiche ininterrotta testimonianza della sua inestinguibile vitalità morale, della sua connaturata omogeneità alla civiltà europea, e della sua inconfondibile originalità etnica, per mille anni di storia tormentata e gloriosa».
Quel battesimo sin dai primi momenti portò allo sviluppo della cultura polacca, che entrò a fra parte del mondo della cultura latina. Man mano cominciarono ad arrivare in Polonia alcuni intellettuali di spicco che promossero la fondazione delle prime università: quella di Cracovia (tra il 1364 e il 1400) e quella di Vilnius (1579). In quest’occasione particolare non si può non ricordare che uno di quegli intellettuali giunti allora in Polonia fu uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi: Niccolò Copernico. Va inoltre citato il gesuita Jakub Wujek, autore della traduzione polacca delle Scritture realizzata alla fine del XVI secolo, che ha contribuito alla nascita della lingua letteraria e alla formazione definitiva della lingua polacca dei nostri tempi. La tematica religiosa è stata presente in modo continuo sia nella letteratura che nell’arte.
Per più di mille anni la fede cristiana, nella buona e nella cattiva sorte — come ha sottolineato Papa Francesco nella lettera indirizzata al popolo polacco in occasione del millecinquantesimo anniversario del battesimo — «ha portato alla nascita di abbondanti frutti spirituali, e molti polacchi si sono distinti in modo eccellente per la loro confessione e la difesa della fede nonché per la capacità di mantenere la speranza e di praticare l’amore. I polacchi non solo hanno dimostrato fedeltà al magistero della Chiesa e ai successori di Pietro, ma hanno anche fortemente contribuito allo sviluppo della cultura in terra polacca».
C’è da chiedersi se la Polonia di oggi sia capace di assimilare i valori tramandati dai nostri predecessori nella fede. «Vi invito — diceva rivolgendosi a noi il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin durante la celebrazioni giubilare presieduta allo stadio di Poznań il 16 aprile scorso — a  non considerare mai nulla come perennemente acquisito. Ogni generazione è chiamata a  riappropriarsi in modo autentico e originale delle tradizioni e  dei valori che le vengono consegnati, facendo nuovamente fruttificare il dono ricevuto nel suo tempo e  nelle nuove circostanze; ognuno deve fare propri, con la quotidiana sequela Christi, i  tesori di verità e  grazia che gli vengono proposti e  consegnati dall’eredità del passato».
Ma come si presenta oggi la situazione in termini di riappropriazione dei «tesori di verità e grazia» cui si riferiva il cardinale Parolin? I polacchi sono nella maggior parte cattolici: l’appartenenza alla confessione cattolica viene infatti dichiarata dal 92,8 per cento dei cittadini. Tuttavia, saremmo ciechi se non scorgessimo i graffi e le crepe nella fede dei polacchi di oggi, e in particolare la graduale secolarizzazione che poco a poco si sta introducendo in seno alla società, soprattutto nella generazione dei giovani. È triste che molti cattolici non cerchino di collegare il Vangelo con la vita di tutti i giorni. L’insegnamento della Chiesa è sempre poco conosciuto, relativizzato o addirittura trascurato nelle scelte quotidiane.
Molti polacchi considerano l’insegnamento della Chiesa come il proverbiale “buffet” da cui poter scegliere solo quei piatti che piacciono. Soltanto un polacco su tre (31 per cento) ritiene che i principi morali cattolici siano la scelta migliore. Mentre uno su quattro (26 per cento) afferma che certe situazioni di vita richiedono che i principi cattolici vengano in un certo modo rivisti e completati con altri standard. Inoltre, se più di un terzo degli intervistati (36 per cento) concorda con le norme promulgate dalla Chiesa, allo stesso tempo è convinto della loro insufficienza. A rivelare questi dati è l’indagine I polacchi di fronte alle diverse religioni e ai principi morali del cattolicesimo, realizzata nel 2006 dal Centro polacco di analisi dell’opinione pubblica (Cbos).
Papa Francesco ha ripetutamente richiamato la nostra attenzione su questi pericoli e ci ha messi in guardia contro lo smarrimento spirituale di se stessi. Nella Evangelii gaudium il Pontefice ammette che «il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto» (2). 
Per la Chiesa in Polonia la salvezza da una tale perdita consiste nel confessare con umiltà e coraggio la fede in Cristo e nel confermare questa fede con atti di misericordia. La misericordia è, infatti, l’espressione della fede, mentre la fede è il fondamento della misericordia. Alla realizzazione di questo obiettivo principale dovrebbero essere subordinate tutte le nostre istituzioni ecclesiastiche e le strutture pastorali.
È quindi necessario imitare fedelmente Gesù, il quale si identifica con «i più piccoli», con ogni forma di miseria umana materiale e spirituale. Ecco perché Francesco, il 6 settembre 2015, rivolgeva «un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi». Ecco perché egli ci invitava a offrire aiuto e protezione ai profughi di tutte le confessioni e religioni.
Allo stesso tempo, il Papa ha sottolineato la necessità di integrazione degli immigrati nel contesto europeo e le loro responsabilità. I rifugiati devono assumersi le proprie responsabilità nei confronti delle persone che li ospitano. Devono anche rispettare il patrimonio materiale e spirituale del Paese ospitante, nonché obbedire alle sue leggi e portare il proprio contributo alle spese del Paese medesimo.
