mercoledì 10 agosto 2016

Riflesso del Cristo resuscitato



(Fratel Alois) «Quando, infaticabilmente, la Chiesa ascolta, guarisce, riconcilia, essa diviene ciò che è al massimo della sua luminosità: una comunione d’amore, di compassione, di consolazione, il limpido riflesso del Cristo resuscitato. Mai distante, mai sulla difensiva, scevra da severità, essa può irradiare nei nostri cuori umani l’umile certezza della fede»: quando ho letto Amoris laetitia, queste poche righe di fratel Roger mi sono subito tornate alla memoria e, una volta di più, mi ha colpito la prossimità spirituale tra Papa Francesco e il fondatore della nostra comunità di Taizé: stesso cuore pastorale, stessa attenzione verso i poveri, i giovani, coloro che si sono allontanati dalla fede, stesso appello alla gioia del Vangelo. E soprattutto: stessa insistenza fondamentale, primordiale, sull’amore incondizionato di Dio per ogni essere umano. Dio non può che amare. Nessuno è escluso, né dal suo amore né dal suo perdono. La Chiesa è chiamata a portarne testimonianza. Tutto questo era già presente nell’Evangelii gaudium ed è ora una dominante in Amoris laetitia, scritta per dare forza alle donne e agli uomini che si impegnano nel matrimonio cristiano.
L’esortazione del Papa non comincia né con l’esporre i problemi che conoscono molte famiglie né con l’enumerare le norme che queste dovrebbero rispettare. Il Papa cerca prima di tutto la luce che la Parola di Dio porta alla vita familiare. Questa modalità tocca noi, fratelli di Taizé, perché non può non avere una risonanza ecumenica molto positiva. In tutta la Bibbia, dice il Papa, troviamo famiglie con «le loro storie di amore e di crisi», famiglie straziate, a volte, dal dolore e dalla pena, ma che cercano di trasmettere la fede ai propri figli. Gesù stesso «conosce le ansie e le tensioni delle famiglie». 
Nel primo capitolo, il Papa colloca la Parola di Dio al centro della sua riflessione, la propone alle famiglie non come una sequenza di «tesi astratte» ma come «una compagna di viaggio». 
La Parola di Dio, una compagna. Accompagnare: è una delle parole chiave utilizzate dal Papa. Accompagnare è un valore del Vangelo sul quale non si sarà mai meditato abbastanza. Cristo è venuto sulla terra per esprimere il sì di Dio all’essere umano. Gesù viene incontro a tutti, va in particolare verso i peccatori e cammina insieme a loro. Egli attesta che Dio ama senza porre condizioni. Alcune sue parabole dimostrano che questo amore va perfino al di là del giusto e del normale: sembra esagerato che, al ritorno del figliol prodigo, il padre organizzi una tale festa; il padrone della vigna dà l’impressione di passare la misura quando offre agli operai dell’ultima ora lo stesso salario di quelli che hanno lavorato sin dal mattino. Il fatto è che la misericordia di Dio va oltre la giustizia: non l’annulla ma la porta a compimento perfetto.
Il Papa sottolinea che, se molti dei nostri contemporanei hanno bisogno di essere accompagnati, è perché hanno la sensazione di essere orfani, e questo è vero in particolare per moltissimi giovani. Ascolto queste parole come una conferma di ciò che constatiamo a Taizé. In effetti, da molti anni, valorizziamo un’icona copta egiziana del VII secolo. Essa mostra il Cristo che mette il braccio sulla spalla di un amico. Con questo gesto, Egli prende su di sé i fardelli, gli errori, tutto il peso che grava sull’altro. Non sta di fronte al suo amico, ma avanza al suo fianco, lo accompagna. Questo amico è san Mena, ma è anche ognuno e ognuna di noi che il Cristo viene a sostenere con la sua misteriosa presenza.
Camminando sulle orme di Cristo, la Chiesa è invitata ad accompagnare gli esseri umani con la stessa misericordia, in particolare quelli che sono più feriti. Siamo sorpresi di vedere fino a che punto questa icona tocchi i cuori, soprattutto quelli dei giovani. Quando essi capiscono di essere accompagnati, e non giudicati, sono pronti a prestare attenzione al messaggio del Vangelo.
Leggendo la Parola di Dio, vediamo che la fedeltà nel matrimonio è una delle immense esigenze di Cristo: essa può sorprendere e sconcertare quanto la sua richiesta di amare i propri nemici o di vendere tutto quello che si possiede per seguirlo. Ma la sua richiesta non è un fardello pesante che Egli depone sulle spalle altrui. Essa esprime tutta la bellezza e tutta la fecondità di una vita vissuta al suo seguito. E, mentre formula questa esigenza, Cristo manifesta allo stesso tempo un amore profondo per coloro che non riescono a soddisfarla fino in fondo, per i peccatori che tutti noi siamo. È questa la specificità del messaggio evangelico.
Il Papa dà testimonianza di questa specificità e contribuisce con questo a cambiare l’immagine che della Chiesa hanno alcuni dei nostri contemporanei. Nel corso dei secoli, la visione di Dio come giudice severo ha devastato la coscienza di molti ed è divenuta un ostacolo alla fede. Allo stesso modo oggi, a torto o a ragione, la Chiesa è troppo spesso considerata come guardiana di una norma di perfezione, che propone una morale irraggiungibile, un ideale inaccessibile che fa paura e al quale si voltano le spalle. Succede che la paura di un Dio e di una Chiesa che condannano, paralizza i cristiani e li spinge perfino a nascondere i propri errori, a banalizzarli o a giustificarli. Se noi comprendiamo che Dio è misericordia e perdono, riusciamo ad ammettere che possiamo commettere degli errori, ad assumerceli e a trovare nel perdono la forza di cambiare.
A proposito della famiglia, il Papa sa bene che alcuni preferirebbero che egli desse delle direttive generali precise per evitare la confusione, ma egli crede sinceramente che il cammino sia un altro. Invita a discernere davanti a ogni situazione. Come nel Vangelo Cristo unisce esigenza e misericordia, così il Papa non separa dottrina e pastorale, esiste tra di esse un intimo legame. Il Papa cerca di formulare tale legame. La misericordia non è una concessione alla debolezza umana, ma incoraggia al cammino verso un amore più grande, verso l’ideale evangelico.
Discernere significa certamente riconoscere lo scarto che esiste tra le situazioni come sono e l’assoluto evangelico, ma senza fissarcisi. Discernere significa scoprire come lo Spirito santo sia presente e operi in ogni situazione, perfino la più imperfetta. La sua presenza non è una ricompensa per coloro che sarebbero perfetti, esso dimora fin nei più feriti e li sostiene. È molto importante sottolineare questo per valorizzare ciò che tutti già viviamo. Poi, gradualmente, sarà a ognuno possibile avanzare al seguito di Cristo e andare oltre. Lo sguardo pastorale di amore e di comprensione, lungi dal relativizzare l’appello di Cristo, trasmette lo slancio necessario per venire incontro all’esigenza evangelica.
Posso concludere con una domanda che a Taizé abbiamo particolarmente a cuore? «Accompagnare, discernere e integrare la fragilità» è il titolo dell’ottavo capitolo di Amoris laetitia. Questa dinamica spirituale, che il Pontefice applica alla vita familiare, potrebbe essere anche estesa ad altre sfere e adattata in particolare ai rapporti con i cristiani di altre confessioni?
L'Osservatore Romano