Un simile appello è stato anche rivolto a tutte le Chiese presenti in terra polacca nel Messaggio delle Chiese in Polonia sui rifugiati, firmato a Varsavia il 30 giugno scorso. I membri del Consiglio ecumenico polacco e della Chiesa cattolica hanno ricordato in questo documento l’importanza dell’ospitalità nei confronti degli stranieri: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli. Ricordatevi dei maltrattati, perché anche voi avete un corpo» (Ebrei 13, 2-3).
Le nazioni dell’Europa e le Chiese si trovano oggi ad affrontare una sfida enorme, che è la crisi di migrazione. Circa tre milioni di persone provenienti dai Paesi dell’Africa e dell’Asia hanno attraversato il confine dell’Unione europea. Alcune di loro sono in fuga a causa della guerra e della persecuzione religiosa, altre sono invece in cerca di una vita migliore.
Questa situazione ha messo alla prova il concetto di cooperazione tra gli Stati all’interno dell’Unione europea. Si è potuta vedere una notevole polarizzazione delle posizioni circa i modi efficaci per affrontare la crisi migratoria. Anche la Polonia si è trovata ad affrontare questa sfida.
Gli obblighi dei cristiani in questa materia derivano dalla rivelazione divina e dalla tradizione delle Chiese. Nel libro della Genesi leggiamo che quando venne una carestia nel paese in cui viveva Abram, egli scese in Egitto per soggiornarvi come straniero (cfr. 12, 10). Anche il patriarca Giacobbe al comando di Dio si trasferì con la sua famiglia e tutti i suoi possedimenti in Egitto e lì trovò la salvezza dalla morte per fame (cfr. 42, 1-6; 46, 1-7). Il destino dei rifugiati è stato sperimentato pure da Gesù e dalla sua famiglia, fuggiti per salvarsi dall’ira di Erode (cfr. Matteo 2, 13-15).
Il compito delle Chiese consiste dunque nell’educare i cuori che, attraverso delle opere concrete di misericordia, verranno ad aiutare coloro che soffrono, coloro che fuggono dalla guerra, dalla persecuzione e dalla morte.
La Polonia è molte volte diventata un rifugio per coloro che dovevano fuggire dalle persecuzioni. Ai tempi della dinastia jagellonica le nostre terre erano famose per la loro ospitalità. Dopo la perdita dell’indipendenza del nostro Paese, anche tanti polacchi hanno potuto sperimentare l’ospitalità in altri Paesi. Negli anni Ottanta del secolo scorso ci hanno offerto aiuto i Paesi dell’Europa occidentale. Un decennio più tardi, l’ospitalità polacca è stata sperimentata dai bielorussi, dagli ucraini e dai ceceni. Cercare di mantenerla ed educare la gente nel suo spirito dovrebbe essere l’espressione della sensibilità cristiana e della tradizione nazionale.
Non vi è dubbio che la soluzione del problema della migrazione in Polonia e in Europa richieda la collaborazione di persone di buona volontà a molti livelli. Sono necessari la generosità e la prudenza, un cuore aperto e l’individuazione di norme che garantiscano il rispetto della dignità dei cittadini e di coloro che chiedono aiuto.
I cristiani dovrebbero sforzarsi di collaborare con le autorità statali competenti e con le organizzazioni sociali. Solo un’azione umanitaria sufficientemente ampia e un atteggiamento che tenga conto delle cause politiche ed economiche dei problemi esistenti possono portare a un reale miglioramento della situazione. Ci auguriamo che essa possa dare poi un impulso allo sviluppo del volontariato, anche a livello delle nostre parrocchie, per affrontare in modo efficace e responsabile i problemi emergenti.
Ovviamente, non si deve perdere di vista la causa principale dell’attuale crisi di migrazione, vale a dire le guerre in Medio oriente e in Africa. Da qui la necessità di pregare per la pace, intraprendere sforzi di mediazione e lanciare appelli alle coscienze di chi è al potere. Molte persone sono rimaste nei loro Paesi e si aspettano che il nostro aiuto arrivi proprio lì, nelle regioni colpite. Allo stesso tempo, dobbiamo prenderci cura di coloro che hanno deciso di lasciare la loro terra. Ecco perché esortiamo i nostri fedeli a continuare nella preghiera e a fornire assistenza ai bisognosi. Questo è ciò che dice esattamente il Messaggio delle Chiese in Polonia sui rifugiati del 30 giugno 2016.
Alla globalizzazione del fenomeno migratorio nella nostra patria va data una risposta in forma di globalizzazione dell’amore e della cooperazione. Si deve cioè passare da una «posizione difensiva, segnata dalla paura, dalla mancanza di interesse e dalla tendenza a marginalizzare, a un atteggiamento basato sulla cultura dell’incontro, l’unico che possa costruire un mondo più giusto e fraterno» (cfr. Messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato, 2014). Ecco uno dei compiti più importanti che la Chiesa in Polonia si trova ad affrontare oggi e in futuro.

L'Osservatore Romano